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Cosa significa fare guerra alla droga? Ipocrisie dati e chiarezza di una lotta impari

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Tra le macerie del ponte Morandi c’era anche un carico di droga destinato a uomini di Scampia e Secondigliano. E la ‘ndrangheta provò a recuperare quei 900 chili di hashish nascosti dentro il camion giallo, coinvolto nel crollo del viadotto Polcevera il 14 agosto 2018. Nulla era emerso dagli atti giudiziari e non si sa se il recupero della droga sia mai veramente avvenuto. Il punto però è un altro: 900 chili di hashish che viaggiavano indisturbati su un comune mezzo percorrendo una qualsiasi strada.

Nel 2020, a livello globale la diffusione delle droghe è stata:

  • Cannabis 209.220.000
  • Oppioidi 61.290.000
  • Oppiacei 31.100.000
  • Cocaina 21.470.000
  • Anfetamine e simili 34.080.000
  • Ecstasy 20.040.000

Un grammo di eroina in Italia, sempre nel 2020, costava tra i 55 e i 68 dollari americani. Un grammo di cocaina aveva un prezzo variabile tra gli 80 e i 100 dollari americani. Il prezzo della cannabis, nelle varianti di marijuana e hashish, rispettivamente compreso tra i 9 e i 22 e i 12 e i 14 dollari americani. Le anfetamine tra i 24 e i 28, mentre le metanfetamine tra i 35 e i 44.

Il prezzo delle droghe varia anche di molto da paese a paese e nelle varie aree del pianeta, risulta quindi molto complesso procedere con il calcolo dell’incasso totale dovuto dalla vendita delle dosi delle varie droghe. Ma viene da sé che si sta parlando di cifre enormi.

Il dato è in continuo aumento, ma alle 18:21 del 16 dicembre 2022 l’ammontare dei soldi spesi in droga quest’anno era calcolato in 383.307.297.851 dollari. Il dato è meramente indicativo del volume globale di denaro e interessi che ruotano intorno al fattore droga.

È stato stimato che nel 2018 269milioni di persone, equivalenti al 5.4 per cento della popolazione globale compresa tra i 15 e i 64 anni,  hanno fatto uso di droga. Per il 2030 si prevede un incremento fino all’ 11 per cento, ovvero 299milioni di persone.

La carta definisce con molta chiarezza quali sono le tratte attraverso le quali si muovono gli ingenti quantitativi di droga e, soprattutto, la direzione verso cui viaggiano: il Vecchio Continente e gli Stati Uniti d’America.

La “guerra alla droga” condotta dagli USA si è trasformata da metafora in realtà con attività di contrasto in patria, sul confine e all’estero. Non c’è droga che sia stata obiettivo militare più della cocaina. Fu il boom della coca a offrire la motivazione per classificare ufficialmente la droga, dal 1986, come una minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. L’ossessione per la cocaina ha portato alla militarizzazione delle attività di polizia e al ricorso a operazioni militari per questioni interne, facendo sfumare il confine tra scontro bellico e lotta alla criminalità in tutte le Americhe.

Mentre la guerra statunitense contro la cocaina dilagava, nel Centroamerica la droga contribuiva silenziosamente a finanziare un tipo di guerra molto insolito: la campagna dei ribelli Contras, sostenuti dagli Stati Uniti, in opposizione al governo rivoluzionario sandinista del Nicaragua. Episodio simile alle vicende degli insorti anticomunisti finanziati dai proventi della droga nel Sudest asiatico e in Afghanistan.

Un’inchiesta congressuale, durata tre anni e guidata dal senatore del Massachusetts John Kerry, rivelò che alcune delle società di trasporto areo occultamente ingaggiate dalla CIA per spedire rifornimenti ai Contras erano coinvolte anche nel traffico di cocaina.

Perché si è ritenuto necessario iniziare e protrarre una guerra alla droga perlopiù esterna ai propri confini piuttosto che concentrare ogni sforzo nella cura e assistenza nonché, prioritariamente, nella prevenzione?

Quanto a lungo potevano tollerare i governi occidentali che milioni di dollari si riversassero di continuo in America latina?

Si impara presto che la vita è ben più complessa di come la si immagina, e che Bene e Male sono concetti relativi non assoluti.

