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Le liste di proscrizione, dal dramma alla farsa

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Non è agevole capire cosa può aver mosso esponenti del partito democratico (Andrea Romano, ad esempio) a presentare in grande spolvero uno studio di un paio di organizzazioni in merito alla «disinformazione sul conflitto russo-ucraino».

Le fonti del testo sono la federazione italiana dei diritti umani e Open dialogue. Non a caso, dopo le polemiche nate sulla vicenda Lia Quartapelle e Riccardo Magi (annunciati, ma non presenti all’evento) hanno preso le distanze.

Senza entrare nel merito dell’attendibilità del suddetto studio, è assai bizzarro il suo contenuto manifesto, quello almeno divulgato.

Intanto, è bene ricordare il contesto. La memoria della paginata de il Corriere della sera dello scorso 6 giugno o degli elenchi evocati dall’apposito comitato per la sicurezza della repubblica (Copasir) misconosciuti poi con imbarazzo dal sottosegretario con delega ai servizi Franco Gabrielli è troppo fresca. E, dopo le polemiche e qualche marcia indietro almeno di facciata, è ben curioso che si perseveri nella sceneggiata.

Eccoci, infatti, davanti ad un ennesimo elenco di persone colluse almeno un po’, secondo ricostruzioni per lo meno fantasiose. Oltre che offensive. Questa volta si aggiungono ai noti eversori Alessandro Orsini, Donatella Di Cesare, Marc Innaro o Barbara Spinelli ulteriori colpevoli come Valentina Petrini, Franco Cardini, Gian Micalessin, Eva Giovannini, Manuele Bonaccorsi, Sara Reginella, Giorgia Rombolà, Giovanni Paolo Fontana, Alessandro Cassieri, nonché il ricercato speciale Sigfrido Ranucci. Non solo. La furia repressiva coinvolge persino i compassati Alessandro Barbero e Corrado Augias. E pure il celebrato regista Oliver Stone, reo di aver intervistato nel 2015 il nuovo zar. Naturalmente, l’indiziato numero uno – papa Francesco – non compare mai, perché il coraggio  non alberga da quelle parti. Come si vede, il dramma delle liste di proscrizione diviene una farsa patetica. E già, la storia funziona così.

Non c’è bisogno di sottolineare che le citazioni malevole spesso toccano persone che hanno sempre contestato il carattere autoritario e dispotico del regime di Mosca, mentre altrove si inneggiava ai tratti di autorevole statista di Putin, quando era amico di Berlusconi. Ma la memoria è corta e labile.

Tuttavia, l’ennesima prova di riprovevole meschinità avrà pure qualche motivazione, a meno di non pensare che l’Italia sia proprio un regime a pensiero unico.

Quale può essere, dunque, il senso di una iniziativa palesemente maldestra? Forse, la risposta sta non tanto e solo nell’elenco degli improbabili cattivi, quanto nelle premesse implicite del documento: guai a chi esce dal binario prestabilito, dalla linea del governo interpretata secondo i criteri del dipartimento di stato degli Stati uniti o della Nato. Siamo in guerra, è il sottotesto. Quindi, o di qua o di là. Niente di male, allora, se si utilizzano lenti grossolane e noncuranti di colpire chi utilizza il metodo dell’argomentazione e del dubbio. Un metodo, quest’ultimo, che non ha colori: vale sempre ed è l’essenza dell’indipendenza di giudizio.

La scelta, costi quel che costi, è di costruire un muro e di dare patenti di fedeltà.

Vi è, naturalmente un chiaro effetto collaterale su coloro che operano nell’informazione, sempre più spesso precari e privi di tutele quando piovono le querele temerarie.

Insomma, la sguaiata esibizione ha un risvolto minaccioso e sembra mettere le mani avanti, come anticipazione di possibili sviluppi se il conflitto durasse a lungo.

Bene hanno fatto la Federazione della stampa, l’Ordine nazionale e il Sindacato dei giornalisti della Rai, nonché l’associazione Articolo21 a manifestare preoccupazione e disagio, in linea con la tenace e costante critica verso ogni attacco alla libertà di espressione, da qualunque landa arrivi.

Simili vicende non vanno prese sotto gamba, perché ci svelano con crudo realismo a che punto è la notte.


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