Ho conosciuto e intervistato anni fa dei capi partigiani “rossi” ed ex-ufficiali del Regio esercito, poi medagliati per le loro gesta durante la Resistenza, ma anche dei sopravvissuti ai lager.
Da loro, ho ascoltato testimonianze crude e sofferte. Sempre comunque per loro il messaggio fondamentale da trasmettere alle nuove generazioni era di anteporre la pace alle armi.
Le polemiche politiche di questi giorni sull’ANPI, e la sua scelta di onorare il 25 Aprile con una forte connotazione improntata alla Pace in Ucraina, sono per lo più legate a “ruggini autolesioniste” interne ad una Sinistra parcellizzata, in crisi d’identità e in cerca di un novello “Conduttore” che la riunisca.
Personalismi che fanno purtroppo gli interessi di una certa stampa “con l’elmetto”, acquiescente alle tesi interventiste e guerrafondaie USA e NATO, e della destra euroscettica, un tempo però tutta schierata con Putin.
Comparare la Resistenza italiana a questa guerra “per procura”, voluta da Mosca, o ad altre guerre che da 20 anni stanno rendendo instabile il mondo e dimenticate nonostante le atrocità, è fare un uso strumentale e di parte della Storia.
Eravamo uno Stato fascista belligerante insieme alla Germania nazista contro gli Stati democratici, gli “Alleati”, e la comunista-stalinista Unione Sovietica, oggi Russia.
Dopo l’8 Settembre lo stato si disgregò e diventammo belligeranti contro la Germania. Una parte degli italiani tradì e un’altra parte invece intraprese la durissima strada della Resistenza.
Fu una “guerra civile” di Liberazione con gli Alleati, che solo in parte ci rifornirono di armi leggere, perchè non si fidavano degli italiani da sempre ritenuti “voltagabbana”.
I nostri patrioti usavano per lo più armi personali e quelle prese nelle caserme o ai nazifascisti uccisi.
Gli Alleati intanto bombardavano città e paesi senza distinguere facendo 67 mila morti tra i civili; dei340 mila partigiani contro 558 “repubblichini” ne morirono almeno 65 mila. Tutte le principali città furono bombardate da quasi 80 mila tonnellate di esplosivo.
Ci furono da parte di alcune divisioni alleate anche molti casi di stupri e violenze di massa.
La nostra Liberazione fu così distruttiva e divisiva, che ancora oggi un 25% dell’opinione pubblica, elettori di centrodestra, non riconosce il 25 Aprile come una Festa nazionale e si spertica farisaicamente nel chiedere “la pacificazione e riconoscere come patrioti anche i ragazzi di Salò”.
Quella cui stiamo assistendo è però una “guerra per procura”, come saggiamente l’ha definita Papa Francesco, che solo uno sforzo gigantesco diplomatico, un rifiuto all’incremento delle armi, potrebbe bloccare.
I nostri padri fondatori della Costituzione hanno scolpito nella Carta come Principio Fondamentale (articolo 11) il “ripudio della guerra” come metodo per risolvere le controversie tra stati. E certo la maggioranza di loro erano consci di averne vissute addirittura 2 di Mondiali.
Una cosa quindi è la lotta armata di Resistenza, se aggrediti nel proprio territorio; un’altra è accorrere in aiuto con militari, carri armati, aerei e sofisticati sistemi d’arma a paesi terzi invasi. Contro le guerre, insomma, bisogna operare con mezzi diplomatici, trattative, aiuti umanitari, far intervenire prontamente le istituzioni internazionali come ONU, OSCE, UE. Creare Forze di interdizione tra i belligeranti.
Per i nostri Padri costituenti la Pace era e doveva essere considerata un bene supremo.
Non strumentalizziamo quindi il 25 Aprile per alimentare uno scontro mediatico e sociale tra “putiniani e antiputiniani”: una misera contrapposizione che in futuro creerà anche forti divisioni culturali ed ideali.
E si cerchi di emarginare dai cortei qia di quanti contestano la presenza della brigata ebraica e confondono l’eroismo di quei partigiani, ex-deportati nei lager nazisti, con la repressione dello Stato di Israele nei confronti dei Palestinesi.
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