Più di qualunque altro presidente, fu George H.W. Bush a usare il suo potere di comandante in capo per reclutare l’esercito americano nella guerra alla droga. Con la fine della Guerra fredda l’entusiasmo con cui il Pentagono assunse compiti di contrasto alla droga aumentò notevolmente. La possibilità di riciclare le tecnologie della Guerra Fredda per le missioni della guerra alla droga offrì un nuovo margine di crescita agli appaltatori della difesa, che faticavano ad adattarsi al mutato ambiente della sicurezza. L’allora senatore Joseph Biden, rispecchiando lo stato d’animo dell’epoca, sostenne nel 1990 che «molte delle tecnologie più promettenti [per il controllo della droga] sono già state sviluppate negli ultimi dieci anni dal dipartimento della Difesa a fini militari» ed esortò l’adozione e disponibilità di queste tecnologie per le attività antinarcotici.

All’indomani degli attacchi terroristici dell’11 settembre, i guerrieri antidroga statunitensi, che tipicamente avevano avuto poco o nulla a che fare con la lotta al terrorismo, si adoperarono per riadattare e ridefinire i loro compiti in un ambiente della sicurezza improvvisamente mutato. I funzionari della DEA (Drug Enforcement Administration) insisterono per integrare la guerra alla droga con la guerra al terrore, con una nuova attenzione al “narcoterrorismo” e sollecitando un focus più accurato sui presunti legami tra traffico di droga e attività terroristiche.

A fine 2001, il presidente George W. Bush sottolineò quanto sia importante per gli americani sapere che il traffico di droga finanzia le attività del Terrore. E che smettendo di drogarsi si partecipa alla lotta conto il terrorismo.

La guerra alla droga non è mai cessata eppure nel tempo la produzione e il consumo delle droghe non ha fatto che aumentare, inoltre ci sono altri aspetti e conseguenze dirette di ciò che meritano una riflessione.

Nei primi decenni del XXI secolo, l’America Latina è diventata il capoluogo mondiale degli omicidi, con oltre 2milioni di morti violente dall’anno 2000 in poi. Un numero di gran lunga superiore alle circa 900mila vittime dei conflitti in Siria, Iraq e Afghanistan. In America Latina vive solo l’8 per cento della popolazione mondiale, ma si è verificato un terzo di tutti gli assassini. Inoltre, le dieci città più violente del mondo sono tutte in quella regione.

La droga e la guerra alla droga rappresentano solo una parte della risposta, ma soprattutto in paesi come Messico, Colombia e Brasile si tratta di un aspetto cruciale.

E sul versante opposto, ovvero nei paesi prevalentemente consumatori di droga, cosa accade?

Secondo i Centers for Disease Control and Prevention (Cdc), ci sono stati oltre 100mila morti per overdose negli Stati Uniti nell’anno compreso tra aprile 2020 e aprile 2021.

In Italia, i decessi riconducibili all’abuso di sostanze stupefacenti nell’anno 2021 sono 293, in calo rispetto agli anni precedenti ( 2020 – 309; 2019 – 374). La gran parte imputabili all’eroina (135), segue la cocaina (64). Negli Stati Uniti invece a causare più decessi è il fentanyl, un oppiode sintetico, 50 volte più potente dell’eroina.

In Europa, nell’anno 2020, i decessi per overdose sono stati 5.800.

Nel 2021 tra le persone seguite dai Ser.D. – i servizi pubblici per le dipendenze patologiche del Sistema Sanitario Nazionale – dislocati lungo tutto il territorio nazionale italiano si contano:

  • 8.790 assistiti che presentavano almeno una patologia psichiatrica.
  • 1.513 positivi al test per l’HIV (sindrome da immunodeficienza acquisita).
  • 572 positivi al test per l’HBV (virus dell’epatite B).
  • 10.505 positivi al test per l’HCV (virus dell’epatite C).
  • Il 4.3 per cento dei soggetti testati è risultato positivo a tutti e tre i test sopra elencati.
  • 15.468 persone ricoverate in ospedale con diagnosi correlate all’uso di droghe, con ricoveri ordinari, e 6.233 accessi al Pronto Soccorso.

Le stime sono tendenzialmente al ribasso, in quanto bisogna considerare che si parla di coloro che sono già seguiti dai Ser.D. sul territorio. Andrebbero quindi aggiunti, o quantomeno tenuti in considerazione tutti gli altri, i consumatori più o meno abituali di droga che non si sono o non si sono ancora rivolti a detti servizi pubblici.

