BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

“Della tragedia Moby Prince” e “Dell’esecuzione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin”

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Il testo è inserito nel libro di Vincenzo Varagona “I segreti del Moby Prince. A 30 anni dalla più grande tragedia” (gennaio 2021)

Due brevi premesse

1. I fatti di cui parleremo si riferiscono ad eventi tragici avvenuti prima dell’esecuzione di Ilaria e Miran: non necessariamente collegati strettamente ma perché avvenuti in un contesto che non doveva avere “elementi di disturbo”.

2. Ogni avvenimento ha un tempo dell’accadimen­to, un tempo del “prima”, un “tempo” del dopo. È necessario connettere questi tre tempi per capire, per raccontare una storia… perché se “E’ difficile sapere che cosa sia la verità è molto facile riconoscere la falsità”(A. Einstein): può aiutare (riconoscere le falsità) per arrivare alla verità.

Il contesto Somalo e il contesto italiano (da fine anni ’70/80) vanno ben tenuti presenti se si vogliono capire le ragioni dell’uccisione crudele di Ilaria e Miran e quelle successive alla loro morte che ne hanno occultato con ogni mezzo le responsabilità italiane e oltre (esecutori e mandanti).

In Italia: tangentopoli e crollo del sistema dei partiti, le stragi di mafia (Falcone e Borsellino 1992, 1993 bombe a Firenze e Roma Milano, 1994 fallito attentato di mafia allo stadio (Report della settimana scorsa svela le connessioni P2 Licio Gelli, mafie criminalità organizzata pezzi di politica per scopi nefasti).

In Somalia la caduta di Siad Barre e la guerra civile che si scatena.

In particolare ci interessano qui alcuni fatti tragici accaduti in Somalia e in Italia che collegano le vicende Somale alle vicende Italiane.

Si sa che la cooperazione italiana in Somalia nel decennio anni 80 ha speso migliaia di miliardi per opere di aiuto allo sviluppo come la stra­da Garoe Bosaso e i sei pescherecci oceanici della società Shifco.

26 settembre 1988 Mauro Rostagno, comunità Sa­man vicino a Trapani, viene assassinato da un com­mando mafioso. Anche di questo delitto non si co­nosce ancora tutta la verità anche se la sentenza del 2018 ha sancito che si è trattato di un delitto di mafia.

Si sa che Rostagno denunciava l’intreccio micidia­le tra mafia, massoneria deviata e politica corrotta, che era stato minacciato; che Tra­pani in quegli anni era punto nevralgico del traffico d’armi con la Somalia ai tempi della cooperazione con Siad Barre.

Che lì è presente Gladio, la struttura segreta dell’intelligence militare, il cui responsabile è il maresciallo Vincenzo Li Causi, del Sismi.

Si sa che spariscono subito una audiocassetta sulla quale avrebbe registrati i nomi di mafiosi e di massoni (fra cui Cardella), e una videocassetta dove avrebbe filmato l’atterraggio di aerei C130 con carichi… “segreti”.

9 luglio 1989 Monsignor Salvatore Colombo, vescovo di Mogadiscio, viene assassinato nella sua cattedrale.

Si sa del suo amore per la popolazione somala e del suo intenso impegno per la pacificazione del paese e per scongiurare la guerra civile.

Il 26 gennaio 1991 Siad Barre è cacciato dalla Somalia.

Si sa che da lì parte la guerra civile che ancora insanguina la Somalia.

10 aprile 1991 In Italia a Livorno è la sera della tragedia del Moby Prince: 140 morti un solo super­stite. Una tragedia ancora senza verità.

Si sa che al porto di Livorno è presente il pesche­reccio “21 Oktobar II”, la nave madre dei sei pesche­recci della Shifco donati dalla cooperazione italiana alla Somalia durante la sanguinaria dittatura di Siad Barre. Un “dono” che ha una storia piuttosto singolare ed allarmante che inizia nel 1979 ( si veda la nota alla fine del testo). Allora, solo “gli addetti ai lavori” co­noscono la 21 Oktobar II, la Shifco, la storia della cooperazione italo somala, della sua contiguità con traffici di armi e di rifiuti tossici.

