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L’Espresso non diffamò il cardinale Becciu. Respinta la richiesta di risarcimento danni da 10 milioni

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Il prelato dovrà pagare le spese processuali (40mila euro) in favore di Gedi e dei tre giornalisti citati in giudizio: Massimiliano Coccia, Angiola Codacci Pisanelli e l’allora direttore Marco Damilano. La giudice: «L’interpretazione dei fatti offerta dagli articoli deve ritenersi del tutto lecita nell’ambito dell’esercizio di critica».

Nell’inchiesta giornalistica de L’Espresso sul cardinale Angelo Becciu, a firma di Massimiliano Coccia, non ci fu né diffamazione, né denigrazione. Lo ha stabilito il Tribunale civile di Sassari che mercoledì 23 novembre 2022, con una sentenza emessa dalla giudice Marta Guadalupi, ha respinto la richiesta di risarcimento danni, per 10 milioni di euro, presentata dallo stesso Becciu, e ha condannato il cardinale di Pattada, 74 anni, al pagamento delle spese processuali, quantificate in 40mila euro, in favore del gruppo editoriale Gedi e dei tre giornalisti citati in giudizio: Massimiliano Coccia, la caporedattrice Angiola Codacci Pisanelli e l’allora direttore Marco Damilano.

Il cardinale Becciu aveva chiesto un risarcimento danni pari a 10 milioni – che sarebbero andati in beneficenza – ritenendo di essere stato diffamato e denigrato dall’inchiesta del settimanale sull’utilizzo dei fondi del Vaticano e sulle dimissioni del porporato. Chiedeva anche che fossero rimossi dai siti web di pertinenza del gruppo Gedi gli articoli “diffamatori”, e che fosse inibita la pubblicazione di ulteriori servizi sull’argomento.

Nella richiesta, il legale del cardinale, Natale Callipari, specificava che il risarcimento sarebbe stato devoluto «alle opere di carità». Secondo la giudice, che ha accolto le tesi difensive degli avvocati Virginia Ripa di Meana ed Elisa Carucci, «l’interpretazione dei fatti offerta dagli articoli in questione deve ritenersi del tutto lecita nell’ambito dell’esercizio di critica, seppur indubbiamente espressa in modo duro, aspro e polemico (ma mai contumelioso), direttamente proporzionale al ruolo di altissimo livello ricoperto dell’attore».

E ancora, si legge nella sentenza, «pretendere la censura a priori del giornalismo esplicato mediante la denuncia di sospetti di illeciti, significherebbe degradare, fino ad annullarlo, il concetto stesso di giornalismo di inchiesta e di denuncia». (Ansa)

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