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Il caso Assange. Conversazione con Stefania Maurizi

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Stefania Maurizi è la giornalista che ha seguito in modo meticoloso la terribile vicenda di Julian Assange. Ha scritto un libro (“Il potere segreto”, 2022) di cui è prossima la versione inglese. Si tratta di un testo fondamentale, che reca  la prefazione di Ken Loach.

La prima domanda è: perché mai WikiLeaks e il suo fondatore Julian Assange sono caduti in una simile morsa diabolica?

Maurizi. innanzitutto, voglio chiarire il mio lavoro. Dal 2009 ho iniziato a interessarmi ai documenti di WikiLeaks, quindi non solo mi sono occupata del caso, ma ho lavorato proprio ai file segreti di WikiLeaks, insieme con grandi team di giornali internazionali, dal Washington Post al Der Spiegel. Quella documentazione mi ha permesso di capire qual è la realtà della politica estera e della strategia militare degli Stati Uniti, I file riguardano anche l’Italia e praticamente tutti paesi del mondo. Sostanzialmente, da lì è nato il mio profondo interesse per il caso di Julian Assange e di WikiLeaks, perché ho capito che quei giornalisti si esponevano a un enorme rischio in termini di procedimenti legali per la rivelazione dei file.

In quei documenti, il segreto non viene utilizzato per proteggere la sicurezza dei cittadini, bensì per proteggere la criminalità di stato, e assicurare l’impunità alle istituzioni e agli apparati che commettono crimini. Ho lavorato negli ultimi 13 anni a quella documentazione, e fin dall’inizio mi resi conto che Julian Assange e i giornalisti di WikiLeaks rischiavano letteralmente la testa per pubblicarla e, purtroppo, la realtà mi ha dato ragione. Da quando ha pubblicato i file segreti del governo americano Julian  Assange non ha più conosciuto la libertà. Prima è finito dentro un caso di presunto stupro e molestie in Svezia, uno dei più anomali che abbia mai visto. Me ne sono occupata a livello giornalistico in modo così minuzioso, da innescare una battaglia legale che va avanti ancora oggi  ed è in corso da sette anni. Assange è inizialmente finito, per questo caso, agli arresti domiciliari per 18 mesi con un braccialetto elettronico intorno alla caviglia; poi è rimasto sette anni confinato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra.

Contemporaneamente, è finito in un’inchiesta del governo americano sulla pubblicazione dei documenti segreti, iniziata proprio nel 2010 e da cui non è mai più uscito.

Nonostante le  Nazioni Unite siano intervenute nel caso con decisioni e  denunce sia da parte del Working Group on Arbitrary Detention sia del Relatore Speciale contro la tortura, niente e nessuno è riuscito a restituirgli la libertà. Oggi la sua vita è appesa a un filo perché, nel giro di poco tempo, la giustizia inglese deciderà se verrà estradato negli Stati Uniti e chiuso per sempre in una prigione di massima sicurezza.

Ecco la sintesi del caso: un giornalista rischia di finire a vita in prigione per aver rivelato documenti segreti del governo americano, che hanno permesso di far conoscere crimini di guerra e torture, incluse quindicimila vittime civili nella guerra in Iraq, mai conteggiate prima, che possono sembrare statistiche; ma quelle vittime sono essere umani: sono padri, madri, figli, fratelli, sorelle.

Altre rivelazioni cruciali, che emergono dai documenti segreti di WikiLeaks, sono le pressioni sul governo italiano e su quello tedesco, affinché garantissero l’impunità agli agenti della Cia responsabili delle extraordinary rendition sia di Abu Omar a Milano sia di Khalid El-Masri, un cittadino tedesco che è stato rapito, stuprato e torturato, fino a quando la Cia non l’ha rilasciato, perché si era trattato di un errore di persona: non era un pericoloso terrorista.

I documenti di WikiLeaks sull’Italia aprono uno squarcio sulla nostra storia, punteggiata di stragi e di misteri in cui non siamo arrivati alla verità.

Vita. Nell’ipotesi di condanna a 175 anni di carcere non è valsa la tutela del Primo Emendamento della Costituzione americana, che pure servì a evitare che Daniel Ellsberg, un analista militare che durante la guerra del Vietnam diede settemila pagine al New York Times e al Washington Post.

Vi è stato il ricorso ad una legge del 1917, l’Espionage Act.

Maurizi. Le legge del 1917 è la stessa utilizzata contro Daniel Ellsberg, ma, nel caso di Ellsberg, il caso giudiziario crollò.

