Il più gentile fa un apprezzamento sull’indennità parlamentare che guadagna, i meno gentili intravedono in lei uno sguardo diabolico, quelli peggiori le augurano la morte. Liliana Segre è sotto scorta da 3 anni proprio per i messaggi minacciosi che riceve continuamente. Soprattutto perché ebrea, più in generale per le posizioni sui temi d’attualità che prende. In questi ultimi giorni si sono scatenati i no-vax perché la senatrice Segre ha commentato il reintegro dei medici obiettori vaccinali deciso dal Governo Meloni dicendo che lei sarebbe stata più severa.
Le fonti da cui sono partite le offese sono le solite, personaggi pubblici compresi. Come spesso accade alcuni sono bot, macchine che agiscono in automatico, ma altri sono account alimentati da persone in carne ed ossa. Fa un certo effetto leggere – come ha ricordato la stessa Liliana Segre – l’augurio che il Covid finisse il “lavoro” che i nazisti non avevano concluso ad Auschwitz. Anche in quel caso era la reazione violenta al suo invito a vaccinarsi. Fa un certo effetto perché Liliana Segre è una delle poche sopravvissute alla pianificazione dello sterminio di una categoria di persone giudicate inferiori: nella classifica degli orrori da evitare che riaccadano il nazismo è sicuramente al primo posto. O se preferite è un tabù, è un limite che pensavamo – a torto – non potesse essere superato di nuovo.
Il tema è diverso ma la spinta che in queste ore muove gli haters contro i naufraghi delle navi umanitarie è analoga. Persone malridotte da torture e da viaggi da incubo vengono ridicolizzate, invitate a morire, considerate alla stregua di invasori. Se volete avere un’idea basta andare nelle risposte arrivate ad un tweet della Caritas di Milano che stigmatizzava l’assenza di solidarietà del Governo per le tre navi umanitarie che fino a sabato erano in balia delle mareggiate. Il più gentile spiegava con assoluta certezza che i naufraghi si sarebbero trasformati in scippatori, il più fantasioso rispolverava la baggianata del piano Kalergy per la sostituzione etnica, il più scontato invitava la Chiesa ad ospitarli (senza sapere che già accade).
Storie diverse, che richiedono meno articoli come questo e più decisioni concrete: Liliana Segre, che non ha voluto commentare gli ultimi messaggi d’odio, ci ha spiegato che “da tempo non sta in silenzio ma denuncia e querela i casi più gravi”. In assenza di una unanime definizione di cosa è critica e cosa è odio, in assenza di chiarezza sulle responsabilità dei social – che non sono organi d’informazione – restano poche scelte: la denuncia per chi si sente vittima di odio online, educazione al rispetto fin dalle scuole, senso di responsabilità da parte dei responsabili editoriali dei mass media. Ma sugli ultimi due punti, purtroppo, ho molti dubbi…