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La città di Cap: un graphic novel per dare dignità ai lavoratori sfruttati da ogni forma di Caporalato

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Sono oltre un milione e 800mila le persone sfruttate nella filiera agricola, dalla raccolta alla distribuzione di prodotti alimentari. L’Associazione Amanodisarmata si unisce alla Rete internazionale di lotta al Caporalato NoCap e al suo fondatore Yvan Sagnet, protagonista di un graphic novel mai scritto prima: La città di Cap, incentrato sullo sfruttamento di chi lavora per vivere. Il libro a fumetti è il fulcro del VII Forum dell’Informazione contro le Mafie ideato da Amanodisarmata.

Il 17 maggio, presso il Circolo della Stampa, nell’ambito del Salone del Libro di Torino, viene presentato il graphic novel La città di Cap che racconta in modo del tutto anticonvenzionale la lotta alle mafie e al depauperamento delle forze fisiche e morali dei lavoratori. L’iniziativa celebra il VII Forum dell’Informazione contro Le Mafie, ideato e realizzato dall’Associazione Amanodisarmata, patrocinato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e dalla Federazione Nazionale della Stampa, con la collaborazione di NoCap, il sostegno di Intesa San Paolo e la diretta sul IlFattoQuotidiano.it. Saranno presenti l’Associazione Amanodisarmata; Yvan Sagnet; gli autori del graphic novel, Maria Iovine e Silvestro Maccariello, le disegnatrici, Irene Carbone ed Erica Grillo. L’incontro verrà concluso da Luigi Ciotti, fondatore e Presidente di Libera contro le Mafie.

Agromafie e NoCap, la Rete di lotta al Caporalato che passa dalla protesta alla proposta.

Il caporalato coinvolge oltre 450.000 persone; il sotto salario tra le 700 e 800mila. Italiani, bulgari, rumeni e africani guadagnano tra 1,50 e 2,50 euro l’ora, per 10-12 ore di lavoro al giorno. Ma solo il 40% sono stranieri.  I produttori agricoli sono 2 milioni e 800mila, dei quali il 60% sfrutta manodopera. Nella storia della lotta al Caporalato in Italia, un anno importante è il 2011, nel cui torrido settembre pugliese si è svolto lo Sciopero di Nardò. Il primo articolo di Legge contro il Caporalato nasce una settimana dopo quella protesta, avvenuta nei campi agricoli della provincia di Lecce e organizzata da Yvan Sagnet, un giovane camerunense giunto in Italia per laurearsi in ingegneria. Il 15 settembre 2011 viene introdotto il reato di caporalato (art. 603bis c.p.), grazie al quale partono le prime denunce di sfruttamento. Yvan Sagnet diventa membro della CGIL regionale e iniziano gli anni del lavoro di sindacalista.
Nel 2016 la legge 199 estende le responsabilità dello sfruttamento non solo al caporale, come intermediario illegale, ma anche alle aziende che usufruiscono di questo abuso sfruttando i lavoratori. Nel 2017 Yvan Sagnet fonda NoCap, la rete internazionale di lotta al Caporalato. Sagnet capisce che esso non riguarda soltanto i fenomeni di sfruttamento (come sotto salario, nessun rispetto degli orari di lavoro, un’evasione contributiva pari a quasi 2 miliardi l’anno), ma anche il mancato rispetto delle norme sulla sicurezza e altri diritti. I caporali sono mercenari e NoCap intercetta il problema: se l’agricoltore non può decidere sul prezzo, dovrà risparmiare altrove, abbassando il costo del lavoro, o incrementare lo sfruttamento. Chi impone i prezzi dall’alto schiaccia l’agricoltore, che a sua volta schiaccia l’anello più fragile: i braccianti. I caporali sottraggono reddito, sicurezza, dignità a chi lavora. Nel 2019 NoCap rende attivo il suo slogan: “Dalla protesta alla proposta”: per la prima volta riunisce i principali attori della filiera agro-alimentare (lavoratori, agricoltori, distributori), superando le conflittualità e creando un’alleanza all’insegna dei diritti e del ‘prezzo giusto’. Così nasce la prima filiera etica d’Italia: contratti collettivi nazionali, visite mediche, assistenza legale, servizi logistici gratuiti sono alcune tra le conquiste della filiera NoCap. Questa alleanza si sugella con il consumatore, che deve diventare fruitore critico e consapevole delle sue scelte. NoCap ha calcolato che 2 prodotti su 3 che l’italiano porta in tavola provengano dallo sfruttamento agricolo. La consapevolezza del consumatore farà crescere un mercato virtuoso e metterà fine all’illegalità, che costa a tutti noi circa 15 miliardi di euro. Negli ultimi anni nascono i prodotti a marchio NoCap, che si trovano nei supermercati del Gruppo Megamark (Dok, Famila, A&O, Sole365) e del Gruppo Aspiag-Despar Nord-Est. NoCap è presente anche nelle botteghe del commercio equo e solidale grazie al marchio Goodland. NoCap ha intrapreso, recentemente, una nuova battaglia sul tema dei servizi alla persona. Con la collaborazione di associazioni come Caritas, Migrantes, Chiesa Valdese, NoCap offre alloggi comprensivi di ogni servizio essenziale e mette a disposizione gratuita mezzi di trasporto, ottenuti tramite crowdfunding e bandi regionali. I braccianti di NoCap, oggi, guadagnano 45 euro netti al giorno, lavorano 6 ore e 40 minuti al giorno, gli straordinari non superano le 2 ore e sono pagati il doppio, nel rispetto delle Leggi. NoCap ha sottratto al caporalato oltre 400 persone e conta oggi una ventina di aziende agricole nel rispetto del lavoro.

