Devo confessare che non mi sono mai stati chiari i parametri usati per stilare le classifiche sulla libertà di informazione nelle diverse nazioni e che vedono l’Italia al 58° posto. Resta però un dato di fatto, giustamente denunciato da Beppe Giulietti nel suo appello: il ritardo della politica e del legislatore su diversi temi legati all’informazione e alla concreta libertà di operare degli operatori del settore, giornalisti in primis.
È assolutamente necessario che nella prossima legislatura si riprenda il percorso legislativo di provvedimenti riguardanti le querele bavaglio e la tutela delle fonti e si chiarisca meglio l’applicazione da parte delle diverse procure delle norme relative alla presunzione d’innocenza. Il giusto bilanciamento tra il diritto alla piena conoscenza da parte dell’opinione pubblica, per il tramite del giornalista, e quello alla tutela del principio costituzionale della presunzione d’innocenza deve essere un obiettivo da perseguire con costanza e intelligenza da parte di tutte le parti interessate, nessuna esclusa.
La libertà del giornalismo passa, poi, inevitabilmente per un’equa retribuzione di chi lavora, superando pratiche e applicazioni contrattuali che troppo spesso si trasformano in forme di autentico sfruttamento.
Appare quindi giusto il richiamo di Giulietti alle forze politiche a citare più spesso l’articolo 21 della Costituzione, perché esso esprime un valore fondante di una democrazia compiuta.
Il rischio che corriamo, infatti, di fronte a una crisi profonda e radicata di sfiducia nei confronti delle istituzioni democratiche e della politica è quello di un progressivo scivolamento dalla democrazia verso forme di democrature, sul modello dell’Ungheria di Orban e della Turchia di Erdogan.
La difesa della democrazia e della Costituzione, quindi, passano per una piena attuazione dell’articolo 21 e per una risposta alle molteplici questioni ancora aperte e aggravate da un contesto di profonda trasformazione del mondo dell’informazione e uno spostamento del baricentro dalla carta stampata e della stessa tv generalista verso il web, nelle sue multiforme applicazioni.
È indispensabile che l’intervento statale sia parimenti rivolto al sostegno agli editori in questa fase di passaggio e alle nuove start up del settore, e nel contempo alla tutela dei diritti dei giornalisti, con particolare riguardo a quelli più giovani, più esposti al rischio di un progressivo svilimento (non solo in termini economici) della professione.
Il giornalismo d’inchiesta, infine, rappresenta da sempre uno dei pilastri di un’informazione libera ed è da sempre stato la spina nel fianco del potere politico, economico e della criminalità organizzata.
La difesa del suo ruolo è quindi essenziale, accompagnata dalla responsabilizzazione di chi scrive rispetto agli effetti che questa attività produce nei confronti delle persone interessate dalle loro inchieste, che in alcuni casi debordano i confini giornalistici tradizionali verso i lidi dello show.
Insomma, c’è molto da fare ed è giusto che la politica non si sottragga al confronto, all’onere della proposta e dell’intervento normativo.
Federico Fornaro, Capolista Piemonte 2