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La Meloni attenta all’Agenda Draghi

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Una conferma viene anche dalla manovra economica. Giorgia Meloni è attenta al lascito dell’Agenda Draghi. Non vuole, però, apparire schiacciata sulle posizioni del banchiere-economista, il tecnico suo predecessore a Palazzo Chigi.

Non a caso la presidente del Consiglio, nella conferenza stampa nella quale ha presentato la manovra economica del governo per il 2023, ha polemizzato con i giornalisti. Ha risposto a brutto muso ai cronisti che reclamavano più tempo per le domande: «Con me siete assertivi…». Sottinteso: con Draghi presidente del Consiglio i giornalisti non avevano lo stesso comportamento deciso.

Giorgia Meloni, alla guida di un esecutivo politico di destra-centro, ci tiene a mantenere le distanze con il tecnico Draghi. Ha l’esigenza politica di marcare una discontinuità che c’è ma solo in parte. La presidente del Consiglio in politica estera ha mantenuto la stessa rotta dell’atlantista ed europeista Draghi, lasciando la vecchia impostazione sovranista e populista. Difatti ha confermato il netto sostegno all’Ucraina contro l’aggressione della Russia già emerso quando era all’opposizione del ministero Draghi.  Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, i suoi due alleati di governo, hanno invece un atteggiamento molto più morbido verso Vladimir Putin anche sul fronte delle sanzioni decise dai paesi occidentali.

Lo stesso discorso vale per i conti pubblici. Giorgia Meloni è molto attenta a non aumentare il deficit e il debito pubblico italiano con cifre alte, insostenibili. Ha bocciato gli ampi “scostamenti di bilancio” sollecitati da Salvini e Berlusconi, ma guardati con preoccupazione dalla commissione europea. E così non sono in pericolo i consistenti fondi concessi da Bruxelles al nostro paese per la ricostruzione post Covid.

Mario Draghi già da prima delle elezioni politiche aveva invitato sia Washington sia Bruxelles ad avere fiducia nel nuovo governo. Sia negli Stati Uniti sia in molte nazioni europee c’era e c’è molta preoccupazione per il nuovo esecutivo italiano guidato da Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, un partito post fascista. Draghi, forte della sua grande credibilità internazionale, di fatto ha assunto il ruolo di Lord Protettore del nuovo ministero. Non a caso il passaggio di consegne a Palazzo Chigi tra il vecchio e il nuovo presidente del Consiglio è avvenuto in un clima di grande cordialità.

Nella manovra economica, non a caso, non hanno fatto breccia le promesse elettorali più clamorose: né la flat tax generalizzata voluta dal segretario della Lega né le pensioni minime aumentate a 1.000 euro al mese annunciate dal presidente di Forza Italia. Certo la flat tax ha avuto nuovo impulso, ma sempre limitatamente a una parte dei lavoratori autonomi, quelli con un reddito fino a 85.000 euro l’anno. Le pensioni minime, invece, dovrebbero salire da 525 e a 570 euro al mese. Sono operazioni contenute, certo non costituiscono l’annunciata riforma per ridurre le tasse (rinviata ai prossimi anni) e né quella della previdenza.

I margini di manovra dell’esecutivo sono molto stretti a causa del caro energia e dell’incombente recessione economica. Giorgia Meloni ha rivendicato «grande serietà e responsabilità». Così i mercati finanziari internazionali hanno accolto bene la manovra economica del governo di destra-centro e lo spread tra i Btp decennali italiani e quelli tedeschi non è esploso, anzi è addirittura calato sotto quota 200 punti.

Giorgia Meloni ha assicurato: la manovra economica è coraggiosa, aiuterà «i redditi medi, non i ricchi». Quando mancano le risorse «non si pensa al consenso». Non è esattamente così: gran parte dei fondi va per alleviare il caro energia e il ceto medio farà da bancomat (in particolare con i tagli alla rivalutazione delle pensioni nonostante l’alta inflazione) per una serie di micro interventi. Dopo la tragica frana a Ischia ora dovrà pensare al dissesto idrogeologico causato anche dall’abusivismo edilizio.

La Meloni ha annunciato l’intenzione di difendere «l’interesse nazionale dell’Italia». Ma come nel caso dei migranti e della scuola ha puntato e punta sulla severità soprattutto per rivendicare la sua identità di destra, tranquillizzando il tradizionale elettorato conservatore italiano.


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