Ma di certo Ilaria la conosce ancora prima di andare a Mogadiscio la prima volta a dicembre 1992. Nel 1990 la sinistra indipendente inizia la pubblicazione in Parlamento di dossier che svelano la “mala cooperazione” con i paesi in via di sviluppo: avranno come esito l’approvazione della legge istitutiva della commissione bilaterale d’inchiesta con i Paesi in Via di sviluppo (poco prima dello scioglimento delle camere febbraio 1994!). Uno di questi dossier, curato da Ettore Masina, è dedicato per intero alla Somalia (1991): Ilaria lo aveva tra la sua documentazione in ufficio a Saxa Rubra).

Si legge nella premessa:

“L’analisi degli interventi di Cooperazione Italiana in Somalia che viene sviluppata nei

capitoli 3,4, e 5 conduce ad alcuni drammatici “peccati capitali“.

… La Cooperazione ha subito pesantemente la logica di interessi particolari

espressi in Italia da aziende, lobby e gruppi di pressione, che niente avevano a che fare

con i bisogni reali della Somalia. Questa logica ha remunerato interessi illegittimi in

Somalia e in Italia, ha contribuito gravemente ad accentuare la corruzione ed il distacco

definitivo dell’Amministrazione Somala dai bisogni espressi dal paese.

I peccati capitali principali sono descritti e sono anche quelli di cui Ilaria si occuperà nelle sue sette missioni in Somalia (scoprendo la contiguità di questi “peccati” con traffici illeciti e criminali di armi e di rifiuti tossici, radioattivi anche). Si legge:

…la parte più cospicua è costituita dalla strada Garoe Bosaso (260 miliardi).

Questa strada attraversa per lo più le due regioni di Bari e Sanaag, abitata da 200.000-

300.000 persone sparse su una superficie di 20.000 km2, quasi interamente pastori

nomadi che vivono dell’economica del cammello. Sembra perfino comico chiedersi quale

beneficio possano trovare questi da quel magnifico nastro d’asfalto.

il porto di Bosaso, altro progetto concentrato e assolutamente sproporzionato rispetto ad ogni suo futuribile utilizzazione,

…. Progetto Pesca Oceanica (quello dei pescherecci della Shifco): costo totale di circa 100 miliardi.

Le inchieste della Magistratura, le commissioni d’inchiesta e governative che si sono occupate del caso Alpi hanno accumulato una enorme mole di documentazione che dimostra come la cooperazione fosse in realtà “a rovescio”: non partendo dai bisogni della popolazione, la più povera del pianeta colpita, da malattie carestie guerre. Come si può verificare da quanto dichiarato dalla dottoressa Gemma Gualdi che a Milano se ne occupò per prima su delega di Di Pietro.

“….il valore complessivo dell’affare relativo alla fornitura delle prime tre navi era approssimativamente di 30 miliardi mentre quello riferito alle seconde tre navi ammontava a circa 60 milioni di dollari Usa; in realtà il costo dei materiali e delle tecnologie utilizzate e concretamente fornite non superava .. un terzo della somma effettivamente erogata. Pertanto i due terzi del finanziamento sarebbero serviti per altre esigenze… (dall’audizione della dott.ssa Gemma Gualdi alla Commissione bicamerale d’inchiesta 1995, l’inchiesta era stata avviata all’inizio del 1994 e dopo la morte di Ilaria fu trasferita a Roma)

Queste dichiarazioni (ce ne sono anche altre) e il gioco di scatole cinesi attraverso il quale falliscono società (per approdare alla fine alla Shifco, se ne costituiscono di nuove con un mix tra società costruttrici italiane e di gestione somale o miste italiano/somale) ci fanno intuire che, probabilmente, si sta realizzando in quegli anni un riequilibrio di potere tra aree politiche riferite al PSI di Craxi (c’è una foto che immortala Bettino Craxi e Omar Mugne davanti alla 21 Oktober II) e a quelle riferite ad Andreotti oltre alla constatazione severa che anche a tale scopo viene utilizzata la cooperazione italiana (sono gli anni del FAI di Francesco Forte).

