Quarant’anni dopo il delitto dell’ex generale e prefetto di Palermo, dobbiamo interrogarci quanto ancora questa terra ha bisogno di eroi
Quante volte è stata uccisa la speranza dei siciliani onesti? Non quella sola volta di 40 anni addietro quando Cosa nostra in via Isidoro Carini a Palermo fece scempio dei corpi e delle vite del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie, Emanuela Setti Carraro e dell’agente Domenico Russo. “Qui è morta la speranza dei siciliani onesti” fu lo scritto che una persona anonima volle mettere appeso al muro sotto al quale c’era ancora il sangue di quelle vittime. Ma quella non fu la prima volta che le armi della mafia uccidendo i loro nemici ammazzavano anche la speranza. E non fu nemmeno l’ultima volta, perché da Portella delle Ginestre fino alle stragi del 1993, e poi negli anni a seguire con i fiumi di denaro pubblico inghiottiti dalle casseforti mafiose, tantissime volte la speranza dei siciliani onesti è stata calpestata, fino ad essere annientata. E’ vero, oggi, certamente, la realtà sociale non è più quella di 40 anni addietro, quella politica no! Nella sua intervista rilasciata all’Agi, il prof. Nando Dalla Chiesa, il figlio dell’ex generale e prefetto di Palermo, ha ricordato del sindaco di Palermo che negava di aver mai visto la mafia dentro al Comune. Oggi è lungo l’elenco dei sindaci, assessori, consiglieri comunali, elenco del quale fanno parte anche parlamentari, che sostengono di non avere mai incontrato mai la mafia, ci sono certuni che addirittura danno dei visionari agli investigatori. La realtà sociale è mutata, c’è una società civile impegnata, ma si resta a fare i conti con l’altra parte di quella società che applaude ai politici che giurano, spergiurando, sull’inesistenza della mafia. Il mondo è andato avanti, ma in certi momenti noi restiamo agganciati e fermi al secolo scorso. Continuiamo a chiamare eroi le vittime di Cosa nostra, ma erano le stesse persone che quando erano in vita venivano osteggiate, denigrate, delegittimate. Dalla Chiesa fu ucciso mentre attendeva i poteri che aveva chiesto, poteri che non furono concessi ne a lui ne ad altri. Li chiamiamo eroi, ma la verità è quella che in questa maniera ci diamo spesso l’alibi, la giustificazione, sul perché non vogliamo rischiare, e poi così diciamo di cercare la speranza che un giorno il bene possa prevalere sul male. Ecco che torna la speranza, quella che prima o poi verrà nuovamente uccisa, da quel girare di una ruota che fa solo finta di portarci avanti.