Ellsberg era  un analista militare, che lavorava per un famigerato think tank con importanti legami con il Pentagono: la RAND Corporation, che aveva contribuito a mettere in piedi una dettagliata analisi sulla guerra in Vietnam: un report entrato nella leggenda con il nome di Pentagon Papers. Da quell’analisi classificata top secret emergeva che il governo americano sapeva benissimo come non ci fosse alcuna speranza di vincere, eppure mandava i suoi ragazzi a morire per nulla.

Ellsberg aprì la cassaforte, estrasse una copia dei Pentagon Papers e la notte iniziò a fotocopiare una per una le settemila pagine con le fotocopiatrici di allora, che erano molto più rudimentali di quelle di oggi.

I Pentagon papers permettevano per la prima volta nella storia di squarciare il velo della nebbia sulla guerra, di scoprire cosa accadeva e di averne una visione di insieme, mentre il conflitto era in corso e non dopo 40-50 anni, quando ormai non interessava più a nessuno, se non agli storici di professione. Quarant’anni dopo accadrà lo stesso con i documenti sulle guerre in Afghanistan e in Iraq pubblicati da WikiLeaks e passati all’organizzazione da un’altra fonte eroica: Chelsea Manning. Daniel Ellsberg fu incriminato con l’Espionage Act e rischiava una condanna a oltre 100 anni. Però, il governo americano fu così senza scrupoli da mettere insieme una serie di operazioni clandestine, cui lavoravano mercenari al servizio della Cia, per cercare di ammazzarlo.

L’allora  presidente repubblicano Nixon aveva un odio leggendario per la stampa.

Nixon mise in piedi una squadra di plumbers, cioè gli idraulici che dovevano fermare le perdite, le leaks, che rischiavano di minare la sua amministrazione. Il nome di WikiLeaks deriva proprio da questo termine: “leaks”, ovvero le fughe di informazioni sensibili non autorizzate. Gli uomini di Nixon furono così spregiudicati da spiare le conversazioni di Ellsberg e da introdursi nello studio del suo psichiatra, nella speranza di trovare segreti con cui intimidirlo e ridurlo al silenzio.  Alla ricerca di chi faceva uscire informazioni compromettenti sull’amministrazione Nixon, i plumbers si spinsero anche ad accedere al famoso edificio del Watergate, in cui  aveva sede il partito Democratico americano: una violazione questa che innescherà lo scandalo Watergate.

La scoperta degli abusi commessi dall’amministrazione Nixon nel caso di Ellsberg portò al crollo delle accuse contro di lui.

Oggi la legge del 1917 che va sotto il nome di Espionage Act viene usata per la prima volta negli Stati Uniti non contro una fonte giornalistica, come era Daniel Ellsberg, bensì direttamente contro un giornalista, Julian Assange, spiato persino nelle sue conversazioni con i suoi avvocati.

Si tratta di un caso del tutto unico: l’Espionage Act è una legge che non consente alcuna forma di difesa nel pubblico interesse: mette sullo stesso identico piano i whistleblower dotati di grande coraggio morale, come Daniel Ellsberg e Chelsea Manning che, rivelando la verità, hanno reso un servizio all’opinione pubblica, e i traditori che passano informazioni al nemico per soldi o per danneggiare gli Stati Uniti.

Vita. Ecco, Stefania, così come a un certo punto crollò l’accusa contro Ellsberg, non potrebbe di nuovo crollare adesso?

Maurizi. È una bellissima domanda, la domanda cruciale, visto che anche nel caso di Julian Assange si sono verificate delle anomalie terribili. È venuto fuori che la Cia ha pianificato di ammazzarlo. Anche nel caso di Daniel Ellsberg il governo americano aveva pianificato di “neutralizzarlo”, un termine che, nel linguaggio delle operazioni coperte della Cia, voleva dire ammazzarlo.

E, come Ellsberg, anche Julian Assange è stato spiato,  le conversazioni con il team legale sono state ascoltate e i documenti copiati dall’azienda che lavorava all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra  – dove Assange si era rifugiato – e che in teoria doveva garantire la sicurezza dell’ambasciata: l’impresa spagnola di sicurezza UC Global.  Secondo almeno due ex lavoratori della UC Global, che sono diventati due testimoni sotto protezione ed interrogati nell’ambito di un’inchiesta condotta dai magistrati dell’Audiencia Nacional di Madrid, queste attività di spionaggio sono state condotte dall’azienda spagnola UC Global per conto dell’intelligence americana: la Cia. La sorveglianza prevedeva di filmare e registrare non solo Julian Assange, ma anche i suoi legali,  e pure noi giornalisti che andavamo a fargli visita nell’ambasciata. L’indagine in corso a Madrid sta cercando di fare luce su tali vicende.

