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La guerra rottama il neutralismo

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La Finlandia e la Svezia bussano alla porta della Nato, l’alleanza militare occidentale incubo di Vladimir Putin. L’aggressione del presidente russo all’Ucraina mette paura. Così Helsinki e Stoccolma hanno deciso di mettere da parte il loro tradizionale neutralismo dai blocchi militari contrapposti.

Sanna Marin spiega la richiesta di aderire all’Alleanza Atlantica perché va rafforzata «la nostra sicurezza». La premier finlandese teme anche il potente arsenale atomico russo: la minaccia di Mosca è «molto seria» ma «anche la Nato ha armi nucleari e ci sarebbe una risposta se la Russia le usasse». Sanna Marin va a Roma. Mario Draghi, in un incontro a Palazzo Ghigi, dà il disco verde dell’Italia all’ingresso di Helsinki nella Nato.

Magdalena Andersson fa un discorso analogo alla collega finlandese. La premier svedese indica la necessità di «garanzie di sicurezza» fornite dall’adesione all’alleanza militare occidentale guidata dagli Stati Uniti. Teme brutte sorprese: «Se restassimo l’unico Paese nella regione fuori dalla Nato saremmo in una posizione molto vulnerabile».

I due paesi scandinavi, componenti dell’Unione europea, sono rimasti scioccati dall’invasione russa dell’Ucraina. Temono per il loro futuro, come tutte le altre nazioni europee confinanti con il gigante russo. La paura di una aggressione è talmente forte che danno un calcio alla loro storica posizione di neutralità internazionale. Helsinki e Stoccolma presentano simultaneamente le due domande di ingresso nell’alleanza occidentale. Il segretario della Nato Jens Stoltenberg è entusiasta: è «un passo storico».

La Finlandia è più decisa, forse perché ha patito prima l’occupazione della Russia zarista e poi quella sovietica. Dalla fine della Seconda guerra mondiale ha riacquistato la propria indipendenza. Ha dichiarato la propria neutralità. Ma ha vissuto 50 anni di sovranità limitata, molto condizionata sul piano politico ed economico dal potentissimo vicino sovietico. La sua neutralità era così vincolata da Mosca che nacque perfino un neologismo per definire la sua sovranità vincolata: finlandizzazione.

La Svezia, con qualche dubbio in più, si muove nello stesso senso. Eppure la sua neutralità è antica: ha più di 200 anni, dal 1814. Il partito socialdemocratico svedese fu un deciso sostenitore di una neutralità attiva tra il mondo capitalistico occidentale guidato dagli Usa e quello comunista diretto dall’Urss. Olof Palme fu un deciso sostenitore di una politica di disarmo, di denuclearizzazione, di decolonizzazione. La Svezia di Palme, assieme all’India di Nehru-Gandhi, alla Iugoslavia di Tito, all’Egitto di Nasser fu la protagonista del movimento dei “non allineati” (le nazioni che dopo la Seconda guerra mondiale scelsero il neutralismo, non schierandosi né con Washington né con Mosca). Il 28 febbraio 1986 il premier Palme fu ucciso a bruciapelo, a colpi di pistola mentre usciva con la moglie da un cinema. L’omicidio è rimasto impunito.

La guerra di Putin ha azzerato tutto. Il presidente russo è furibondo. Alterna parole rassicuranti a toni minacciosi. In particolare una rappresaglia potrebbe colpire la Finlandia con il taglio delle forniture di gas russo. Svizzera e Austria, gli altri due Stati neutrali europei, hanno atteggiamenti diversi. La Confederazione Elvetica dialoga con la Nato (in molti invitano a «flirtare, ma non sposarsi» con l’Alleanza). L’Austria, invece, è schierata per un deciso no (forse perché dipende fortemente dal gas russo).

Comunque, per ora, la porta della Nato resta sbarrata per la Finlandia e la Svezia. Recep Tayyip Erdogan, bastione orientale dell’Alleanza Atlantica, si oppone. Il presidente turco accusa Finlandia e Svezia di proteggere i terroristi curdi: «Abbiamo chiesto di estradare 30 terroristi, ma si sono rifiutati di farlo». Erdogan si è impegnato come mediatore nelle trattative di pace tra Putin e Zelensky, ma finora con esiti negativi.


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