L’uso di sostanze tra gli adolescenti spazia dalla sperimentazione ai gravi disturbi da uso di sostanze. Tutti gli usi di sostanze, anche quelli sperimentali, mettono gli adolescenti a rischio di problemi a termine come incidenti, liti, rapporti sessuali non voluti, overdose. L’uso di sostanze interferisce anche con lo sviluppo cerebrale. Gli adolescenti sono vulnerabili agli effetti provocati dall’uso di sostanze e corrono un rischio più alto di sviluppare conseguenze a lungo termine come disturbi mentali e scarso rendimento intellettivo. Disturbi dovuti anche all’uso di alcol, cannabis e nicotina.

Nel 2021 in Italia sono state:

  • 31.914 le segnalazioni per violazione dell’Art. 75 del DPR n. 309/1990 (possesso ad uso personale di sostanze stupefacenti o psicotrope), riferite a 30.166 persone. Nel 2019 le segnalazioni erano nell’ordine di 53.016. La netta diminuzione è con molta probabilità riferibile alle restrizioni da COVID-19.
  • 30.083 le persone segnalate per reati penali commessi droga-correlati, con un decremento del solo 5 per cento rispetto al 2020. La maggior parte delle denunce ha riguardato la detenzione di cocaina/crack, a seguire cannabis e derivati, eroina/altri oppiacei, sostanze sintetiche.
  • 91.943 i procedimenti penali pendenti per reato di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope. 186.517 le persone coinvolte, con una media quindi di due ogni provvedimento. I minorenni costituiscono il 4 per cento del totale delle persone coinvolte. In termini assoluti, i valori più elevati si riscontrano in Lazio, Lombardia e Sicilia.
  • 12.594 le persone condannate per reati droga-correlati.

Due dei punti cardine sull’andamento della “guerra alla droga” sono gli arresti e i sequestri. Il tempo però ha insegnato a tutti che l’arresto di piccoli, medi o grandi spacciatori come pure di cosiddetti capi significa solo, alla fin fine, più o meno tempo per la riorganizzazione della filiera di distribuzione e vendita. I sequestri poi, anche laddove riguardano quantità che  possono sembrare enormi, vanno o andrebbero valutati nella giusta prospettiva.

Nel 2021 sono stati sequestrati 91.152,45 chilogrammi di droga in Italia. Passando dalle circa 59 tonnellate del 2020 alle oltre 91 del 2021 non si può non interrogarsi su cosa stia effettivamente accadendo.

Le forze di polizia potrebbero aver sviluppato tecniche più sofisticate per intercettare i carichi di droga in arrivo e in circolazione nel nostro Paese ma potrebbe anche esserci un costante aumento degli stessi. Oppure entrambe le cose insieme. La droga in arrivo aumenta e con essa aumentano anche le probabilità di essere intercettata.

Gli analisti dell’antimafia ipotizzano, in linea generale, che per ogni chilo sequestrato riesce a superare le ispezioni un quantitativo superiore di almeno tre volte. La parte che finisce sotto sequestro è un costo fisiologico messo in conto dalle mafie.

E se i sequestri aumentano e la produzione e il consumo anche non si può non chiedersi se questa “guerra alla droga” la si sta davvero combattendo oppure si vuole solo dare l’impressione di farlo.

È opinione condivisa che in guerra la prima vittima è sempre la verità? Ciò vale anche per la guerra alla droga?

Nel post-Guerra fredda la guerra alla droga ha ormai definitivamente contribuito a spostare l’attenzione degli apparati di sicurezza statali dalle tradizionali minacce militari alle nuove “minacce transnazionali”. La convenzionale distinzione tra il combattere un conflitto bellico e la lotta al crimine si è dissolta sempre più, cambiando la natura stessa della guerra.

Una guerra contro la droga, anche quando non risulta particolarmente efficace nel reprimere gli stupefacenti, può diventare un mezzo utile per il perseguimento di altri obiettivi strategici, tra cui quello di attaccare e delegittimare i nemici. Ciò fu evidente, per esempio, nel corso della Guerra fredda, allorquando il governo americano accusò la Cina rossa e la Cuba castrista di inondare gli Stati Uniti di droga, mentre in realtà la Cina si era in gran parte ritirata dal narcotraffico internazionale e i cubani più coinvolti in affari erano anticomunisti esiliati a Miami o altrove. Quando la Guerra fredda si concluse e il Congresso e l’opinione pubblica statunitense non furono più disposti a sovvenzionare campagne controinsurrezionali anticomuniste, le agenzie antidroga offrirono agli strateghi di Washington un comodo canale alternativo per finanziare il supporto militare alla guerra del governo colombiano contro le insurrezioni di sinistra.

