OMAN – O l’informazione professionale resta un bene pubblico, un “bene comune” da coltivare e accompagnare nell’evoluzione delle società e delle comunicazioni con l’obiettivo di una piena cittadinanza dei popoli, oppure l’informazione diventerà sempre più un semplice “asset”, un prodotto come un altro, un semplice “contenuto” in rete che avrà sempre il suo contraltare tra fake news e propaganda. Siamo a un punto di svolta rispetto a cosa ci aspettiamo dal comparto dell’informazione, e se il messaggio che emerge dal 31esimo congresso mondiale dei giornalisti in corso in Oman è quello di colleghi sotto attacco dal punto di vista retributivo e della stabilità lavorativa, in Italia i sostegni garantiti al sistema durante la pandemia non ha intaccato le ampie sacche di lavoro povero e precariato. Il congresso mondiale si è aperto con un emozionante ricordo di Shereen Abu Aqleh, giornalista palestinese di Al Jazeera uccisa da un colpo di pistola mentre svolgeva il suo lavoro.
La delegazione italiana al congresso mondiale dei giornalisti con il segretario generale Fnsi, Raffaele Lorusso, gli aggiunti Anna Del Freo e chi scrive, insieme con il direttore Fnsi, Tommaso Daquanno e la presidente della Cpo, Mimma Calligaris,
Si contano i posti di lavoro persi, si osservano retribuzioni in diminuzione e un precariato dilagante. Il quadro dell’informazione è a tinte decisamente fosche, ed il problema non riguarda i giornalisti in quanto tali ma riguarda le società civili e la qualità stessa della democrazia. Due eventi epocali di questi anni come la pandemia di Sars-Cov2 e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ci portano alla realtà dei fatti: corrispondenze realizzate in gran parte da freelance, come mai prima. Colleghe e colleghi senza tutele che cercano di colmare il vuoto lasciato da editori che in questi anni hanno pensato solo a ridurre il costo del lavoro – con una contestuale diminuzione della qualità dei contenuti – con la creazione di un numero sempre maggiore di giornalisti precari, autonomi solo sulla carta, senza diritti e tutele: veri e propri “rider dell’informazione” che si trovano a reggere interi settori informativi, corrispondenze, pagine e servizi che dovrebbero essere di competenza di giornalisti subordinati, con tutte le tutele previste per chi fa parte integrante del diritto-dovere di informare ed essere informati nato dalla Costituzione.
La mobilitazione lanciata dalla Commissione nazionale lavoro autonomo della Fnsi e dal presidente Fnsi, Giuseppe Giulietti, è una strada obbligata per riportare al centro del dibattito la qualità del lavoro e dell’informazione in Italia.
«Ci troviamo nella paradossale situazione in cui la politica e le direzioni dei giornali lodano croniste e cronisti impegnati in Ucraina ignorando, o facendo finta di ignorare, che si tratta spesso di colleghi precari, freelance, senza contratto né assicurazione e senza un equo compenso che sia esigibile. Nei momenti di crisi più devastanti, durante la pandemia prima e nel conflitto in Ucraina adesso, l’importanza e la necessità della presenza dei giornalisti in prima linea è chiara a tutti. Il fatto che questi giornalisti siano spesso privi di tutele è una questione che dovrebbe riguardare anche il governo, al quale chiediamo di occuparsi di una tutela pubblica per i cronisti precari impegnati al fronte, a partire da un’assicurazione che li copra in caso di danni a loro stessi o agli equipaggiamenti. La consapevolezza del livello abnorme di precarietà di cui è vittima l’informazione italiana è il primo passo per prendere adeguate contromisure, a partire da equo compenso e tutele per i freelance». Questo l’allarme di Clan Fnsi. «L’esigenza di una mobilitazione nazionale contro l’insieme delle storture del sistema informazione, che si regge sempre di più su lavoro povero e senza diritti. Così ad essere precari sono i principi di libertà di stampa garantiti dalla Costituzione. Un problema che riguarda tutti i cittadini, la qualità della democrazia, la lotta alle fake news e il livello del dibattito pubblico del nostro Paese». Una mobilitazione che non deve riaguardare solo i giornalisti o ancora peggio solo i giornalisti autonomi. E’ un problema che riguarda tutti e al quale è chiamato a rispondere il Governo italiano che latita sulla determinazione delle tariffe sull’equo compenso. Se non ora, quando?