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Macron, una vittoria senza la Francia

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Ha vinto ed è un bene perché Marine Le Pen sarebbe stata una catastrofe, un male per tutte e per tutti e forse persino un concreto rischio di dissoluzione per l’Unione Europea. Ciò premesso, Macron non è la soluzione ma il problema. È il problema, in quanto se la Le Pen è passata da poco più del 33 ottenuto cinque anni fa a oltre il 40 per cento è colpa sua. È un problema perché le sue politiche, liberiste, sbagliate e fuori tempo massimo, sono il vero propulsore del populismo fascistoide che alimenta la sua avversaria e persino qualche personaggio peggiore di lei. Ed è il problema perché un Paese in cui non votano più i giovani, i ceti sociali più deboli, le persone che non riescono ad arrivare alla fine del mese e i dannati della globalizzazione in generale non ha futuro.
Macron costituisce, dunque, una risposta del passato ai problemi del presente. Non possiede la complessità necessaria per affrontare gli immensi guai che affliggono una Francia ancora priva di un ruolo in questo secolo. Gli manca l’analisi storica, la saggezza necessaria per emanciparsi dal blairismo ancora incombente sul Vecchio Continente e la capacità di unire e tenere insieme una società sfiancata dalla violenza terroristica, dalla pandemia, dalla crisi economica e, soprattutto, dalla perdita di identità. Ecco, Macron è un politico privo di identità, senza un partito degno di questo nome alle spalle, un esponente dell’establishment a tutti gli effetti, vissuto dai cittadini come il male minore, ma comunque come un grosso male, al punto che molti lo hanno addirittura paragonato alla “peste”, contrapposta al “colera” rappresentato dalla sua sfidante.
In cinque anni non ha governato bene, eccezion fatta per qualche processo continentale e qualche vicenda di politica estera che, tuttavia, non sono mai stati argomenti su cui puntate in campagna elettorale, almeno in una nazione che, come detto, ha smarrito il proprio ruolo a livello internazionale e non accetta la realtà del proprio ridimensionamento, dovuto alla fine dell’era degli stati e alla mancata nascita di un’Unione politica, di cui la Francia vorrebbe intestarsi la guida.
Macron era e resta il presidente dei ricchi, dei benestanti, dei vincenti. Non lo ha capito finora e non dubitiamo che lo capisca in futuro, anche perché di sicuro non gli difettano l’arroganza e una certa megalomania. Ragazze e ragazzi non lo seguono, considerandolo un avversario, se non peggio, e non accettandone in alcun modo la visione del mondo.
La spaccatura fra le grandi città e le zone rurali, poi, è evidente, a conferma di un fronte repubblicano sempre più fragile, sempre più sgomento e sempre più propenso a sfaldarsi, a vent’anni di distanza dal suicidio del socialista Jospin che favorì l’accesso al secondo turno di Le Pen padre, fortunatamente sconfitto da Chirac con una vittoria schiacciante.
Continuando di questo passo, fra cinque anni, con ogni probabilità, lo schieramento anti-fascista non reggerà più, e non vorremmo che la vittoria sottotono di quest’anno rappresentasse l’ultima recita della Francia che fu, prima di lasciare il posto al trionfo del rancore, della rabbia e della disperazione collettiva. Di sicuro, la guerra, la nuova crisi economica in arrivo e la disoccupazione che farà sentire il suo peso anche in un Paese dotato del nucleare e di una potenza industriale significativa non potranno che peggiorare le condizioni della comunità nel suo insieme.
Macron ha vinto da solo, senza la Francia, parlando soltanto alle élites che traggono vantaggio dalla sua presenza al potere e disgustando tutti gli altri, compreso chi, con raro senso di responsabilità, lo ha votato comunque per scongiurare l’apocalisse.
Permettetemi, da osservatore italiano, di esprimere profonda preoccupazione per ciò che accadrà adesso in casa nostra, dove i soliti noti non perderanno occasione per rivolgere strali contro la sinistra, insultare i cosiddetti “populisti”, offendere a più non posso chiunque denunci il disagio sociale e il malessere che ne consegue e rispolverare alleanze a destra, nel solco di quell’abbaglio clamoroso che fu la “fine della storia”, purtroppo mai rinnegato da una classe politica globale sempre più screditata e priva di una connessione sentimentale con la cittadinanza. Peccato che, almeno alle nostre latitudini, questa ridotta blairiana abbia già perso, continuerà a perdere e spalancherà le porte a una destra oggettivamente preoccupante, non smettendo di sentirsi infallibile e di dileggiare, a colpi di Tweet, chiunque si permetta di indurla a riflettere sulla propria mancata comprensione della realtà attuale. Del resto, esistono fenomeni epocali ai quali è difficile opporsi. E, per dirla con una sentenza sempre attuale, “Dio acceca chi vuol perdere”.

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