Dopo questo rapido excursus sulle battaglie di NoCap sin qui realizzate, chi scrive conosce Yvan Sagnet e ha messo in collegamento NoCap con l’Associazione Amanodisarmata, la quale ha virtuosamente scelto il tema del Caporalato come colonna portante del VII Forum contro le Mafie, individuando in Yvan Sagnet il protagonista di questa battaglia.

Le interviste a Yvan Sagnet e agli autori del graphic novel La città di Cap, Maria Iovine e Silvestro Maccariello mettono in luce la lungimiranza di Sagnet e le doti di chi ha scritto un libro necessario.

Yvan Sagnet, il protagonista di La città di Cap

  1. Il VII Forum dell’informazione contro le Mafie, organizzato da Amanodisarmata, quest’anno è dedicato alla lotta contro il Caporalato. Il protagonista di questo forum è lei, Yvan Sagnet, partito da ragazzo dal Camerun per laurearsi al Politecnico di Torino in Ingegneria e diventato il protagonista di una Rete internazionale di contrasto allo sfruttamento e alle agromafie, in Italia e all’estero. La sua vita è raccontata da Maria Iovine e Silvestro Maccariello nel graphic novel edito da Becco Giallo. Qual è stata la sua prima reazione quando ha preso tra le mani La città di Cap?

Ho provato un’intensa emozione. Gli ultimi due anni sono stati molto costruttivi: l’incontro che lei stessa ha reso possibile, facendosi portavoce della battaglia di NoCap con l’Associazione Amanodisarmata; la creatività di Maria Iovine e Silvestro Maccariello; il bel sodalizio con la casa editrice Becco Giallo e con le disegnatrici e poi con reti di informazione fondamentali come l’Ordine dei Giornalisti, la Federazione nazionale della Stampa, lFattoQuotidiano.it; e, ancora, il sodalizio con Libera contro le Mafie. Vorrei ringraziare tutti, perché da queste collaborazioni virtuose è nato un prodotto artistico di altissimo valore culturale e d’informazione. Per NoCap era fondamentale che la lotta sistematica di contrasto alle Mafie e allo sfruttamento dei lavoratori potesse arrivare al più ampio numero di persone. Credo che questo sia il primo graphic novel che tratta il tema del lavoro sfruttato. Spero che abbia un seguito importante, perché nessuno ha mai usato il fumetto, credo, per raccontare un tema così doloroso e così diffuso e perché il fumetto avvicinerà i giovani a conoscere la capillare soppressione dei diritti umani nel mondo del lavoro.

  1. L’arte ha, tra le sue peculiarità, la possibilità di diventare un potente veicolo di denuncia. Allo stesso tempo, il tema del Caporalato ha in sé elementi di tragicità e coinvolge le fasce più deboli della società. L’arte, per quanto possa essere rivoluzionaria e agire profondamente nelle coscienze dei fruitori, secondo lei può davvero raccontare le vite infernali di chi è sottoposto al Caporalato?

Tra arte e battaglie sociali c’è un nesso da sempre. Abbiamo colto immediatamente l’opportunità di realizzare questo libro, perché significava uscire dal nostro ambito di azione e raggiungere il maggior numero di lettori. Il nostro lavoro è rivolto a persone invisibili, indifese e mai come in questo momento, dopo una Pandemia e nel mezzo di una guerra, sentiamo fortissima una Crisi profonda, nella quale gli invisibili restano tali, quando non peggiorano le loro condizioni. Il vantaggio che trarremo da questo libro sarà quello di informare, di comunicare con le persone che leggeranno, perché la società civile e i giovani sappiano che è necessario togliere gli sfruttati dal loro stato di emarginazione. Speriamo inizi, prendendo spunto anche da questo libro, un percorso virtuoso di scambio, informazione, conoscenza. Vorremmo che in futuro si potessero creare proposte attorno al libro, che narra alcune tra le ingiustizie dilaganti in questa società, ingiustizie che non riguardano soltanto il settore agricolo, ma tutti i contesti lavorativi. Mi auguro che attorno a questo libro si aprano dibattiti istituzionali, politici, sociali, legati anche alle scuole e alle università. NoCap si mette a disposizione per raccogliere tutte le proteste, ma soprattutto le proposte che ruotano attorno al Caporalato. L’arte è un grande veicolo per far riflettere le persone e soprattutto i ragazzi, che potranno apprezzare la fantasia degli autori imparando cose nuove.

  1.  Nel sistema capitalismo le forme di Caporalato sono diffuse in tutta le fasce sociali. Ci vuole dire qualcosa a riguardo?

NoCap ribadisce da sempre che il Caporalato è un fenomeno accessorio al sistema di sfruttamento. Noi parliamo di illegalità nell’ambito di tutti i lavori e contrastiamo tutte le forme di sfruttamento, di lavoro povero, di lavoro imposto e sottopagato. Ci siamo concentrati sul lavoro agricolo e sulle tante forme di sfruttamento in quest’ambito perché lì siamo nati. Da Nardò ho iniziato, con i mei compagni, un percorso di legalità nel lavoro agricolo. Ma questo fenomeno colpisce l’edilizia, il giornalismo, l’industria, le libere professioni, il settore manifatturiero, qualsiasi mestiere. Questo libro parla a tutto il mercato del lavoro.

  1. Ci racconta a che punto è il percorso di NoCap. Come state procedendo e su cosa state lavorando?

NoCap è impegnata a coprire l’intero territorio nazionale nel contrasto al Caporalato, ma non vogliamo dimenticare le battaglie che portiamo avanti fuori dall’Italia. Il nostro lavoro è strutturale, di risposta globale allo sfruttamento. Vogliamo andare ovunque sia necessario. Andare ovunque significa riuscire anche a intercettare tutti gli operatori economici per sensibilizzarli sul fatto che la legalità e il rispetto dei diritti è il futuro delle imprese, così come delle istituzioni. Vogliamo parlare a tutto il Paese, non soltanto al sud, ma ora più che mai al nord Italia, dove è estesa una forte rete di illegalità e sfruttamento. NoCap sta inoltre cercando di sensibilizzare tutta i cittadini a un consumo “consapevole”, etico: chi mangia, chi compra il cibo è coinvolto personalmente nella filiera alimentare, dalla raccolta degli alimenti agricoli alla loro distribuzione nei punti vendita. Che tipo di cibo vogliamo per il nostro futuro? Un cibo raccolto da persone sfruttate e coltivato con pesticidi; oppure un cibo sano, naturale, raccolto da persone che vengono equamente retribuite, che vivono e lavorano regolarmente, rispettando le leggi? I 60 milioni di italiani che mangiano tutti i giorni e che comprano da mangiare per sopravvivere devono contribuire a migliorare la qualità del lavoro sul cibo, perché sono parte della filiera. Cerchiamo, poi, di estendere questa battaglia di legalità, etica e culturale del cibo a livello globale: tutti i cittadini del mondo devono alimentarsi per sopravvivere.

