Stanno peggio di noi soltanto Paesi come la Russia di Putin e l’Ungheria di Orban, ma questa non è una consolazione.
La crisi dell’editoria è ormai drammatica, con i giornali cartacei che superano a malapena un milione di copie vendute, e con il web che si muove quasi esclusivamente secondo le logiche della pubblicità dominata dai grandi motori di ricerca e dai grandi social network. Purtroppo ormai non sono più le notizie a dettare l’agenda editoriale, ma gli introiti pubblicitari.
I giornalisti devono affidarsi spesso al coraggio personale a causa dei ritardi del Parlamento e dei governi, incapaci, fino a ora, di varare norme contro le querele temerarie, i bavagli imposti alla stampa, la tutela delle fonti, la presunzione d’innocenza. Mentre ben trenta cronisti vivono sotto scorta, minacciati dalla criminalità organizzata, l’Unione europea insiste perché l’Italia si adegui, eliminando anche il carcere per i cronisti. Se dalle urne non verrà fuori un sussulto democratico, c’è il rischio che vadano a governare persone come Matteo Salvini e Giorgia Meloni, amici di Orban, di Steve Bannon, di Bolsonaro. È indispensabile che le forze progressiste, di sinistra e ambientaliste rimettano al centro del dibattito politico il tema della libertà di informazione, impegnandosi anche per un’incisiva riforma dell’editoria che, come quella del 1981, consenta il rilancio della stampa e degli altri mezzi di comunicazione di massa in un Paese nel quale il diritto dei cittadini a essere informati rischia di diventare una chimera.