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Antonio Tabucchi, un costruttore di democrazia

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Fra le molte opere degne di essere menzionate, il vero capolavoro di Antonio Tabucchi è, a mio giudizio, “Sostiene Pereira”. Nella storia di quell’anziano giornalista, ormai disilluso e privo di smalto, che si aggira nella Lisbona del ’38, quella di Salazar, fra burocrazia asfissiante, controllo disumano e privazione di libertà e diritti, in quella vicenda tragica del Novecento europeo è racchiusa tutta la sua arte. Perché Tabucchi amava il Portogallo, e in particolare Lisbona, proprio come l’Italia. Ne amava i ritmi, la malinconia, la nostalgia, lo strazio; ne amava la lentezza e la fragilità, il passato imbarazzante e il presente colmo di incognite. Tabucchi era un intellettuale universale, destinato all’eternità, con un linguaggio profondo e graffiante, uno che si schierava sempre, non rinunciava a combattere e a dire la sua, uno che non si arrendeva, meno che mai alla dittatura della banalità e dei luoghi comuni.

Antonio Tabucchi ha affrescato storie significative, è stato un autore gigantesco ma non ha mai aspirato a piacere a tutti; anzi, era un personaggio volutamente divisivo, per nulla incline al compromesso, pronto a fare a combattere ogni regime e a contrastare ogni deriva antidemocratica. Anche per questo non gli piaceva affatto la piega che aveva preso l’Italia negli ultimi tempi, un paese di cui vedeva e denunciava la decadenza, la corruzione morale e l’arretratezza, mettendo sotto accusa non solo il declino dell’opinione pubblica ma anche, più che mai, gli attacchi continui alla libertà d’espressione, il conformismo dilagante, la pusillanimità dei tanti, troppi intellettuali che rinunciavano a prender parte e preferivano la comodità dell’acquiescenza al potere.

Al pari di Dario Fo, benché diversissimo, Tabucchi era un uomo contro. