Il giornalista è il nuovo nemico pubblico. Non più solo del potere, che mal sopporta la curiosità, l’insistenza, l’indagine, lo scrutinio della stampa. Il giornalista oggi è il nuovo nemico del populismo. Indicato come nemico pubblico da folle fortemente identitarie, che non accettano contraddittorio e ricostruzione terza. Come è stato nei mesi della pandemia. Come succede nelle manifestazioni trumpiane in America. O nei raduni della destra italiana. Il giornalista ci racconta a modo suo, non come vorremmo noi, secondo il nostro schema di gioco. Quindi va messo in condizione di non fare il proprio lavoro. Va allontanato. Va aggredito. Gli va spaccata l’attrezzatura. Va minacciato. Va tenuto alla larga. Va insultato. Va filmato a sua volta, come per esporlo a una gogna, come se riprenderlo fosse un’arma di difesa rispetto alla libertà della sua domanda, della sua legittima curiosità. Questo avviene ogni giorno nel nostro paese. Si sono moltiplicati negli ultimi anni episodi spiacevoli e molto gravi. Zone oscure nelle quali ai giornalisti era impedito di avere accesso. Subito accerchiati, subito scortati, subito respinti sotto un coro di contumelie. I più esposti, i videomaker, i free lance, con le loro videocamere. I giornalisti di agenzia. Quelli, insomma, che oggi costituiscono il primo fronte della professione giornalistica, la frontiera più minacciata di chi va a vedere, di chi ronza intorno.
Che in Italia noi viviamo in questa situazione, che la libertà di stampa sia sottoposta a simili pressioni, fisiche, psicologiche, non sembra possibile. Eppure è vero. E tollerato. E consentito. Da impresari politici. Da partiti. Da movimenti. Da un clima diffuso che diffida della parola di chi va a vedere e racconta. Dai complottismi, il vero humus della destra di questi anni. Complottismi foraggiati da greppie nostrane e internazionali. Siamo nel paese in cui l’ambasciata russa può permettersi di intimidire quotidiani nazionali semplicemente perché fanno il loro lavoro, quello ad esempio di raccontare l’aggressione russa in Ucraina o la matrice che porta da Mosca ai sovranismi di casa nostra. Per contrastare questo clima ci vuole un lavoro di lunga pezza, culturale, di solidarietà e protezione, ma anche un intervento rapido che, forte della attenzione dedicata in Europa al tema, possa tutelare i giornalisti più esposti. Il giornalismo, il buon giornalismo coincide con l’idea stessa di democrazia liberale, con la libertà di espressione e di opinione. Che in Italia i giornalisti siano diventati un nemico pubblico per il Palazzo e la folla, anche quella sui social media, la dice lunga sullo stato di salute della nostra democrazia e su quanto lavoro ci sia da fare per vivere in una repubblica rispettosa, vibrante, libera.
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