Simili fatti danno una misura dei tempi preoccupanti in cui viviamo. Niente fa più scandalo: nel caso di Daniel Ellsberg questo tipo di operazioni illegali portarono al crollo delle accuse, 50 anni dopo, nel caso di Julian Assange niente fa scandalo, neppure  azioni illegali di questa portata.

La High Court di Londra ha sentenziato che Assange è estradabile negli Stati Uniti, sebbene il media americano Yahoo News! avesse già rivelato che la Cia aveva pianificato di ammazzarlo. Tali rivelazioni dei media americani hanno confermato quanto avevano già dichiarato davanti alla corte di primo grado – la Westminster Magistrates’ Court – due testimoni protetti che lavoravano per la UC Global. Loro per primi avevano raccontato che l’azienda aveva discusso con l’intelligence americana un piano per eliminarlo, avvelenandolo; oppure lasciando aperta la porta dell’ambasciata di notte, in modo che qualcuno entrasse e lo rapisse.

Nonostante la gravità di queste dichiarazioni dei testimoni protetti, la giudice Vanessa Baraitser della Westminster Magistrates’ Court ha dichiarato che non le sembrava opportuno occuparsi di una faccenda che, al momento, era  al centro di un’indagine penale da parte della magistratura spagnola.

Visto che la questione non era stata esaminata in primo grado, si sperava che almeno nell’appello i giudice della High Court del Regno Unito le dessero la giusta rilevanza, anche perché nel frattempo, grazie all’inchiesta giornalistica di Yahoo News!, erano arrivate conferme del piano della Cia di ammazzare Julian Assange. E invece, anche la High Court ha ignorato questi gravissimi fatti. La High Court ha stabilito che Assange è estradabile perché gli Stati Uniti hanno dato garanzie diplomatiche alle autorità inglesi che verrà trattato in modo umano: non verrà imprigionato sotto il regime di massimo isolamento che prende il nome di SAM e non andrà nella prigione più “estrema” degli Stati Uniti: la ADX Florence, in Colorado, dove sono rinchiusi i  criminali più pericolosi in assoluto, come il re del narcotraffico, El Chapo. Ma c’è un ma: se una volta arrivato sul suolo americano, Assange dovesse fare qualcosa che, secondo le autorità americane, richiede l’applicazione del regime SAM e l’incarcerazione nella prigione più estrema degli Stati Uniti, allora quelle garanzie diplomatiche salteranno. Amnesty International ha subito denunciato queste garanzie come inaffidabili e ha chiesto insistentemente la liberazione di Assange, ma senza alcun risultato.

I giudici di secondo grado hanno sì riconosciuto il rischio di suicidio, in base al quale nel grado precedente il giudice aveva negato l’estradizione. Tuttavia, hanno deciso che le garanzie diplomatiche offerte dagli Stati Uniti sono sufficienti a mitigare questo rischio. Tutte le più grandi organizzazioni per i diritti umani del mondo hanno chiesto di non estradarlo e di liberarlo.

Vita. Stefania,  mi pare che tu l’abbia scritto (è un po’ il sottotesto) nel tuo libro. Il caso di Julian Assange è un po’ la prova generale di un cambio di regime -anche giudiziario- verso la libertà di informazione.

Maurizi. E’ un punto di svolta. Per la prima volta nella storia, WikiLeaks ha aperto un profondo squarcio in quello che chiamo il potere segreto, cioè il potere blindato dal segreto di stato, dove quest’ultimo viene abusato: non vi si ricorre per proteggere i cittadini e la loro sicurezza, bensì per tutelare la criminalità di stato e garantire l’impunità agli uomini delle istituzioni.

Negli Stati Uniti ci sono circa 4 milioni 800 mila persone che hanno accesso a documenti segreti: si tratta di un numero enorme.

Le autorità americane sono terrorizzate che esca fuori non solo una nuova Chelsea Manning, ma ne escano fuori cento o mille o forse diecimila. Per la legge dei grandi numeri è chiaro che più è elevato il numero di  persone ad avere accesso ai documenti segreti, più è elevato il rischio che i documenti escano.

