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In morte di due giovani lavoratori precari, due fra tanti

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Muoiono come mosche, sempre gli stessi, sempre la medesima categoria: sono i precari, giovani invisibili, pezzi di un ingranaggio che li stritola e li sostituisce. Senza alcuna pietà. Due storie molto simili in poche ore rimandano tutto ciò che c’è da sapere sul mondo del lavoro e che in troppi non vogliono vedere. Una è quella di Sebastian, il giovane rider morto a Firenze, investito da un suv mentre si recava a fare una consegna. Sulla dinamica dell’incidente sono in corso accertamenti ma quel che è accaduto nel frattempo fa venire i brividi. Quel ragazzo di appena 26 anni è stato licenziato da morto o perché era morto. Ecco cosa gli ha scritto la multinazionale per cui effettuava le consegne di cibo: “Gentile Sebastian, siamo spiacenti di doverti informare che il tuo account è stato disattivato per il mancato rispetto dei termini e delle condizioni”. La mail è partita in automatico secondo quanto riferito in seguito dall’azienda per scusarsi con la famiglia, in preda alla disperazione per la morte del ragazzo. La verità nuda e cruda è che il sistema informatico, avendo appurato, in base alle segnalazioni dei clienti, che le consegne non erano avvenute nei tempi previsti ha fatto partire la mail di interruzione immediata del rapporto, o meglio dell’account. Ignorando del tutto la tragedia che si era verificata e il motivo per il quale Sebastian non aveva potuto portare a termine la commessa. E’ orribile ma è così che è andata. La multinazionale per cui operava Sebastian si è scusata con la famiglia e ha annunciato che contribuirà alle spese del funerale. Tutto qui. Non ci sarà altro perché le norme vigenti non lo prevedono. Non è un infortunio sul lavoro secondo i canoni ordinari, non c’è fine rapporto, non c’è nulla. E’ ciò che reclamano da tempo i sindacati, ossia una regolamentazione dignitosa delle prestazioni dei “postini” del cibo. Senza il licenziamento del morto questa storia si sarebbe aggiunta ai tanti incidenti dei giovani che consegnano cibo per pochi euro, mettendo a serio rischio la loro sicurezza fisica. Nelle stesse ore in cui si consumava questa paradossale storia del lavoro degli anni duemila, a Sabaudia in provincia di Latina, un giovane bracciante indiano si è suicidato impiccandosi in un’azienda agricola della zona. L’ennesimo caso archiviato come frutto di depressione anziché della disperazione che circonda il lavoro da schiavi che si snoda sotto gli occhi di tutti nell’agro pontino. La notizia è stata data dal sociologo Marco Omizzolo, autore di una lunga battaglia contro il caporalato. A parte la sua indignazione poco altro. Sono morti due giovani lavoratori in Italia nei primi giorni di ottobre e sono gli ultimi di una lunga serie e sono tutti precari e le loro storie chiedono giustizia sociale oltre all’indignazione.
(Nella foto una delle proteste contro il precariato)


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