Sono trascorsi cinquant’anni dall’uccisione di Giovanni Spampinato, il corrispondente da Ragusa de L’Ora di Palermo, quel giornale che aveva già perso altri due cronisti impegnati a svelare gli intrecci tra mafia e tessuto economico e sociale della Sicilia: Cosimo Cristina ucciso nel 1960 e Mauro De Mauro sequestrato e ucciso nel 1970.
50 anni fa
La notte del 27 ottobre 1972, a Ragusa, Giovanni Spampinato fu ucciso con sei colpi di pistola dal passeggero che era seduto accanto a lui sulla sua Fiat Cinquecento. Giovanni aveva 25 anni. Ne avrebbe compiuti 26 pochi giorni dopo, il 6 novembre. A sparare fu il figlio dell’allora Presidente del Tribunale di Ragusa che gli aveva chiesto di incontrarlo per fornirgli delle informazioni. L’assassino si costituì immediatamente, confessò, fu processato e condannato. Ma non è mai emersa una completa verità sul vero movente del delitto, né è stata fatta luce su complici e mandanti.
Su cosa indagava Giovanni
Il giornalista stava raccogliendo informazioni sul misterioso assassinio, commesso a Ragusa, otto mesi prima, dell’ingegner Angelo Tumino, amico di Roberto Cambria, costruttore edile e antiquario, ex consigliere comunale del MSI e legato ad ambienti dell’estrema destra. Giovanni raccoglieva informazioni e sollecitava la magistratura a indagare sui retroscena politici, affaristici e mafiosi di quell’omicidio, assolutamente atipico in una città tranquilla come Ragusa. Dopo la morte del corrispondete dell’Ora, al delitto e agli interrogativi da lui sollevati fu data poca attenzione. Le indagini proseguirono contro ignoti e 35 anni dopo, l’inchiesta fu archiviata, lasciando il caso insoluto.
Soltanto nel 2021, cioè 49 anni dopo l’omicidio, la Procura di Ragusa, ha riaperto l’inchiesta sull’assassinio dell’ingegnere Angelo Tumino, ucciso a Ragusa il 28 febbraio 1972.
Le nuove indagini
A quanto si è appreso, la Procura ha riaperto l’inchiesta sulla base di una nuove informazioni su una pista che Giovanni Spampinato aveva suggerito in un articolo pubblicato sul giornale L’Ora il 28 aprile 1972, su cui gli inquirenti avrebbero ora una testimonianza, nuove informazioni sul furto avvenuto poco prima della morte dell’ingegner Tumino di un pregiato pezzo d’antiquariato (che varrebbe oggi un milione di euro) e sul gruppo sanguigno di un ancor ignoto passeggero riscontrato 50 anni fa sull’automobile di Angelo Tumino dopo la sua tragica morte. Questi elementi hanno rivalutato la pista prospettata da Giovanni Spampinato in quell’articolo del 28 aprile 1972, cioè scritto sei mesi prima che egli stesso fosse a sua volta assassinato.
L’articolo del 1972
In quell’articolo Giovanni Spampinato chiese: “perché fu ucciso l’ing. Tumino?”. E rispose: “Non certo per rapina. (…) Che relazione esiste tra il delitto e la voce secondo cui, una settimana prima di esso, uno sconosciuto avrebbe commissionato ad alcuni giovani un furto nel deposito di materiale di antiquariato di Ibla di proprietà di Angelo Tumino? Era stato pattuito un compenso di 300 mila lire. Ma il furto non ebbe luogo perché la piccola banda si sarebbe tirata indietro all’ultimo momento temendo eventuali conseguenze dal fatto (…). L’illazione alla fine è troppo semplice: lo sconosciuto committente avrebbe tentato per altra via di impadronirsi di ciò che interessava (un “pezzo” di gran pregio?), sarebbe giunto allo scontro aperto con Tumino e lo avrebbe ucciso”.
