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Carlo Smuraglia, un’icona della Repubblica

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Carlo Smuraglia è stato un punto di riferimento per tutte e tutti noi. Novantotto anni di una vita straordinaria. Partigiano, giurista, sempre dalla parte degli ultimi e degli sconfitti, ha partecipato senza sosta alla vita politica del Paese. C’era nei giorni della mattanza di Reggio Emilia, c’era ai tempi di piazza Fontana, c’era nella vicenda dello scandalo Lockheed che vide coinvolti i ministri Gui e Tanassi, c’era durante il referendum costituzionale promosso da Renzi e si è sempre schierato dalla parte dei più deboli. Fu accanto alla famiglia Pinelli, si impegnò a contrastare ogni orrore e assunse la presidenza dell’A.N.P.I. in anni difficilissimi, mentre l’Italia viveva una crisi politica senza precedenti e le istituzioni entravano in difficoltà, fino a smarrire il proprio ruolo e la propria funzione imprescindibile.
Come ha scritto l’amico Marco Revelli su “La Stampa”, Smuraglia ha continuato a essere partigiano per tutta la vita, non abbandonando mai una certa visione del mondo, una certa idea dello stare insieme, una concezione corale e collettiva del vivere e del rapportarsi alla cosa pubblica. Non a caso, non si è mai speso per una causa che non fosse impegnativa, non si è mai risparmiato quando si trattava di correre rischi anche seri, non ha mai lesinato consigli ai più giovani e non si è mai sottratto al dovere di fare della giustizia qualcosa di più di una semplice attività lavorativa, considerando il diritto la base stessa del nostro essere nazione. Del resto, Carlo Smuraglia, classe 1923, apparteneva alla generazione che aveva vent’anni l’8 settembre, alla generazione che aveva vissuto sulla propria pelle gli orrori del fascismo, alla generazione che ha dovuto scegliere da che parte stare senza possibilità d’appello, alla generazione che in alcuni casi, purtroppo, non ha avuto un domani.
Ho avuto modo di conoscere di persona e di studiare attentamente le biografie di un discreto numero di partigiani e posso affermare che condividevano esattamente lo stesso atteggiamento e la stessa missione di Smuraglia: restare, come detto, partigiani per tutta la vita, come se non fossero mai scesi dai monti, senza più nemici ma con un dovere morale da cui non derogare mai: difendere ogni giorno la Costituzione nata dalla Resistenza. Se c’è stata una Bibbia laica nella vita di Smuraglia, questa è stata la nostra Carta. L’ha amata come pochi, ne ha fatto il centro della sua vita, l’ha onorata nelle aule di tribunale e l’ha custodita con amore anche nel 2016, opponendosi al suo stravolgimento ad opera di una classe dirigente sulla quale è opportuno sorvolare.

Se ne va mentre ricorre il cinquantesimo anniversario della strage di Peteano, avvenuta il 31 maggio del ’72 ad opera del gruppo eversivo neo-fascista Ordine Nuovo, a conferma di quanto quegli anni siano stati maledetti e abbiano contribuito a modificare per sempre il corso della nostra storia, rendendoci un Paese meno libero, più fragile e nel quale le prospettive delle nuove generazioni si sono progressivamente assottigliate.
Avvertiamo il bisogno di ricordarlo tenendoci lontani da polemiche contingenti, senza assecondare il desiderio di qualcuno che, in malafede, vorrebbe dividere l’A.N.P.I., come se avere posizioni divergenti su un tema enorme come la guerra e l’invio di armi all’Ucraina fosse un problema e non un sintomo di vitalità democratica.
Ci mancherà, soprattutto perché è un’altra voce di libertà, dalla parte della dignità umana e dei valori universali che si spegne. Un’icona della Repubblica, un esempio che avvertiremo comunque al nostro fianco.

 

 


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