Va ricordato “en passant” che una settimana dopo l’esecuzione in Italia il 27 marzo Silvio Berlusconi vince le elezioni: è la fine della prima Repubblica.

….”Questa sorta di prassi a metà tra il politico e l’economico si basava sostanzialmente sull’invogliare gli imprenditori italiani a fornire delle opere e dei servizi nel Paese somalo… In realtà si trattava spesso di opere e servizi che non servivano assolutamente a nulla ma che comunque di fatto venivano finanziate dal ministero degli Affari esteri italiano… è emerso qualche elemento grave in merito al comportamento degli italiani: “…si mangiavano un 30-40 per cento rispetto al valore complessivo dell’affare”…(è sempre la dott.ssa Gemma Gualdi).

Come è noto l’ultima tappa di Ilaria prima di essere uccisa è stato il porto di Bosaso centro economico e finanziario di tutta la regione del nord est della Somalia che, negli ultimi mesi era stato oggetto di “pirateria” (una storia complessa!). Un peschereccio della Shifco, la Farah Omar proprio in quei giorni era sotto sequestro da parte di “pirati migiurtini”: di questo aveva parlato con il sultano di Bosaso; aveva chiesto di poter salire sulla nave forse vi riuscì incontrando anche il capo della Shifco.

C’è l’intervista al sultano di Bosaso (che ci è giunta molto mutilata!). Ma il sultano è stato audito in estremis dalla commissione d’inchiesta e ha fatto rivelazioni sui traffici di armi e rifiuti coinvolgendo la Shifco e raccontando che Ilaria arrivò da lui già molto informata e solo per avere “conferma” dei vari traffici.

Si sa che c’è una storia parallela, una trama che potrebbe incrociarsi con quel viaggio a Bosaso di Ilaria e Miran.

Si sa di un messaggio partito proprio il 14 marzo forse dal comando carabinieri SIOS di La Spezia diretto a un Maggiore in servizio a Balad (il SIOS è il servizio segreto della marina sciolto nel 1997): “Causa presenze anomale in zona Bos/Lasko (Bosaso Las Korey, nda) ordinasi Jupiter rientro immediato base I Mog”… “Ordinasi spostamento tattico Condor zona operativa Bravo possibile intervento”.

Tali presenze anomale a Bosaso potrebbero rife­rirsi a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

Jupiter potrebbe essere Giuseppe Cammisa, il braccio destro di Francesco Cardella, guru della comunità Saman (e amico di Craxi), morto il 7 ago­sto 2011 a Managua, dove si era rifugiato da diversi anni per sfuggire alla giustizia italiana.

Che stava accadendo in quella città il giorno dell’ar­rivo di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin? E chi è Condor?

Si sa d’altra parte che l’intelligence italiana ha mentito sostenendo di non avere nulla a che fare con la città di Bosaso.

Si sa che Cammisa era in quella zona, che l’a­ereo, partito da Gibuti il 16 marzo e che arriva a Bosaso (con a bordo il personale di Africa 70 e for­se anche Cammisa) è lo stesso che avrebbe dovuto riportare a Mogadiscio Ilaria e Miran.

Si sa che i due giornalisti “persero” quell’aereo perché qualcuno ha voluto che lo perdessero (è partito prima dell’orario).

Si sa infatti che in una nota di Alfredo Tedesco, agente del Sismi, del 21 marzo 1994 si legge che Ilaria Alpi era stata minacciata di morte a Bosaso nei giorni precedenti il suo assassinio;

Si sa che in una ufficiale lettera della Farnesina (22 marzo 1994) si legge che Ilaria è stata “trattenu­ta” a Bosaso, se pur per breve tempo, da esponenti di clan locali.