Un milione di euro
Secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa AGI, il reperto archeologico sarebbe “un cratere con quadriga, ovvero un vaso attico, riconosciuto informalmente come autentico da un funzionario (ed esperto) della Soprintendenza di Siracusa dell’epoca, pochi giorni prima dell’omicidio dell’ingegnere. Un pezzo che, secondo fonti qualificate, valeva all’epoca fra 80 e 100 milioni di lire. Soldi che rivalutati oggi a distanza di mezzo secolo, farebbero la cifra di quasi un milione di euro”. Alcuni elementi dell’indagine condurrebbero a ipotizzare una partecipazione della criminalità organizzata, come aveva scritto Giovanni Spampinato in un altro articolo intitolato “una pista è la mafia”.
Il commento del fratello Alberto
“I nuovi sviluppi investigativi – ha dichiarato Alberto Spampinato, l’altro fratello di Giovanni – confermano che l’assassinio di mio fratello è una vicenda emblematica dei rischi che corrono in Italia i giornalisti che non si limitano a ricopiare i comunicati stampa, che pretendono di assolvere ai loro doveri pubblicando verità scomode, notizie che disturbano affari poco puliti e apparati pubblici che chiudono gli occhi invece di spalancarli. Non a caso la vicenda di Giovanni Spampinato è stata alla base della fondazione dell’osservatorio Ossigeno per l’Informazione. Mio fratello è stato ucciso per zittire un giornalista coraggioso, che spingeva gli inquirenti a indagare su gravissimi fatti, su delitti commessi con il coinvolgimento di ambienti politici di estrema destra e della mafia e su traffici finalizzati al finanziamento di attività terroristiche. L’altro giorno, il 20 ottobre 2022, a Strasburgo al Parlamento Europeo, ho ascoltato le parole vibranti di dolore, emozione e indignazione di Matthew Caruana Galizia, coraggioso figlio della giornalista maltese Daphne, uccisa a La Valletta nel 2017 con un’autobomba. Pochi giorni prima i giudici di Malta avevano condannato gli esecutori materiali. Questo è solo l’inizio, ha commentato Matthew, chiedendo che siano individuati e condannati anche i mandanti, perché mia madre, ha detto, non è stata uccisa per un banale contrasto fra persone ma perché denunciava un grande scandalo di corruzione. Le sue parole sono state condivise dagli altri oratori, fra cui la vice presidente del Parlamento Europeo, Pina Picierno e la Commissaria per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovic. Anch’io le ho condivise. Con le sue stesse motivazioni, da 50 anni, chiedo che siano individuati e condannati sia i mandanti dell’assassinio di mio fratello sia quelli dell’ingegnere Angelo Tumino”.
Cercava la verità
Giovanni era appassionato del suo lavoro che aveva intrapreso mentre studiava filosofia all’Università di Catania. Nella sua Ragusa, tradizionalmente considerata “babba”, immune cioè dalle presenze mafiose, era l’unico a scavare la realtà, svolgendo inchieste che raccontavano di un territorio in cui, invece, la criminalità organizzata stringeva legami con gruppi eversivi di estrema destra per fare affari. Cercava la verità, per questo fu ucciso come scrisse il giorno dopo la sua morte il giornale L’Ora.
Cercava la verità è anche il titolo, declinato al plurale, che Ossigeno per l’informazione ha scelto per far conoscere la storia di Spampinato e degli altri 29 giornalisti italiani uccisi da mafie, terrorismo e in zone di crisi. L’Osservatorio sui giornalisti minacciati e le notizie oscurate con violenza è nato oltre dieci anni fa su iniziativa del giornalista Alberto Spampinato, fratello di Giovanni. Ossigeno opera una memoria attiva e collettiva. Attiva, perché ricordando i cronisti uccisi accende i riflettori sulla necessità, ancora attuale, di rendere più sicure le condizioni di lavoro dei cronisti di oggi minacciati, intimiditi, aggrediti. Collettiva, perché raccontando una per una trenta storie individuali, attraverso il Pannello della Memoria e il sito giornalistiuccisi.it Ossigeno racconta una sola storia: quella di uomini e donne accomunati da una smisurata passione per la professione e da un impegno civile per la ricerca della verità.
(Da Liberainformazione)