  1. NoCap parte dalle prime battaglie in Puglia, Calabria, Campania, Agro Pontino (campagne di contrasto al Caporalato per le quali è dovuto scappare da quei luoghi a causa di attacchi diretti alla sua persona da parte delle mafie locali), ma si cerca di arrivare al territorio europeo, dove le agromafie sono tanto potenti quanto in Italia. In questo progetto, c’è la possibilità che NoCap si faccia portavoce del contrasto alle forme di sfruttamento in tutti i settori del lavoro? NoCap potrebbe diventare un caposaldo dove far confluire tutte le realtà in lotta contro lo sfruttamento del lavoro?

Certamente, questo è uno dei nostri obiettivi. Recentemente, abbiamo fatto un incontro per i Riders: anche quello è un ambito di sfruttamento, soprattutto giovanile, globale, complesso. Vorremmo creature un grande movimento attorno a una Rete unica, che non debba essere per forza NoCap, ma facendo in modo che NoCap diventi una co-protagonista di unità di contrasto allo sfruttamento. Senza l’unità non si va da nessuna parte. La frammentazione indebolisce la lotta. Bisogna unire le forze perché la battaglia comune alle diseguaglianze risulti efficace.

  1. Torniamo al graphic novel. La protagonista si chiama Dritta ed è la nipote di un anziano Yvan Sagnet, che vive il mondo di questo fumetto nel rammarico di non aver potuto realizzare i suoi obiettivi, di aver dovuto abbandonare NoCap. Ci riuscirà, evidentemente, la giovane Dritta. Esiste, nella vita di Yvan Sagnet una Dritta e se esiste, chi è?

Francamente, credo che Dritta sono io. Il mio obiettivo non è semplicemente denunciare, informare, educare a un consumo etico. Con tutta NoCap, mi batto per ottenere risultati concreti: dalle leggi agli accordi sindacali, dalla costruzione di alloggi dignitosi ai lavoratori all’utilizzo di mezzi di trasporto dignitosi che li facciano andare nei campi; dal codice etico dei prodotti NoCap alla loro qualità effettiva. L’unica cosa che conta davvero nella vita credo siano i risultati. Dritta si ispira a me, credo, perché ha la volontà di dare valore alle persone e di battersi per la difesa dei diritti delle persone.

  1. Una caratteristica di Yvan Sagnet è l’umiltà. Nonostante la collaborazione con la CGIL dopo lo Sciopero di Nardò, l’aver ottenuto l’approvazione delle leggi contro il Caporalato, l’attribuzione del Cavalierato del Lavoro da parte del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la concreta liberazione di molte persone che ora vivono dignitosamente del loro lavoro legale nei campi, lei non è mai stato obnubilato da queste vittorie. Lei dimostra che le battaglie vinte non sono un punto di arrivo, il presupposto per vincere quelle future. Ha imparato a diventare così, o è sempre stato così?

Credo di essere sempre stato così. Vengo da una famiglia che ci ha insegnato il valore della dignità. Sono nato tra i poveri, siamo stati molto poveri, soprattutto in alcuni periodi della mia vita. So cos’è la sofferenza, ma anche la condivisione. È un bagaglio che mi porto dall’infanzia. Quando sono arrivati i risultati di questi anni di lotte, mi è sembrato giusto tenere lo sguardo fermo sulle cose che ancora non avevo realizzato. Non ho francamente nulla di cui vantarmi, perché le difficoltà sono ancora molte. Abbiamo vinto alcune battaglie, la guerra per il rispetto dei diritti umani non ancora. Bisogna vincere, tutti.

Gli autori di La città di Cap, Maria Iovine e Silvestro Maccariello.

  1. Da dove parte l’idea di fare un graphic novel sulla vita di Yvan Sagnet e sulla Rete di contrasto al Caporalato NoCap?

L’Associazione Amanodisarmata realizza periodicamente dei Forum, il cui scopo è denunciare, attraverso documentari o altre forme d’ arte, i meccanismi intrinseci all’illegalità diffusa in ogni aspetto della nostra vita pratica. Il tema di questo VII Forum d’Informazione contro le Mafie è il Caporalato e NoCap è diventata l’emblema della lotta al Caporalato. Abbiamo voluto raccontare la storia personale e di lotta alle Mafie di Sagnet, attraverso gli occhi di una immaginaria nipote di Yvan, Dritta. La storia, ambientata nel 2053, vede la presenza di Yvan Sagnet stesso. Abbiamo letto la biografia (Yvan Sagnet, Ama il tuo sogno, Fandango, 2012) e siamo stati rapiti dalla sua vita. Quando si parla di caporalato si pensa alle povere anime sfruttate e sottopagate per raccogliere i prodotti agricoli che mangiamo quotidianamente. In realtà, la piaga del Caporalato è molto più profonda e coinvolge tutte le nostre vite. La storia di Yvan è star-ordinaria. Leggendo la biografia, abbiamo capito che l’unico modo per dare valore e dignità al suo vissuto fosse quello di rispettarlo, semplicemente. Il racconto che abbiamo costruito è quello di un mondo nel quale la lotta di Yvan contro il caporalato, in realtà, è fallita. Un mondo che ha perso memoria della parola Diritti.