Dalla Birmania al Messico, alla Colombia, i narcotrafficanti rafforzano la loro capacità militare per difendere o cercare di conquistare con la violenza i mercati della droga. Negli ultimi anni le dispute tra gruppi rivali che si contendono il territorio hanno imposto un tributo particolarmente pesante al Messico, dove il conto dei morti ha superato quello della maggior parte delle guerre civili.

Probabilmente le attuali battaglie tra gang della droga rivali possono essere viste come una forma criminale di guerra commerciale, resa possibile sia dalla proibizione delle droghe sia dalla facile disponibilità di arsenali militari e di soldati addestrati dall’esercito.

Bisogna sottolineare che la “guerra per la droga” può interagire strettamente con la “guerra contro la droga”, ed esserne alimentata. Quando un’organizzazione è smantellata o indebolita dalla “guerra contro la droga”, altri narcotrafficanti intraprendono una “guerra per la droga”: una violenta competizione per accaparrarsi i territori rimasti vacanti. Questi combattimenti rappresentano anche delle “guerre grazie alla droga”, nella misura in cui sono finanziati con i proventi dei traffici illeciti.

Un ulteriore effetto interattivo è che i narcotrafficanti possono lanciare una “guerra per la droga” come reazione difensiva a una “guerra contro la droga”, assassinando giudici, poliziotti e politici. La prassi tipica della maggior parte dei narcotrafficanti è sfuggire allo stato, anziché scontrarvisi con la forza, ma in casi eccezionali si è arrivati anche a una dichiarazione di guerra totale contro lo stato.

L’attuale guerra contro la droga può anche essere vista come una vicenda di affermazione dello stato. Spesso i leader di governo hanno giustificato le campagne antidroga come uno sforzo per proteggere i cittadini, pacificare gli attori violenti non statali, presidiare i confini e imporre l’ordine pubblico: prerogative dello stato per eccellenza.

E anche se la guerra contro la droga ha fallito ripetutamente, a volte in maniera sensazionale, la connessa escalation delle attività militari ha ampliato e potenziato notevolmente gli apparati di sicurezza dello stato. Attraverso la guerra contro la droga i controlli di polizia si sono notevolmente estesi, e in alcuni luoghi ciò ha persino comportato la trasformazione dei soldati in poliziotti. Una delle conseguenze è stata quella di mettere in dubbio fin dalle basi la tradizionale distinzione fra combattere una guerra e combattere la criminalità.

Non bisogna dimenticare poi che la guerra contro la droga ha permesso di riscuotere cospicue entrate grazie a leggi ad ampio raggio per la confisca dei beni, che hanno reso le attività di polizia altamente redditizie.

E c’è stata una massiccia, anche se non registrata, riscossione informale di entrate nella forma di tangenti e bustarelle, che può essere concepita come un’imposta de facto sul traffico di droga.

Con l’atto di criminalizzare la droga, lo stato crea la minaccia – gonfiando bruscamente i profitti ricavati dai narcotici e mettendo il business clandestino nelle mani di criminali pesantemente armati -, e ciò a sua volta offre allo stato una ragione per reagire con una guerra alla droga sempre più militarizzata. E poiché i trafficanti eliminati e la droga sequestrata che gli stati usano come misura del loro “successo” sono facilmente sostituibili, e politici e burocrati hanno forti incentivi a insistere e intensificare gli sforzi anziché a riconsiderarli, la guerra alla droga continua a trascinarsi.

Viene allora da interrogarsi su dove ci porterà tutto questo. Si vincono le battaglie della guerra alla droga, ma la guerra non finisce. E la dinamica della guerra si autoperpetua in maniera perversa: le vittorie sul campo pongono involontariamente le condizioni per ampliare il conflitto; chiudere le vecchie rotte e togliere di mezzo i trafficanti fa semplicemente emergere nuove rotte e più trafficanti. Oltretutto, ne conseguono lotte per il territorio che possono alimentare ancor di più la violenza che l’invio di militari avrebbe dovuto sedare. E se il passato può in qualche modo guidarci al futuro, è lecito aspettarsi che le cose continuino così.