Dunque la sera della tragedia del Moby Prince la 21 Oktobar II stava nelle acque del porto di Livorno. Siamo nel 1991, tre anni prima dell’esecuzione di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin. Tangentopoli scoppierà un anno dopo, così come le stragi di mafia. E’ evidente che solo “gli addetti ai lavori” conoscono la 21 Oktobar II la Shifco, la storia della cooperazione italo somala, della sua contiguità con traffici di armi e di rifiuti tossici di cui abbiamo oggi ampia documentazione che riguarda anche l’insieme dei sei pescherecci donati dall’Italia alla Somalia sui quali Ilaria stava indagando. E dunque anche chi indaga sulla strage di 140 persone (bruciate vive) non se ne occupa, non dà rilievo alla presenza di questo peschereccio in porto: grave “omissione” per autorità istituzionali.

E’ solo dopo la duplice esecuzione di Mogadiscio che si potrà vedere come inquietante la presenza della 21 OktobarII (che risulta a Livorno fin dal 29 marzo 1991 con la presenza del suo capo Omar Mugne).

Ufficialmente la 21 October II si trova lì per riparazioni (dovrebbe quindi trovarsi a secco in officina) eppure – la notte della strage – chiede di essere rifornita di carburante e si mette in navigazione. Tornerà al porto di Livorno il giorno dopo. (C’è una testimonianza che certifica gli avvenuti spostamenti).

C’è anche un’altra particolarità: sembra che il capo della SHifco Omar Mugne (in realtà diventa Presidente della Shifco-Malit proprio qualche mese dopo la tragedia del Moby: 6 settembre) lasci Livorno per recarsi a Reggio Emilia qualche giorno prima della tragedia del Moby mentre il suo braccio destro F. Mancinelli rimane a Livorno. E’ il SISMI a segnalarlo: … “l’ambasciatore somalo Yussuf Ali Osman, l’addetto militare somalo Mohamed Hassan Hussein e tale Mugne Omar hanno soggiornato presso l’albergo Astoria, di Reggio Emilia, nei giorni 6 e 7 aprile, con partenza il giorno 8 aprile… Per il momento non si è avuta notizia dell’incontro dei somali con il Giovannini (un nome che si ritrova spesso per traffici ndr). Il sospetto è che Mugne, l’addetto militare e l’ex ambasciatore siano impegnati nell’organizzazione di un traffico d’armi…”

12 novembre 1993 (Ilaria ha lasciato la Soma­lia il 24 ottobre: è la sua sesta volta) a Balad viene ucciso in un agguato il maresciallo del SISMI Vin­cenzo Li Causi in circostanze misteriose.

Si sa che non c’è una sola versione dell’accaduto, che si parla di “fuoco amico” e che anche per lui non si farà autopsia ma che gli verrà assegnata la medaglia d’oro al valore.

Si sa che Li Causi (si conoscevano con Ilaria) doveva rientrare a Trapani un paio di giorni dopo per testimoniare al processo su Gladio, (la strut­tura “segreta” dell’intelligence militare di cui era responsabile)

1 ottobre 1993 Giancarlo Marocchino viene ar­restato da Unosom, la forza militare internaziona­le di pace, con l’accusa di traffico di armi e altre at­tività illecite e gravi; su intercessione italiana viene liberato, espulso dalla Somalia, portato in Italia e fatto rientrare a Mogadiscio a fine gennaio 1994.

Si sa che era anche accusato di complicità coi fatti del 2 luglio 1993 perché l’abitazione di Marocchino sarebbe stata utilizzata come base di tiro e punto di riarmo contro le forze italiane (nell’evento, noto come combattimento del check point pasta, vengo­no uccisi 3 soldati italiani e feriti 22; almeno 67 so­mali vengono uccisi, oltre 100 feriti). Il comando militare aveva sequestrato nel marzo precedente materiale bellico compresa una parte rilevante di miccia detonante proprio come quella delle tracce rinvenute sulla Moby Prince .

Si sa che la Procura della Repubblica di Roma, PM dott. Pietro Saviotti, fascicolo N. 15148/93 R apre un’indagine su Giancarlo Marocchino e sulle accuse nei suoi confronti.

