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In libreria “sotto le ceneri” di GIorgio Santelli. Il fantasma di una giovane donna che aiuta il lavoro d’inchiesta

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Estate 1992. La macchina di due giovani sposi di ritorno dal viaggio di nozze finisce in una scarpata, speronata da un camion. I corpi delle vittime verranno scoperti solo qualche giorno più tardi. Omicidio o incidente? Vent’anni dopo, un giornalista d’inchiesta che indaga sullo sversamento di tonnellate di ceneri di carbone in un piccolo paese umbro incappa nella storia di Anna e Paolo, scoprendo che i due fatti sono strettamente legati l’uno all’altro. Si tratta del romanzo di Giorgio Santelli da poche settimane in libreria e negli store on line. Titolo: “Sotto le ceneri”. Cosa l’ha ispirata nella scrittura?

Volevo provare a scrivere qualcosa di diverso da un saggio. Avevo scritto di Berlusconi, del futuro possibile della sinistra, avevo riprodotto su “carta” le storie di Camilleri che avevamo realizzato per Raisat Extra. Questa volta avevo voglia di raccontare una storia tutta mia. C’era un’idea che era legata ai miei primi anni in Umbria come cronista del Corriere dell’Umbria. Avevo seguito alcune vicende che avevano a che vedere con l’ambiente e, in una calda estate, avevo incrociato un fantasma che correva sui cb dei camionisti che percorrevano l’autostrada del Sole transitando per l’orvietano. In quegli anni raccontai quella storia ed oggi, partendo da quella, ho dato vita ad altri personaggi che diventano attori di questo giallo.

Quanto ha influito il suo lavoro di giornalista nella scelta di scrivere un giallo ambientale, cioè un libro non squisitamente letterario, ma che si avvale di elementi di finzione a partire da avvenimenti realmente accaduti?

Ha influito molto. Non è un caso, del resto, che il protagonista del giallo è un giornalista che ripercorre i passi di un’inchiesta reale che ha interessato questo territorio per un paio di decenni. Si tratta delle ceneri della centrale Enel di La Spezia che sono state interrate in molte aree dell’Umbria, da Fabro a Città della Pieve. Ed è vero che l’azienda di trasporti che gestì quei trasporti aveva la sede a Roma, negli uffici del Psi. E qualche anno dopo scoppiò tangentopoli.

Preferisce considerarlo più come un giallo o come un’opera di non fiction?

Diciamo che è una via di mezzo. Nell’appendice, ho recuperato la storia di quell’inchiesta. Nella parte romanzata si avanzano anche delle ipotesi.

A cosa crede sia dovuta la diffusione, e soprattutto il successo, di testi nei quali il suo libro sembra volersi inserire, come quelli di Roberto Saviano o Javier Cercas, che si servono cioè dello strumento narrativo per indagare l’attualità?

Direi che ci sono più ragioni. La prima possiamo identificarla nelle parole di Pasolini in un editoriale sul Corriere della Sera del 1974. Molti sanno quello che accade e quello che è successo. Ma non sempre si può dimostrare, non sempre emergono prove o indizi. Non tanto perché non ce ne sono, ma perché non vengono ricercati. La seconda è riferita alla difficoltà di affrontare alcuni temi sulla stampa o meglio, su certa stampa. Non esistono editori puri e quindi alcuni temi, su alcuni quotidiani, alcune inchieste sono “evitate”. La terza è lo spazio e il tempo. Affrontare alcuni temi, parlare di alcune inchieste ha bisogno di tempo e spazio. Tempo in tv e spazio sui giornali. E questo non è possibile perché l’informazione è ormai essenzialmente flusso e non approfondimento. Infine alcuni temi. Provate a pubblicare su alcuni quotidiani importanti posizioni diverse dal mainstream su pandemia e oggi anche sulla guerra. Non dico posizioni da no vax o da filo putiniani. Ma posizioni che provano ad affrontare legittimi dubbi, che conservino memoria, che sappiano “unire i puntini” delle informazioni. Non c’è spazio ed è una negazione del primo principio del giornalismo sano. Un giornalista senza dubbi, a mio avviso, non è un giornalista. Un giornalista deve avere dubbi, deve porre domande e dovrebbe avere come santo protettore San Tommaso.

Qual è il filo conduttore tra questo nuovo genere letterario, la saggistica più tradizionale e il giornalismo?

Alla fine la non-fiction ruba un po’ alla saggistica e molto al giornalismo. Nel senso che l’ossatura del racconto, lo scenario o meglio ancora la storia sullo sfondo è quella che viene definita anche dal giornalismo o da un saggio su quel fatto o su quella storia specifica. Poi ci sono i personaggi che ruotano intorno a quella storia, che la vivono dal proprio punto di vista. E così esprimono considerazioni, ipotesi, soluzioni che, in alcuni casi, possono anche rappresentare una verità non confermata. Come nelle parole di Pierpaolo Pasolini. Quel suo articolo era forse il primo caso di non fiction che, a distanza di tempo, si è confermato in gran parte pieno di verità.

Passaggi festival è da anni un punto di riferimento per chiunque avverta la necessità di confrontarsi sui temi cruciali dell’attualità. Qual è, a suo avviso, e considerando il momento storico che stiamo vivendo, segnato prima dalla pandemia e ora dal conflitto russo-ucraino, l’importanza di questi momenti così partecipati a livello di pubblico?

L’importanza delle Agorà, dei luoghi di confronto collettivo è così importante che diventa qualcosa che in pandemicrazia molti avrebbero cancellato volentieri. E, in parte ci sono riusciti. C’è stata una limitazione dei diritti individuali, c’è stata una contrazione delle libertà individuali. L’assenza di confronto collettivo ha fatto sì che ogni scelta, ogni decreto, ogni restrizione fosse accettata supinamente. Ora, sulla guerra, sta succedendo la stessa cosa. L’assenza di confronto porta alla semplificazione, ad un mondo non più a colori ma in bianco e nero. In cui sei Vax o No Vax, con Putin o con Zelensky La semplificazione è segno di scarsa intelligenza. La negazione di luoghi di confronto è invece un crimine.

Crede che l’incontro e il dibattito collettivo possano avere ancora un qualche valore politico?

Certo che si. Il dibattito collettivo produce una coscienza collettiva. Coscienza è conoscenza. Senza coscienza e conoscenza si pensa essenzialmente con la testa degli altri. Il più delle volte si tratta di qualcuno che ti fa pensare come la vuole lui, a suo beneficio. Il valore politico del dibattito collettivo è sale per la Democrazia.


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