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Lo spread ora azzanna Draghi

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Lo spread può diventare una belva feroce. Può divorare nazioni e abbattere governi. Quando il 4 febbraio 2021 si spalancarono le porte di Palazzo Chigi a Mario Draghi, lo spread crollò sotto i 100 punti. La fiducia verso Draghi presidente del Consiglio rassicurò i mercati finanziari internazionali. Il differenziale dei tassi d’interesse tra i Btp italiani a 10 anni e gli analoghi titoli del debito pubblico tedeschi scese al minimo. Così per l’Italia si abbassò il costo per finanziare il suo enorme debito pubblico.

Adesso, invece, lo spread è risalito tumultuosamente, anzi: è raddoppiato a 230 punti base e la Borsa sprofonda. Sono guai grossi perché diventa molto più dispendioso per Draghi e il Belpaese pagare i tassi d’interesse sul suo gigantesco debito pubblico salito a oltre 2.700 miliardi di euro.

L’impennata dello spread è cominciata lo scorso febbraio, quando Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina. Gli effetti economici sono stati a catena. La guerra ha causato un fortissimo aumento dei prezzi del gas e del petrolio (dei quali la Russia è un grande esportatore). E i rincari hanno fatto scattare una vertiginosa inflazione fino all’8%. La Banca centrale europea è corsa ai ripari con due mosse per drenare liquidità, per fermare l’inflazione. Prima mossa: 1) la fine degli acquisti dei titoli del debito pubblico dei vari paesi dell’euro (il cosiddetto “quantitative easing”). Seconda mossa: il rincaro del costo del denaro a luglio e probabilmente a settembre.

Quando sale lo spread è un bruttissimo segno. Giuseppe Conte ne sa qualcosa. L’esecutivo Conte uno, il governo populista grillo-leghista, dopo una serie di peripezie alla fine cadde non solo perché Salvini staccò la spina, ma anche perché lo spread azzannò fino a oltre 300 punti. Davanti all’emergenza Covid e alla crisi economica s’inabissò anche il Conte due, il ministero cinquestelle-democratici.

Lo spread non portò per niente bene nemmeno a Silvio Berlusconi. All’inizio del 2011 cominciò a salire ed esplose fino alla paurosa quota di 574 punti. Berlusconi perse la presidenza del Consiglio, il suo governo di centro-destra fu travolto e fu sostituito da un esecutivo di grande coalizione guidato dal tecnico Mario Monti.

Ora rischia di fare la stessa fine anche Draghi, presidente del Consiglio tecnico di un ministero di unità nazionale. Certo Draghi, economista di valore, ha mostrato di avere anche un certo fiuto politico riuscendo a tenere insieme una maggioranza estremamente eterogenea e litigiosa (centro-sinistra, centro-destra e grillini). Draghi è un personaggio deciso. Il 26 luglio 2012, da presidente della Bce, annunciò perentorio di essere pronto a fare «tutto il necessario per salvare l’euro». Fu proprio lui a varare il piano di acquisti dei titoli del debito pubblico delle varie nazioni di Eurolandia (il “quantitative easing” o programma di “allentamento monetario”) mettendosi contro i cosiddetti paesi rigoristi contrari all’operazione, guidati dalla potente Germania. Così salvò la moneta unica europea da una spaventosa tempesta finanziaria internazionale. In particolare salvò dal naufragio i paesi più deboli, quelli del Mediterraneo, in testa l’Italia.

Finora Draghi è stato lo scudo dell’euro e dell’Italia. Il presidente del Consiglio ritiene la divisa comune europea “irreversibile” e “indissolubile”. Ma ora non è più SuperMario. Tutto è a rischio e si aspettano le prossime mosse, soprattutto a livello internazionale. Christine Lagarde ha deciso la fine degli acquisti dei titoli del debito pubblico e l’aumento dei tassi d’interesse. Le Borse internazionali sono cadute, in particolare Piazza Affari è crollata di oltre il 7% in due sedute e lo spread è volato.

La presidente della Bce ha capovolto la politica di espansione monetaria di Draghi tornando alla linea della severità, storica bandiera del nord Europa. C’è stata la conferma di una regola aurea: le chiavi delle decisioni le ha la Bce e non un governo nazionale sia pure presieduto da Draghi. Comunque Christine Lagarde si è riservata delle carte di riserva per impedire lo scoppio dello spread dei paesi più deboli come l’Italia. In particolare sarebbe pronta «a dispiegare un aggiustamento degli strumenti esistenti, o nuovi strumenti». La formula è piuttosto criptica. Gira però l’ipotesi di una possibile ripresa del “quantitative easing” o di iniziative analoghe nel caso di un avvitamento degli spread per una tempesta finanziaria internazionale.

Draghi, muovendosi in sintonia con Macron e Scholz, ha proposto lo sblocco delle navi nei porti per consentire l’esportazione del grano ucraino. Gli obiettivi sono due: 1) evitare una crisi alimentare nei paesi più poveri dell’Africa e dell’Asia (con una conseguente immigrazione di massa verso l’Europa), 2) riprendere il filo del dialogo tra Zelensky e Putin per avviare positive trattative di pace.

Il presidente del Consiglio si batte anche per fissare un tetto comune europeo al prezzo del gas. La mossa servirebbe a calmierare i prezzi. Ma finora sono rimaste al paolo sia l’idea di sbloccare le esportazioni di cereali ucraini sia quella dei tetti al costo del metano. La guerra tra Russia e Ucraina prosegue provocando morti, dolore, distruzioni e una inflazione pericolosa. Può succedere di tutto quando esplodono i prezzi della benzina e degli alimenti nei supermercati.


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