Giovedì 29 settembre a Roma, presso il Nuovo Cinema Aquila, si è tenuta un’utile e affollata assemblea per la libertà di Julian Assange.
«Il giornalismo non è un crimine», questo il titolo dell’iniziativa promossa da “Free Assange Italia” e “La mia voce per Assange”, grazie all’infaticabile lavoro di organizzazione di Marianella (Nena) Diaz e di un gruppo di attiviste e attivisti da tempo alle prese con un punto cruciale della democrazia.
Se venisse estradato dalla Gran Bretagna negli Stati Uniti, il fondatore di WikiLeaks rischierebbe – com’è noto- una condanna a 175 anni di carcere. Di fatto, una la pena di morte.
Il senso della manifestazione è stato proprio quello di lanciare l’allarme su una questione troppo a lungo sottovalutata anche dal e nel mondo dell’informazione, inconsapevole forse della rottura che provocherebbe un esito negativo della vicenda sulla stessa tenuta dei diritti e delle libertà.
Assange rischia di diventare un capro espiatorio e l’emblema di un clima che un po’ respiriamo ogni giorno negli attacchi anche fisici a coloro che mettono il naso nel “potere segreto” di cui ha scritto splendidamente Stefania Maurizi, tenacissima testimone e narratrice di una storia così emblematica.
Qualche novità importante pure vi è stata, nel frattempo: la federazione nazionale della stampa ha preso in carico il problema e l’ordine nazionale dei giornalisti ha consegnato la tessera professionale ad honorem ad Assange, per confutare lì argomento dell’accusa che ne ha disconosciuto il ruolo di giornalista.
Numerosi sono stati gli interventi, dopo il saluto di Nena Diaz e di “Articolo21”, e la relazione giuridica di Sara Chessa: Riccardo Noury, Enrico Calamai, Davide Dormino, Leonardo Filippi, Alberto Fazolo, Barbara Lezzi, Nicola Morra Fulvio Grimaldi, Giorgio Cremaschi, Pino Cabras, Franco Fracassi, Alessandro Stirpe, Eleonora Forenza. In collegamento da Bruxelles- la parlamentare europea Sabrina Pignedoli con un contributo del padre di Assange John Shipton e il collega Dino Giarrusso. In video Moni Ovadia, Ottavia Piccolo, Laura Morante.
L’impegno è chiaro: coordinare i vari momenti e le diverse mobilitazioni, allargare contatti ed alleanze, per creare un clima di opinione in grado di rovesciare il filo che ha tenuto insieme le gravi e infondate accuse contro chi ci ha fatto conoscere i misfatti delle guerre in Iraq e in Afghanistan, nonché le nefandezze delle cancellerie. Non dimentichiamo che recentemente Mike Pompeo ha raccontato che la CIA voleva uccidere una persona diventata scomodissima.
Un nuovo caso Dreyfus?