Si sa anche (dallo stesso fascicolo) che il 22.12.1993, l’ambasciatore Mario Scialoia fa pressioni sul quar­tier generale di Unosom 2 perché Marocchino sia autorizzato a rientrare in Somalia;

Si sa che Scialoja comunica a Unosom l’avvenu­ta archiviazione da parte della Magistratura italia­na delle accuse a carico di Marocchino. Ma è falso perché

Si sa che il 18.1.1994 per UNOSOM il generale Howe firma la revoca del provvedimento di espul­sione mentre Marocchino è già a Nairobi. E rientre­rà a Mogadiscio a fine gennaio 1994.

Si sa che in realtà il PM farà richiesta di archi­viazione solo in data 14/4/1994 (subito dopo il du­plice omicidio di Mogadiscio) ed il GIP pronuncerà il relativo decreto addirittura il 17/7/95!)

L’11 marzo 1994 Ilaria, da poco rientrata dalla ex Yugoslavia dove ha lavorato con Miran Hrovatin, parte insieme a lui da Pisa per la Somalia.

Si sa che il 12 mattina (sabato) arrivano a Moga­discio. Domenica 13 sono a Merca e il 14 mattina a Johar per affiggere una targa in memoria di Cristina Luinetti uccisa il 9 dicembre 1993: si parla di “fuo­co amico”. Rientrano a Mogadisco prima degli altri perché partono subito, per Bosaso.

14 marzo 1994 sera Ilaria e Miran sono già a Bo­saso; vi restano anche il 15 fino al pomeriggio; in­tervisteranno il capitano del porto e il sultano di Bosaso Ali Mussa Bogor. Poi raggiungeranno Gar­do, a metà della famigerata strada Garoe Bosaso dove hanno programmato di rientrare per partire nella tarda mattinata del 16 marzo per Mogadiscio.

Si sa che Bosaso è un porto importante che negli ultimi mesi è stato oggetto di “pirateria”. Un peschereccio della Shifco, la Farah Omar, proprio in quei giorni è sotto sequestro da parte di “pira­ti migiurtini”: di questo Ilaria aveva parlato con il sultano di Bosaso; aveva chiesto di poter salire sul­la nave forse vi riuscì e forse incontrò anche il capo della Shifco Omar Mugne.

Anche nella morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin

Ritroviamo attivati tutti i meccanismi, operati con successo per il Moby Prince, quei meccanismi che non permettono di giungere alla verità che confermano quanto è avvenuto in questi anni dolenti: depistaggi occultamenti, carte false, testimoni e/o persone informate dei fatti che hanno mentito …: il tutto spesso confezionato direttamente e/o con la complicità di parti e strutture dello Stato.

“Menti raffinatissime” sono state e sono in azione fin dai primi giorni dopo l’uccisione premeditata: l’omissione di soccorso, la sparizione del certificato di morte, dei blok notes e di alcune cassette video, la non effettuazione dell’autopsia, la violazione dei sigilli dei bagagli, la costruzione “persistente” della tesi della casualità (tentativo di sequestro finito male, il proiettile vagante …)…….

Testimoni non ascoltati, fascicoli spariti, riscontro esterno dei corpi e le foto scattate sulla nave “Garibaldi” scomparsi, il body anatomy sketching report redatto dall’agenzia mortuaria USA Brown-Root di Huston scomparso, registri di bordo delle navi e degli elicotteri incompleti, informative delle diverse intelligence trasmesse e mai arrivate e/o occultate, contraffatte…….

Si sa che Hashi Omar Hassan è stato condannato in via definitiva a 26 anni di carcere per concorso in duplice omicidio nel 2002 ma che la sentenza di Perugia dove si svolge il nuovo processo (12 gennaio 2017) si conclude con due punti importanti: Hashi è innocente; è stato il classico capro espiatorio (come conclude anche la sentenza del processo di primo grado 1999) e dunque viene rimesso in libertà dopo 17 anni di carcere; il teste principale d’accusa Ahmed Alì Rage detto Jelle ha dichiarato il falso, “coinvolto in un’attività di depistaggio di ampia portata…” , non solo relativo a questa vicenda. Si sa per esempio che l’occultamento del certificato di morte di Ilaria può essere stato alla base di un’attività di depistaggio partita fin dai primi giorni e forse ancora in atto (come trapela nella stessa sentenza e nell’opposizione alla nuova richiesta di archiviazione presentata “come risposta” alla sentenza di Perugia).

