La lettura della sentenza è arrivata puntuale, alle 5 e mezzo della sera: 6 anni di carcere e l’interdizione a vita dai pubblici uffici. Per i giudici che hanno seguito i tre anni del processo, l’ex capo di Stato e attuale vicepresidente della Repubblica argentina è colpevole di frode ai danni dell’erario pubblico (per un miliardo di dollari USA). Ha favorito (quando era al vertice del potere: 2007-2015) l’assegnazione di una serie di appalti a un semisconosciuto imprenditore edile, Lazaro Baez, ritenuto di fatto un complice prestanome, anch’egli processato e condannato alla medesima pena. Cristina Fernandez Kirchner aveva anticipato più volte la sentenza, per ultimo alla vigilia, intendendo così dimostrare il carattere persecutorio del procedimento giudiziario. Di cui, in effetti, insigni giuristi, oltre ai suoi difensori in tribunale, hanno fin dall’avvio denunciato varie violazioni procedurali e di fatto. Lawfare, è il nome di questa giudizializzazione della politica.
Il sistema giudiziario argentino pur vantando una scuola di valore (con apporti storici anche italiani) e momenti di altissima dignità (come nei processi alla Giunta militare golpista del generale Jorge Videla, negli anni Ottanta del secolo scorso), da tempo attraversa pesanti contestazioni, faide interne e sospetti di politicizzazione che ne hanno compromesso il prestigio. L’ultimo scandalo è legato proprio e specificamente al processo contro Cristina Kirchner. Un hackeraggio ha rivelato che il controverso giudice Julian Ercolini, che fin dall’inizio lo ha istruito, ha tentato di nascondere un viaggio in Patagonia compiuto qualche mese addietro con altri magistrati, politici avversari dichiarati dell’attuale governo e noti imprenditori. Una circostanza che quanto meno non accredita ai giudici quello spirito di terzietà che dovrebbe animarli.
Cristina Kirchner, comunque, non rischia il carcere; né, al momento, l’interdizione. A proteggerla ci sono non soltanto l’immunità alla quale ha diritto in quanto vicepresidente; bensì anche la facoltà di ricorrere appello alla Corte Suprema, i cui tempi decisionali lasciano prevedere almeno un paio d’anni di attesa. Tanto più che lo stesso collegio giudicante non se l’è sentita di accogliere la richiesta dell’accusa di attribuire alla vicepresidente anche il reato -eccezionalmente pesante- di associazione a delinquere. Che avrebbe raddoppiato a 12 anni la carcerazione ed eliminato tutta una serie di possibili benefici minori. In quanto della presunta associazione criminosa Cristina veniva indicata il responsabile massimo. Molti dei passaggi, alcuni fondamentali, sui quali si sostiene l’accusa, sono di natura deduttiva: l’imputata non poteva non sapere.
Immediati, però, sono gli effetti politici della condanna. Ne risultano approfondite tanto le fratture politiche interne tra le diverse tendenze del peronismo, quanto i rapporti personali da tempo peggio che aspri tra i rispettivi dirigenti. A cominciare da quelli tra Cristina e il presidente Alberto Fernandez, da mesi in crescente contrasto sulla politica da portare avanti nei confronti del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Il capo dello stato convinto di dover approfittare d’ogni margine negoziale pur di evitare una rottura, la sua vice decisa alla battaglia frontale se non al tanto peggio tanto meglio. Lei vedendo nella radicalizzazione l’unica strategia possibile per mobilitare il paese più precario e la sua piccola borghesia nazionalista a sostegno di uno stato interventista in economia non meno che in politica. Lui gradualista instancabile per temperamento, oltre che per scelta. Considerando la vertiginosa inflazione che tiene in bilico l’Argentina.
Ora sono entrambi in un’impasse difficile da aggirare; né aiuta che il fronte dell’opposizione conservatrice viva una situazione analoga. Sebbene non priva di argomenti per combattere la condanna giudiziaria, Cristina deve essere consapevole del colpo subito dalla sua immagine pubblica. L’agibilità politica non potrà non risentirne. La prima verifica diverrà visibile nelle prossime settimane, osservando l’ampiezza della mobilitazione già annunciata dalla Campora, l’organizzazione diretta dal figlio Maximo che riunisce i settori sociali marginali e militanti attorno ai giovani dell’ala radicale del peronismo. Alberto Fernandez conta su una rinnovata alleanza con il Brasile del neo-presidente Lula da Silva, per rilanciare l’economia nazionale grazie all’intensificazione degli scambi commerciali con il possente vicino. Insieme potrebbero impostare un proficuo dialogo con gli Stati Uniti e con l’Europa. Una prospettiva in cui vede un proprio spazio di crescita anche il terzo leader del Fronte peronista, l’attuale ministro dell’Economia Sergio Massa.