Un altro giornalista è stato assassinato in Messico: si tratta di Antonio de la Cruz, ucciso il 29 giugno a Ciudad Victoria, nella regione di Tamaulipas, vicino alla frontiera con il Texas. È stato freddato sulla porta di casa, mentre era con sua figlia, che è rimasta ferita. Era un reporter che scriveva sulla rivista “Expreso” ed era specializzato nell’industria del bestiame e nelle tematiche ambientali. La regione dove lavorava è caratterizzata da un’alta presenza di gruppi afferenti alla criminalità organizzata, ma si sospetta che una classe politica collusa e corrotta sia altrettanto responsabile della morte del reporter.
De la Cruz è il dodicesimo giornalista ucciso in Messico da inizio anno, una strage che continua al ritmo di due omicidi di giornalisti al mese senza che le autorità facciano nulla per fermarla. Il Messico è forse, ad oggi, il paese più pericoloso in assoluto al mondo per i giornalisti. Dei dodici già uccisi quest’anno, almeno otto sono stati ammazzati esclusivamente per la loro attività professionale.
La redazione di “Expreso” ha chiesto subito verità e giustizia per il collega, che lavorava nel periodico da oltre 15 anni. Il reporter ucciso era molto critico nei confronti degli esponenti del governo e degli amministratori locali. “ La morte di Antonio de la Cruz, padre di famiglia, professionista della comunicazione, è un’azione per la quale i principali sospettati sono gli esponenti del Governo statale “, ha denunciato il deputato di Tamaulipas di Movimento Cittadino, Gustavo Cardenas. Anche l’associazione articulo 19 ha denunciato il fatto che le minacce più ricorrenti nei confronti dei giornalisti messicani provengono, oggi, più dai politici corrotti che dal crimine organizzato. La relazione molto stretta tra la criminalità organizzata e alcuni esponenti delle istituzioni, afferma la testata El Paìs, determina un clima di impunità totale per i delitti di questo tipo, il 90% dei quali non ha avuto una sentenza. Per qualunque crimine, comunque l’impunità in Messico è altissima, intorno al 95 per cento.
Sulla situazione nel paese Sudamericano sono intervenute molte volte anche le organizzazioni internazionali dei giornalisti, in particolare la IFJ. Durante l’ultimo congresso della Federazione internazionale, a inizio giugno in Oman, l’assemblea ha denunciato con forza e condannato la situazione insostenibile e pericolosissima in cui lavorano i colleghi messicani e ha chiesto giustizia per le vittime di questa strage inaccettabile.