BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Viva il giornalismo libero e coraggioso

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Non sono giornalista e non ho mai seguito le precedenti edizioni del Premiolino, ma quest’anno sì e ne ho tratto insegnamenti preziosi, emozioni e anche conforto.

Il premio, prestigioso e ambito, vanta 62 anni di vita e il 12 settembre scorso alla Triennale di Milano è stato attribuito a otto giornalisti che rappresentano bene le diverse facce di un mestiere oggi declinato in una gamma variata di linguaggi, su carta stampata, nei libri, in televisione, tg, podcast, web etc. Alcuni di loro frequentano in parallelo diversi di questi registri e se la motivazione del premio ne sottolinea uno, menziona insieme anche gli altri.

Così Luigi Garlando, giornalista e scrittore, autore di Per questo mi chiamo Giovanni, un best e long seller su Falcone e la lotta alla mafia, che su “Oggi” firma un’intervista/confessione di Gaspare Mutolo, ove il boss pentito racconta Cosa Nostra dall’interno, il suo apprendistato criminale e l’approdo alla collaborazione con la giustizia ai tempi di Falcone e Borsellino. Allo stesso modo Silvia Scirilli Borrelli, corrispondente del “Financial Times” a Milano, è diventata anche volto noto di autorevole commentatrice televisiva.

Il premio valorizza scelte creative e innovatrici. Come nel caso del podcast Morning, una rassegna stampa quotidiana, inventata da Francesco Costa e divenuta, grazie al consenso suscitato in una vasta platea di fedeli ascoltatori, un caso editoriale, o come il programma Che ci faccio qui, ideato e condotto da Domenico Iannaccone su Rai3 e dedicato, senza retorica e artificio, a scenari periferici e a storie di marginalità.

Per chi come me ha ascoltato per anni al mattino i buffi sproloqui di Fabio e Fiamma a Radiodue, ridendo da sola al volante, è stato come ritrovare un’amica quando è stata premiata Fiamma Satta. Giornalista e scrittrice, Satta conduce con garbo e autoironia la rubrica A spasso con te all’interno della trasmissione Geo: accompagnata da personaggi noti – registi, intellettuali, attori, persino politici – che spingono la sua carrozzella, visita i luoghi a loro cari e, senza patetismi o polemiche, getta luce sul vissuto quotidiano della disabilità “normalizzandola” e sfidando stereotipi diffusi.

Un capitolo speciale è stato riservato all’Ucraina, alla guerra che è tornata nel cuore dell’Europa e, dal febbraio di quest’anno, ha travolto tante nostre infondate certezze e scenari geopolitici apparentemente solidi.

Nelle motivazioni dei tre giornalisti premiati spicca come denominatore comune l’esperienza vissuta della guerra e del fronte, dalla parte ucraina per Marta Serafini, cronista inviata del “Corriere”, dalla parte russa per Gabri Micalizzi e Luca Steinmann, l’uno fotoreporter, l’altro giornalista, entrambi freelancers.

Con Serafini la giuria ha inteso premiare «l’instancabile testimone di una generazione di inviate dallo zaino leggero» – così nella motivazione- e la versatilità del suo linguaggio, giocato sui tanti registri dell’informazione odierna, nel raccontare la guerra, i civili, e in particolare le donne intrappolate dall’invasione.

Di Micalizzi avevo seguito le corrispondenze e visto i filmati per Piazza Pulita su La7, di Steinmann i video nei tg sempre su La7 e i testi a stampa. Senza il loro lavoro la nostra informazione sulla guerra sarebbe stata monca, asimmetrica, perché tutta modellata dal punto di vista del fronte ucraino. Il loro impegno, sacrificio, coraggio si è coniugato con la non comune capacità di difendere indipendenza ed equilibrio critico in un ambiente apertamente ostile, ossia il fronte russo delle operazioni. Pur rappresentando in quel contesto il giornalismo di un’Europa schieratasi compattamente contro l’attacco russo, entrambi sono riusciti ad essere testimoni spassionati, né embedded dai russi, né portavoce di una visione ideologica preconcetta.

E hanno raccontato la guerra nella sua brutalità e casualità, nell’intreccio di storie personali, sullo sfondo di luoghi desertificati e stravolti. Con stili e linguaggi diversi, hanno mandato immagini e riflessioni passati poi senza alcun filtro censorio o di banale convenienza sui nostri schermi e ci hanno spiegato la miscela di violenza, propaganda, sofferenza che si dispiegava sotto i loro occhi.

Come ha detto Ferruccio De Bortoli, commentando la vicenda, questa si chiama democrazia. Nell’Italia schierata contro l’aggressione russa le cronache dal fronte russo non sono state ritoccate, edulcorate o manipolate. Merito questo dei direttori dei programmi che hanno ospitato il lavoro dei due freelancers, anzitutto Enrico Mentana e Corrado Formigli. E’ una buona notizia per la libertà di stampa, che pure conosce insidie gravi nel nostro paese, regredito al 58° posto nel ranking che valuta comparativamente l’esercizio del diritto di informare e di essere informati.

Nella motivazione del premio di Micalizzi, testimone unico dell’assedio all’acciaieria Azovstal, empatica presenza accanto ai civili tra macerie e sotterranei, si legge che «resterà nella storia come il cantore dell’agonia e morte di una città, Mariupol». Di Steinmann si sottolinea la « capacità di racconto e di analisi spassionata», la mancanza di enfasi pur in mezzo ai combattimenti. Sono meriti straordinari riconosciuti a due giornalisti collaboratori esterni di testate e televisioni, la loro ammirevole indipendenza ha come retro della medaglia l’insicurezza e si fonda sulla passione e l’abnegazione per il proprio mestiere.

Ecco dunque gli insegnamenti preziosi di cui scrivevo all’inizio.

Quanto all’emozione e al conforto li devo a Gabri Micalizzi, che al momento della sua premiazione ha voluto con un gesto generoso ricordare il suo amico Andy Rocchelli, cofondatore del gruppo Cesura.

Mi aveva inviato da Mariupol un messaggio per dirmi che era lì nel Donbass per finire il lavoro di Andy, mio figlio, ucciso a Sloviansk a colpi di mortaio dalle forze armate ucraine il 24 maggio 2014. Lo ha ridetto sul palco della premiazione e ha dedicato a lui il premio conquistato con tanto coraggio e sofferenza. La vicenda dell’uccisione di Andy Rocchelli è stata chiarita dalla magistratura italiana, che ha definito in tre gradi di giudizio la responsabilità ucraina, ma chi ha comandato l’attacco, chi vi ha partecipato e sparato contro civili inermi armati delle loro machine fotografiche – accanto a Andy è stato ucciso Andrei Mironov e ferito William Roguelon -, è tuttora impunito. Ricordare Andy nella prestigiosa cornice del premio è stato per noi, la famiglia di Andy, il segno commovente di un legame di affetto e colleganza che sfida la morte e, nel contempo, è un modo per rompere il silenzio che per tanti motivi di convenienza politica è calato intorno a questo delitto ancora impunito. Grazie Gabri!


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