  1. Come averte fatto a raccontare storie reali tanto tragiche come quelle di chi vive da schiavo?

Yvan Sagnet, ha fatto cose davvero fuori dall’ordinario. Molti avevano provato, anche con ottimi risultati, a creare reti di difesa dei diritti umani contro lo sfruttamento nei campi di raccolta agricola, in Italia e all’estero. NoCap, ha avuto però la capacità di sistematizzare il problema, renderlo reale e risolvendo alcune forme di ingiustizia. Sagnet ha fatto sì che si andasse dalla proposta alla realizzazione. Da Nardò a oggi, anche grazie a Yvan il Caporalato è diventato un reato penale. Questo è un fatto enorme. Quando lei, Marta ci ha fatto conoscere Sagnet, abbiamo visto un ragazzo talmente sorridente e umile che ci veniva voglia di scrollarlo, per dirgli: “Ma hai capito cosa hai fatto? Sei un grande!”. Poi, abbiamo capito che Yvan ha un progetto che guarda al futuro, che non si ferma ai risultati ottenuti o al rivendicare la paternità di quei risultati. Il suo scopo è quello di tentare di abolire definitivamente il Caporalato. L’atto rivoluzionario di Nardò deve andare avanti. L’immagine stereotipata di questo fenomeno si ferma al lavoro agricolo. Il Caporalato, invece, riguarda ciascuno di noi, senza che ce ne accorgiamo. Il nostro mondo vive di sfruttamento del lavoro, in qualsiasi ambito. L’idea di partenza della nostra storia è stata quella di ampliare il concetto di sfruttamento. Da questa consapevolezza maturata conoscendo Yvan, è nata la storia di Dritta, la protagonista del nostro graphic novel. È l’ideale nipote di Yvan, che arriva al mondo due generazioni dopo il nonno. In questo lasso di tempo, la lotta di Yvan è fallita: le rivolte, No Cap, si sono dissolte nel nulla. L’erosione dei diritti ha creato un mondo in cui tra vita e lavoro non c’è più distinzione, tutto è soltanto lavoro e ciò che si guadagna serve esclusivamente a poter lavorare ancora, senza sosta. Il Caporalato è questo: uno sfruttamento che ti fa guadagnare meno del necessario per la semplice sopravvivenza e toglie energie. Dritta vive in questo mondo nel quale tutti hanno accesso al lavoro, tutti sottostanno a questo “Regime Capitale”. Da qui la doppia valenza del termine Cap: caporalato, ma anche capitale. L’inconsapevolezza è totale eppure diffusa e normalizzata. Un elemento che abbiamo tenuto in considerazione è la luce. Il sogno del Capitale è quello di illudere i cittadini che questo sistema sia il più giusto, il più virtuoso. Nella Città di Cap c’è il sole 24 ore al giorno, come se il mondo della produzione capitalistica dovesse essere attivo e portatore di profitto sempre, sotto un sole luminoso e instupidente, dove non ci si riposa mai, al buio. Dritta deve costruire un percorso lavorativo che nulla ha a che fare con le proprie inclinazioni, ma c’è qualcuno sopra di lei che assegna specifici reparti di produzione, nei quali i ragazzi lavorano senza alcuna coscienza. Lo fanno perché predestinati dal Sistema di produzione capitalistica. Dritta diventa una commessa, ed è qui che inizia il percorso avviato 30 anni prima dal nonno: un percorso di coscienza, protesta, proposta. Siamo felici di aver affidato un ruolo di riscatto a un personaggio femminile e a una giovane. Abbiamo scelto che la protagonista fosse la nipote di Yvan per dire ai lettori di cominciare presto, in giovane età, a difendere i diritti negati: basta pochissimo perché i diritti vengano cancellati. Quando si parla di stages, di tirocini, di lavori giovanili non pagati, in ogni ambito lavorativo, bisogna sapere che si viene sfruttati. Perdere i diritti è un attimo.