il dottor Andrea Fanelli ha respinto la terza richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Roma. E’ importante che le organizzazioni dei giornalisti (Usigrai,Fnsi,Cnodg) siano state riconosciute come parte offesa e quindi che la loro opposizione all’archiviazione sia stata ammessa riconoscendo che “…Ilaria Alpi (giornalista della Rai) ha trovato la morte, unitamente al cineoperatore Miran Hrovatin, nell’esercizio e a causa della sua professione …” (come emerge dall’ordinanza del 4.10.2019).

Una storia dunque tragica che ancora non è finita. Il prossimo 20 marzo sarà il terzo senza Luciana e l’undicesimo anche senza Giorgio: la mamma e il papà di Ilaria Alpi assassinata 27 anni fa in una domenica di primavera a Mogadiscio insieme a Miran Hrovatin.

Il corso della giustizia è stato compromesso, gli assassini e chi li copre hanno potuto contare sul fatto che le tracce si possono dissolvere, che alcuni reperti sono scomparsi o non sono più utilizzabili, che molti testimoni sono morti in circostanze misteriose, che anche pezzi di Stato hanno lavorato all’accreditamento ufficiale di una falsa versione manipolando fatti reali.

Ilaria Alpi, nella sua indagine (si reca in Somalia sette volte in 15 mesi e, prima dell’ultima si reca nella ex Yugoslavia) si imbatte in una rete di traffici illegali internazionali di armi e di rifiuti tossici che interessano oltre alla Somalia altri paesi come la Slovenia e la Croazia (durante la guerra 1991/1995): la società Shifco è uno dei protagonisti come indicato da un’inchiesta dell’ONU e da una notevole mole di documenti dell’intelligence italiana e non solo.

Per quanto riguarda i rifiuti ci sono molti documenti che riferiscono di progetti dal titolo esplicito “Urano1 e Urano2” con le firme dei protagonisti Scaglione Garelli e Giancarlo Marocchino (come si sa chiacchierato imprenditore a Mogadiscio, il primo a recarsi sul luogo dell’agguato, o forse era già lì; e che continuerà e continua ad avere un ruolo chiave e ambiguo in tutte le vicende); progetti in cui è sempre coinvolta la società Shifco.

C’è uno scoop dell’Espresso il 2 giugno 2005 “Parla Francesco Fonti un pentito di ‘Ndrangheta: così lo Stato pagava la ‘ndrangheta per smaltire i rifiuti tossici”. In seguito importanti documenti vengono alla luce grazie alle commissioni antimafia ed ecomafie.

Anche per il Moby Prince, un innocente traghetto passeggeri la storia è piena di omissioni, bugie, depistaggi… vediamone alcuni:

L’Agip Abruzzo stava in una zona “divieto di ancoraggio” e proveniva da Genova e non dall’Egitto: perché si è mentito sulla posizione accertata solo dopo l’inchiesta della commissione?

Che cosa stava facendo là? Sembrerebbe che dovesse trasferire del carburante e in ogni caso bisognerebbe sapere con precisione di che tipo di carburante si trattava (inerte o infiammabile?)

Improvvisamente il Moby cambia rotta: Perché?

Non si è indagato sulle cause che sono probabilmente legate alla tragedia.

Ci può essere stato uno scoppio, un incendio e quali le cause? Non si è indagato e si sono lasciati disperdere i reperti che potevano dare certezze.

Il ritrovamento, ad esempio di tracce di esplosivo militare conosciuto e anche di miccia detonante che si ritroverà in molte altre stragi (si veda 1994 l’anno che cambiò l’Italia). Si vedano in particolare le parole del Procuratore capo di Firenze Pier Luigi Vigna che, in audizione della Commissione bicamerale n. 29 antimafia (presieduta da Tiziana Parenti 1995) ebbe a dichiarare che “…circa un anno prima della strage di Capaci (mi riferisco proprio ad aprile 1991) abbiamo avuto passaggi (si riferisce alla Toscana e a Livorno ndr) molto consistenti di esplosivi e congegni, per accensione di esplosivi, diretti a Catania“ (si riferisce a organizzazioni imperniate sui clan mafiosi dei catanesi).