Molti consumatori di eroina americani si sono votati alla droga solo dopo essere diventati dipendenti da antidolorifici oppiodi regolarmente prescritti. Quella contro la droga, tuttavia, è una guerra altamente selettiva, che evita in tutti i modi di prendere seriamente di mira le case farmaceutiche che hanno pubblicizzato con tanta aggressività prodotti che creano dipendenza.

Ma cosa accadrebbe se la guerra alla droga dovesse in qualche modo finire? Finirebbe anche la violenza?

La legalizzazione priverebbe l’enorme commercio illegale planetario dei suoi profitti gonfiati dal proibizionismo, che alimentano la violenza e finanziano terroristi e insorti. Probabilmente i narcotrafficanti diversificherebbero i loro affari e si rivolgerebbero ad altre attività illecite, come fecero i boss mafiosi statunitensi dopo la revoca del proibizionismo dell’alcol, ma il loro flusso di entrate più rilevante sarebbe prosciugato.

Non bisogna dimenticare che la proibizione della droga e gli elevati volumi del narcotraffico precedono di gran lunga, per esempio, le ondate di violenza in Messico. Non sono solo il proibizionismo e i flussi di droga in sé a innescare la violenza, ma le modalità specifiche con cui le leggi antidroga vengono applicate o disattese.

Troppo spesso la politica impregnata di moralismo della guerra alla droga esclude approcci più pragmatici.

Se da un lato gli eserciti contemporanei vengono schierati su un numero di fronti sempre maggiore per combattere la droga, dall’altro combattono sempre più “fatti” di droga. Molti di coloro ai quali è è affidato il compito di fare la guerra continueranno a cercare aiuto nelle droghe, che siano prescritte o auto-prescritte. Se è vero che il combattere da strafatti ha una lunga tradizione, oggi sono disponibili più droghe per un numero di soldati più alto che mai, e lo stato continua a essere uno dei principali spacciatori.

Circa 270milioni di persone nel mondo fanno o hanno fatto uso di droga. È necessario quindi andare oltre l’immagine stereotipata del tossico eroinomane che giace inerme con una siringa infilata in un braccio. Bisogna andare oltre. Molto oltre.

Rientra nella più assoluta “normalità” l’identikit del cocainomane socialmente inserito emersa dall’attività del centro clinico cocainomani di Brescia: età compresa tra i 25 e 34 anni, con titoli di studio, lavoro e famiglia e con l’abitudine di fare una o più “piste” di cocaina al giorno.

Nel 2006 il Garante della Privacy bloccò la messa in onda dell’inchiesta condotta dalla troupe della trasmissione televisiva Le Iene – un parlamentare su tre positivo ai test antidroga – perché lesiva dell’immagine e dell’onorabilità dell’istituzione. Dieci anni dopo, sempre i parlamentari italiani hanno bocciato l’ordine del giorno per introdurre cani e test antidroga anche in Parlamento. E allora si è provata la strada già percorsa dal «Sun» nel 2013 che diede origine a quello che fu definito lo “scandalo cocaina a Westminster”: utilizzare i kit pronti all’uso per testare le superfici dei bagni del Parlamento. Le tracce sono state trovate e i test hanno dato esiti positivi.

Bisognerebbe poi riconoscere che la guerra stessa può essere pensata come una droga, la quale probabilmente durerà nel tempo, mentre la popolarità di altre sostanze stupefacenti va e viene.

L’unica cosa che si può prevedere con una qualche certezza è che la droga e la guerra proseguiranno nel loro abbraccio mortale: l’una farà e rifarà l’altra ancora negli anni e nei decenni a venire.

E intanto possiamo sempre continuare o iniziare a guardarci intorno, anche su una qualsiasi strada, e chiederci quante auto, camion o altri veicoli imbottiti di droga ci sono intorno a noi. Domandarci quante sono le persone che fanno uso di droga e perché. Chiedere a noi stessi quante sono le persone che realmente combattono la guerra contro la droga e perché lo fanno.

Perché se non si conosce a fondo e per intero il problema globale della droga e della guerra alla droga si rischia di ridurlo a un mero problema esistenziale di persone con delle fragilità. Invece è un problema globale, di salute pubblica ma anche di geopolitica, di economia e malavita, di malapolitica e corruzione, di scelte e di opportunismo, di vittime e di carnefici. Di Stato e di Mafia.


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