  1. Come si concilia la cifra di Autore che sceglie un personale punto di vista con il raccontare le atrocità del reale?

Quando abbiamo un’idea quell’idea ha lo scopo finale di migliorare lo sguardo su ciò che raccontiamo. Il punto di vista dal quale partiamo è la denuncia. Attraverso la fantasia, certo. Ma non riusciamo a dissociare la realtà e le sue storture. Il gesto artistico è un gesto politico, per sua natura. La lotta politica è al centro della nostra creazione. Chi fa arte è creatore di immaginario e questo è un compito difficilissimo. Bisogna stare molto attenti a quello che si crea.  Interrogarsi sul mondo che viviamo e su che mondo vorremmo domani è il centro della ricerca artistica. L’arte può essere più o meno politica, ma è sempre politica. Quando dici, crei, scrivi, stai gettando un amo per qualcosa che raccoglierai.  Questo presente è limitato, brutto, confuso, non ci piace davvero. Allora lo ricreiamo. O lo mostriamo per far vedere quanto sia brutto e per incitare tutti a renderlo migliore.

  1. Voi fate cinema, solitamente. Come vi siete trovati a realizzare un graphic novel?

Ci siamo divertiti moltissimo. Perché il fumetto sta a metà tra arte figurativa, scrittura e cinema ed è, soprattutto, regia pura. Il cinema ha alla base un lavoro interminabile di scrittura. Lo ha anche il fumetto, ma con mille livelli di realizzazione in più: nel cinema hai il limite della realtà che filmi ed è irrinunciabile. Nel fumetto la realtà la puoi disegnare, inventare, ricostruire completamente, in totale libertà. Il che fa paura, ma scatena una enorme fantasia. È stato un atto liberatorio, per noi. Esattamente la troppa libertà creativa ci ha preoccupato, inizialmente, più di tutto il resto. Strada facendo, abbiamo fatto fronte a questo carico di libertà e, quindi, di responsabilità, e abbiamo cominciato a divertirci davvero.

  1. Come immaginate sarà questo 2053 nel quale avete ambientato la storia?

Siamo abbastanza ottimisti. La generazione dei trentenni, noi, ha vissuto la fine di molte cose e la nascita di molte altre. Crediamo che questa generazione di passaggio e quelle successive alla nostra abbiano un forte senso di insoddisfazione, di fastidio sincero verso le cose fatte male. Siamo fiduciosi perché, nonostante i giovani siano massacrati dallo sfruttamento sul lavoro (quando c’è), hanno una lucidità straordinaria sul mondo che vivono. Forse, più che essere fiduciosi, siamo combattivi. Questo mondo che abbiamo raccolto va curato. La parola più importante di tutte, un’eredità del femminismo, è “cura”. Cura sociale, ecologica, umana, culturale. Viviamo rivoluzioni che si succedono con una rapidità impressionante: il femminismo che entra nell’opinione pubblica; il maschile che comincia a mettersi in discussione; la coscienza ambientale; la coscienza alimentare. Il Capitalismo sembra che si stia frammentando: quel “Turbo Capitalismo” velocissimo creatosi tra gli anni ’70 e ’90 ci pare stia un po’ rallentando, si sta cominciando a porre qualche domanda. Crediamo ci sia anche una dissociazione tra la voglia di vivere del popolo e la volontà del sistema multi-capitalistico di produrre e basta. Finora il capitalismo ha giocato facile con i sogni dei suoi cittadini, ora c’è maggiore stanchezza di sognare sempre lo stesso sogno di realizzare a tutti i costi.

Per concludere, vorremmo ringraziare Yvan Sagnet: non soltanto per il politico che è, ma per l’uomo che è. Non è scontato che chi ha un’eredità tanto importante come quella di Yvan si affidi a due giovani autori. Ha concesso a noi che un seme da lui gettato potesse germogliare. Non c’è stata nessuna ingerenza da parte sua. Noi abbiamo anche sofferto di questa eccessiva libertà che ci ha dato. Ma ora possiamo soltanto ringraziarlo.


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