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Il peso delle parole, di Pascal Mercier

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Un romanzo prezioso, in cui le parole sono le vere protagoniste.

Scrivere non crea uomini nuovi. Ma produce chiarezza e comprensione. O perlomeno la loro parvenza. E quando si è fortunati nell’invenire le parole è come un destarsi a sé stessi e allora nasce un tempo nuovo: il presente della poesia (Pedro Vasco de Almeida Prado – O tempo da poesia, Lisboa 1903).

Quelle sopra riportate sono un tributo alle parole che Pascal Mercier (premio Grinzane Cavour per la narrativa straniera nel 2007 – autore del romanzo “Treno di notte per Lisbona” da cui è stato tratto l’omonimo film del 2013), pseudonimo di Peter Vieri, scrittore e filosofo svizzero, ha scelto come incipit del suo ultimo romanzo: “Il peso delle parole”, edito da Fazi Editore, in libreria dal 23 settembre (588pp. – €20).

Un romanzo bellissimo in cui sono le parole ad essere le vere protagoniste. Un romanzo in cui le parole fluiscono inarrestabili, l’una dopo l’altra, creando un’armonia di suoni, che prorompono dai ristretti confini di una frase per assumere vita propria.

E’ così che il protagonista del romanzo, Simon Leyland, affascinato dalla bellezza delle parole racchiuse nei diversi idiomi che si affacciano sul Mediterraneo – grazie alla passione trasmessagli dallo zio Warren Shawn – ha deciso di intraprendere la carriera di traduttore.  Egli, soltanto quando lavora ad una traduzione ed è impegnato alla ricerca delle espressioni più coerenti al contesto narrativo  si sente al riparo dalla sensazione di una realtà che si ritrae e svanisce. Soltanto quando è immerso nel suo lavoro di traduzioni tutto riacquista il suo assetto e si colma di presente.

Una vita, la sua, che si divide tra Londra e Trieste, quest’ultima un crogiuolo di culture, etnie e lingue, dove si era trasferito insieme all’amata Livia, 24 anni prima a seguito dell’eredità di una piccola casa editrice ricevuta dal padre e dove sono cresciuti e vivono i figli Sidney e Sophia.

Sono trascorsi 11 anni da quando la voce di Livia si è spenta per sempre, ma il ricordo del suono della sua voce è ancora capace di bloccargli il respiro.

Ed è all’adorata moglie che Simon rivolge, ancora oggi, le sue riflessioni sulla vita, sotto forma di epistole, che custodisce gelosamente, anche rispetto ai figli ignari.

Ma ecco che un bel giorno, proprio a Trieste, Simon si sente come paralizzato, prima il braccio, poi la gamba, mentre scrive l’ennesima lettera a Livia: “Non so se la punta della mia penna arriverà fino alla fine della lettera, alla fine di questa frase, alla fine di questa parola. Non so quanto si ripeterà quel che è successo ieri quando ho perso il controllo della penna. All’improvviso tracciava linee confuse, sbandava e rotolava e io, paralizzato dallo sgomento, ero costretto a osservare come dai segni della scrittura scomparisse ogni ordine e regolarità. Questo può capitare di nuovo a ogni istante. La paralisi l’ho avvertita dapprima nella mano che stava scrivendo, poi nel braccio e nella gamba destra….Era una esperienza terribile di impotenza: il non poter far più affidamento su me stesso… sapevo cosa volevo dire, ma le parole che avrebbero dovuto combinarsi in una frase completa non mi venivano. Non venivano!” Una terribile esperienza di impotenza.  La causa? Un tumore maligno: glioblastoma multiforme ha proferito il Dr. Leonardi nel leggere le immagini sul diafanascopio; pochi mesi di vita, un anno al più. Parole queste che giungono con tutta la loro forza dirompente, un uppercut che gli sconvolgerà lo scampolo di vita che gli resta da vivere, e che lo inchiodano ad un destino ineluttabile, al quale sembra non possa sfuggire.  Parole, questa volta, odiose! che non avrebbe voluto ascoltare, che lo condannano ad un destino infausto, dove la scrittura diverrà sempre più confusa e con essa la mente: “cosa ho fatto del tempo della mia vita?”

Ma quello che appariva come un evento ineluttabile, si rivelerà presto essere il frutto di un equivoco che Simon sfrutterà per dare un nuovo impulso alla sua vita e la scrittura diverrà di nuovo fluente. Un tempo nuovo!

Ottima la traduzione dal tedesco (Das Gewicht der Worte il titolo dell’opera in tedesco) di Elena Broseghini.


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