Non è vero che tutti i 140 passeggeri del Moby sono morti nel giro di mezz’ora stante la violenza dell’incendio. Si può prefigurare un “mancato soccorso” (come è accaduto anche per Ilaria Alpi) se si tiene conto che la collisione con L’Agip Abruzzo è avvenuta alle 22,25 e che i primi soccorsi arrivano solo tra le 2 e le 5 del mattino dopo. Nelle conversazioni dall’Agip Abruzzo dicono di non sapere chi li ha investiti e richiamano i soccorsi sulla petroliera, esclusivamente.

Non c’era la nebbia e non si è trattato di un errore umano o di una distrazione del comandante del traghetto. C’è stato invece grande quantità di fumo sviluppatosi parecchio dopo la collisione e l’incendio che viene descritto come onde gigantesche che si alzano dal mare. La nebbia è spesso un classico che si ritrova, insieme alle nuvole, anche nel caso di Ilaria e Miran e la ricerca delle riprese del satellite USA di quel giorno.

Sul Moby c’è stata una coordinata organizzazione per mettere le persone in salvo: una parte dell’equipaggio (si legge nella relazione della commissione) è stato eroico nel tentativo di mettere in salvo i passeggeri in attesa dei soccorsi (non pervenuti. Ciò è provato dal fatto che una parte dei cadaveri indossava i giubbotti di salvataggio a conferma che forse fu un’esplosione sul traghetto prima della collisione a provocare il disastro. E, come per Ilaria, non si dispose autopsia per accertare la cause della morte di tutte le persone.

E infine Perché una imbarcazione della Shifco ricoverata in banchina per lunghi interventi di riparazione effettuerebbe un pieno di carburante? E dove farà carburante?

Quali sono le manovre portuali che deve eventualmente effettuare?

E perché non vi sono tracce registrate dei suoi movimenti? Eppure la nave non è piccola.

La notte del rogo del Moby Prince è ormai certo che, nel Porto di Livorno, è in corso una movimentazione di materiale bellico.

E’ quanto si legge anche nella relazione della commissione d’inchiesta (2017/2018). La vicinanza con la base USA Camp Darby in piena crisi del golfo potrebbe essere la ragione “della presenza di almeno 5 navi militarizzate USA quella sera …” E ce ne sarebbero almeno altre due: la 21 October II, e una nave “fantasma”, Teresa” (da messaggi intercettati e mai rintracciata; si è pure pensato che fosse “in codice” la 21 October! )

Dove venivano caricate queste armi, questo materiale bellico e di che tipo era?

Potrebbe esserne stata coinvolta la “21 Oktobar II”?

L’ultimo processo della sezione penale della Corte di Appello di Firenze si è chiuso a febbraio del 1998 senza dare risposte, forse senza cercarle con impegno. Alla fine del 2020 è stata respinta, per intervenuta prescrizione, l’istanza dei famigliari delle vittime per il riconoscimento delle responsabilità per il mancato soccorso (causa della morte di 140 persone) come sostenuto nella relazione finale della Commissione d’inchiesta che il Tribunale civile di Firenze ha considerato puramente un documento politico: fatto gravissimo trattandosi di una Commissione d’inchiesta Istituzionale (con i poteri e i limiti della magistratura). Dunque c’è ancora molto lavoro da fare.

Nota un breve riepilogo dell’ambiguo percorso che dalla Sec (la società italiana costruttrice dei pescherecci) porta alla Shifco.

Nel 1979 il ministero degli Esteri attiva il progetto Cooperazione con la Somalia (“Sviluppo Pesca Industriale”), sulla base della legge Ossola che prevede crediti di aiuto a tassi agevolati, e fa in modo che i primi 3 pecherecci destinati al governo somalo siano costruiti dalla Sec (due navi da pesca, più una nave frigorifero). Prima di Renzo Pozzo, presidente della Sec è stato il parlamentare del Psi Giovanni Pieraccini, già ministro della Marina mercantile (1973-74), ministro dei Lavori Pubblici e del Bilancio (1963-68).

