Le iniziative del neo ministro degli interni Matteo Piantedosi relative agli sbarchi dei migranti hanno suscitato polemiche e contrasti anche a livello europeo.
Il ministro ha enunciato la teoria per la quale i migranti che si trovano sulle navi delle ONG nel Mediterraneo devono chiedere asilo a bordo di esse, vale a dire agli Stati di bandiera che se ne devono far carico essendo responsabili dei migranti soccorsi dalle navi; in mancanza di tale richiesta, alla nave è vietato l’attracco e lo sbarco in porto italiano. Tale principio è stato applicato, con appositi decreti interministeriali firmati da Piantedosi (interni), Crosetto (difesa) e Salvini (infrastrutture), nei confronti delle ONG “Humanity 1” (battente bandiera tedesca con 176 migranti) e “Geo Barents” di MSF (bandiera norvegese con 572 migranti) alle quali è stato, per oltre dieci giorni, vietato lo sbarco a Catania quale porto sicuro”, salvo poi autorizzare l’attracco solo per far sbarcare, per “emergenza umanitaria”, (c.d. “sbarco selettivo”) le persone fragili, donne e minori (circa 140 per “Humanity 1” e 357 per “Geo Barents”), con l’obbligo per le navi (con i restanti migranti) di uscire dalle acque territoriali, obbligo al quale, allo stato, non hanno ottemperato i comandanti delle navi i quali hanno comunicato che non andranno via finché non vengano fatti sbarcare tutti i migranti che ne hanno parimenti diritto in quanto fuggiti in condizioni disumane dalla Libia e soccorsi dalle navi in missioni di salvataggio.
I provvedimenti in questione hanno suscitato aspre critiche sia da parte della stessa Commissione europea la quale ha “sottolineato che sussiste un obbligo morale e legale degli Stati membri di salvare persone” sia da parte della Germania che della Norvegia; quest’ultima attraverso il suo ambasciatore a Roma, ha dichiarato che “la Norvegia non ha nessuna responsabilità ai sensi delle convenzioni sui diritti umani o del diritto del mare per le persone imbarcate a bordo di navi private o ONG battenti bandiera norvegese nel Mediterraneo”.
In proposito, si osserva, in primo luogo, che, perché un respingimento collettivo sia legittimo, occorre, in base a quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (sent. “caso Hirsi” 2009) che i migranti siano soggetti alla potestà esclusiva del Paese che respinge e ciò non avviene nella ipotesi che essi si trovino a bordo di una nave che batte bandiera straniera.
In secondo luogo, il Trattato dii Dublino – impropriamente invocato dal governo italiano – stabilisce il principio di responsabilità permanente del Paese di primo approdo dei migranti.
Peraltro, che si tratti di provvedimenti illegittimi, basta ricordare che – all’epoca dei “decreti Salvini” (del quale Piantedosi era capo-gabinetto) cui pericolosamente somigliano le attuali disposizioni – l’Alto Commissario ONU per i diritti umani censurò duramente i decreti suddetti in quanto violavano i diritti fondamentali – in particolare “il principio di non respingimento” – previsti dalle convenzioni internazionali tra le quali quella ONU sui “diritti del mare” (del 1982) e la convenzione di Amburgo sulla “ricerca e il soccorso in mare” (del 1970 emendata nel 2004) che impongono un preciso obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare e il dovere di sbarcare i naufraghi in un “porto sicuro” (place of safety).
In sostanza, la sovranità degli Stati incontra un limite nel rispetto dei diritti dell’uomo ossia nell’obbligo gravante sulle autorità nazionali di proteggere e tutelare i diritti fondamentali delle persone soccorse in mare; detta tutela si fonda essenzialmente sul rispetto del “principio di non respingimento” previsto dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra, nonché dall’art. 19 della Carta di Nizza e dall’art. 3 del IV protocollo allegato alla CEDU in forza dei quali “le espulsioni collettive sono vietate” (compresi i respingimenti collettivi in acque internazionali, “caso Hirsi”).
Del resto, l’art. 10 della Carta, nel garantire il diritto di asilo nel territorio della Repubblica, stabilisce che “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”.
Conclusivamente, è illegittimo far sbarcare esclusivamente alcuni dei naufraghi e di respingere indistintamente tutti gli altri al di fuori delle acque territoriali nazionali, perché ciò si configura come una forma di respingimento collettivo.
*ex giudice Corte Cassazione