Gli Stati Uniti vogliono richiudere questo squarcio, aperto da WikiLeaks, e vogliono farlo con una brutalità tale che sia una lezione per tutti: non vi azzardate a far uscire i nostri sporchi segreti o fate la fine di Assange.

Penso che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sia una delle pochissime speranze, mentre non ho alcuna fiducia nella giustizia inglese, che non ha mai avuto alcun problema a tenere un uomo chiuso dentro un’ambasciata per sette anni senza mai un’ora d’aria e senza accesso alle cure mediche.

L’unica speranza, allora, è la Corte europea. Però, c’è un problema. I conservatori inglesi vogliono assolutamente portare fuori la Gran Bretagna dalla giurisdizione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Ci riusciranno? E riuscirà Julian Assange a farvi ricorso prima che sia troppo tardi?

Mi pongo questa domanda perché i documenti del governo inglese, che ho ottenuto con una lunga battaglia legale basata sul Freedom of  Information Act (Foia), hanno permesso di scoprire che, quando Assange era indagato in Svezia per presunti reati sessuali, la Svezia e la Gran Bretagna avevano discusso confidenzialmente di estradarlo prima che Assange potesse fare ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Vita. Finalmente, il mondo giornalistico si è mosso. L’Ordine nazionale ha dato la tessera ad honorem a colui che fu attaccato anche perché “non giornalista”, come se un Ordine esistesse ovunque, In Australia, ad esempio, non c’è. La Federazione della stampa si è fatta carico direttamente, insieme all’Associazione “Articolo 21”, del caso. Ed è nato un comitato dove, a parte le presenze importanti dell’universo della cultura e dello spettacolo e dell’associazione degli autori (Anac) o di figure come Laura Morante, c’è anche una presenza esplicita del mondo giornalistico.

Maurizi. I media e i giornali che erano media partner di WikiLeaks, e quindi hanno pubblicato scoop su scoop grazie ai documenti segreti condivisi con loro da WikiLeaks, si sono voltati dall’altra parte quando Julian Assange è stato incriminato con l’Espionage Act. Piano piano le cose sono cambiate e ora vediamo che c’è una crescente solidarietà da parte dei più grandi media del mondo. Non c’è dubbio che il caso si potrebbe chiudere immediatamente se tutta la stampa mondiale facesse squadra e si pronunciasse in modo netto e risoluto, scrivendo che la vicenda è abnorme: l’incriminazione di Julian Assange e il rischio concreto che finisca in una prigione di massima sicurezza per sempre sono incompatibili con la libertà di stampa in una democrazia.

Negli Stati Uniti la stampa gode di protezione costituzionale. Se le cose vanno così dove la stampa gode di una protezione costituzionale, pensiamo che accade e accadrà dove non gode di protezione giuridica. Questo caso innescherà un effetto domino sulla libertà di stampa in tutto il mondo.

Se i media facessero squadra e si pronunciassero in modo netto, condannando l’estradizione, e se chiedessero all’unanimità di porre fine a questa vicenda, che apre una gravissima ferita nella libertà di stampa in democrazia, il presidente Biden potrebbe chiudere il caso già domani.

E, invece, vediamo una grande timidezza e un imbarazzante silenzio da parte di certi media, anche se non di tutti.

Voglio fare solo l’esempio del quotidiano “la Repubblica” e del settimanale “l’Espresso”, che hanno beneficiato per oltre dieci anni degli scoop di WikiLeaks. Parlo con cognizione di causa, perché li ho portati io e, quindi, so di cosa parlo. Non hanno mai scritto una sola riga per condannare l’incriminazione di Julian Assange: mai una parola.

È un atteggiamento molto grave.

Vita. Mi pare che si possa dire in conclusione che ai paesi tradizionalmente inclini ad opprimere la libertà di informazione (dalla Russia, alla Cina, all’Iran, alla Turchia, all’Ungheria e potremmo andare avanti) si unisce con un posto di primo piano anche il famoso occidente “libero” e “sereno”.

Vita. Un’ultima domanda, Qual è la prossima tappa?

Maurizi. La difesa ha fatto richiesta di appello. Ora si tratta di capire se verrà concesso e poi quando si terrà l’udienza. Siamo in attesa di capire quale sarà la prossima decisione dei giudici inglesi. L’appello si dovrebbe tenere nell’autunno del 2022  e andare avanti con tutta probabilità fino ai primi mesi del 2023. Con tutta probabilità dico, perché se non venisse concesso, si andrebbe subito alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Non bisogna mollare.

Tratto dal sito del “Centro per la riforma dello Stato”.


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