Nel 1986, dopo che il “credito d’aiuto” è divenuto “dono”, il Fai rifinanzia il progetto, che prevede la riparazione delle navi (inutilizzate e quindi “arrugginite”), e la costruzione di ulteriori 3 navi (1986-87). Dunque, la Sec costruisce tutti e 6 i pescherecci, che divengono proprietà della Shifco. La gestione delle 6 navi viene affidata alla società Somitfish (Shifco + Cooperpesca dei fratelli Mancinelli), gestita dal noto Omar Mugne.

Nel 1985-86 la Cooperpesca ha comprato azioni della Shifco pagandole 350 mila dollari.

13 febbraio 1988. Renzo Pozzo (Sec) via fax suggerisce all’ing. Mugne di chiedere la restituzione delle azioni della Cooperpesca (azioni comprate in cambio di 350.000 dollari quando i tre pescherecci si trasformano in “dono” al governo somalo: l’Italia li “dona” alla Somalia, che a sua volta li “gira” in parte alla Cooperpesca di Mancinelli). Il suggerimento di Pozzo a Mugne è di dimostrare che la gestione della Somitfish è fallimentare, quindi di azzerare il valore delle azioni in modo da non restituire i 350.000 dollari; e di ridiventare, come Shifco, titolare dei pescherecci.

Aprile 1988. Pozzo acquista a zero lire (attraverso la consociata Joning Fishing) la quota azionaria del 35% della Somitfish per conto e interesse del governo somalo. La Somitfish viene messa in liquidazione, Mugne diventa responsabile del “Progetto pesca” e, su mandato dell’ente somalo corrispondente al Fai, ritira i

certificati azionari che Pozzo aveva acquistato a zero lire.

8 gennaio 1990. Viene costituita la Shifco Malit (Shifco-Mugne, e Paolo Malavasi, figlio di Ennio, della Giza).

Ottobre 1990. Il godimento delle navi passa dalla Shifco alla Shifco Malit. Dopo pochi mesi la Shifco Malit registra un deficit di circa 2 miliardi e il Malavasi vende le azioni alla Sec (quella di Pozzo) recuperando parte delle perdite.

12 giugno 1991. Mugne, per conto della Shifco Malit, conferisce alla Sec la gestione dei pescherecci, stabilendo un compenso del 5 per cento dei ricavi.

6 settembre 1991. Mugne diventa presidente della Shifco Malit.

28 febbraio 1993. Mugne e Pozzo stipulano insieme una revoca di mandato della gestione dei pescherecci alla Sec.

8 giugno 1993. Esce di scena la Sec, e la Shifco Malit viene messa in liquidazione; ritorna tutto alla Shifco di Mugne. Entra l’azienda di Panati nella gestione delle navi, anticipando i soldi necessari a ripianare le perdite della Shifco Malit, che la Sec però si è impegnata a restituire tramite Pozzo.

Il 30 giugno 1993 (dopo che la Sec è uscita di scena) Ali Mahdi, autoproclamatosi presidente della Somalia, richiede all’Italia, tramite l’ambasciata a Mogadiscio, il benestare per consegnare alla Sec la gestione “tecnica e amministrativa” della flotta di pesca oceanica e di trasporto frigorifero, proprietà dello Stato somalo; poi revoca il potere di gestione a Mugne.

Nell’agosto 1993, al comandante della nave da carico della Shifco perviene un fax dal comandante di Unosom 2 che dispone di bloccare lo sbarco in attesa che un funzionario controlli il carico, perché Unosom 2 si sarebbe sostituita allo Stato somalo nella gestione di tutti i beni, e quindi anche delle navi. In conseguenza di ciò si doveva stipulare un contratto Pia-Unosom In realtà, tutto rimane alla Shifco, anzi a Mugne , che se ne va da Mogadiscio portandosi via i pescherecci

 


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