Il giudice Paolo Borsellino era un uomo sereno, fino all’ultimo istante della sua vita. Sapeva che doveva fare in fretta a cercare la verità sulla strage di Capaci. In fretta perché, purtroppo, aveva saputo che fosse arrivato a Palermo il tritolo per la strage. Ma lui, la mattina del 19 luglio, aveva ancora – come ci racconta il fratello Salvatore Borsellino – tanta fiducia.
“Non parlo più agli adulti, per tenere fede alle parole di Paolo che scrivendo proprio a dei ragazzi di un liceo nella sua ultima lettera (alle 7 del mattino di quel 19 luglio mentre era andato a trovare nostra madre per portarla dal medico, la sua vita è stata interrotta. E Paolo quella mattina si rivolge ai ragazzi e pronuncia le parole che sembrano quelle di un pazzo. Dice: ‘sono ottimista perché vedo che verso la criminalità mafiosa, hanno una visione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni fino ai 40 anni. Questo era Paolo. Arrivò ad accusarsi di indifferenza perché fino ai 40 anni si era occupato solo di processi civili e solo quando Rocco Chinnici, il suo padre spirituale gli affida il primo processo per mafia per l’omicidio di Basile, Paolo inizia a occuparsi di mafia. Però dice che capì che quello era il grande problema del Paese e di quello doveva esclusivamente occuparsi. E con quelle parole è come se passasse il testimone ai giovani. E Paolo ha fiducia e l’ultimo giorno della sua vita riesce a essere ottimista”.
Dopo trent’anni abbiamo poche verità e tanti dubbi. Fra i dubbi non c’è quello che, purtroppo, il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta (Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina) siano morti. Ci sono voluti quattro processi per arrivare ad uno straccio di verità e manca ancora tanto, se non tantissimo, ad iniziare da quella “Agenda rossa” che è diventato il simbolo delle realtà negate.
“Sono passati trent’anni e siamo nel trentennale in uno dei periodi più bui – afferma Salvatore Borsellino -. Da poco sono arrivate sentenze che sono colpi terribili per chi aspetta verità e giustizia. È lo scenario peggiore che mi potevo immaginare. Quei pezzi dello Stato che erano stati condannati in primo grado per aver portato avanti questa scellerata trattativa, sono stati assolti con la peggiore delle motivazioni: ‘il fatto non costituisce reato’. E oggi si parla di trattativa come se fosse una cosa normale. Ma voi pensate cosa sarebbe successo se nel 1992, dopo la morte Falcone, Paolo avesse rivelato all’opinione pubblica, come avrebbe fatto, che pezzi dello Stato stavano trattando con assassini di Falcone. Per questo hanno allontanato il corso della giustizia. Perché quella verità che ora sta emergendo dal punto di vista storico e non giudiziario allora non poteva emergere, sarebbe scoppiata la guerra civile. Per questo è importante che i ragazzi sappiano”.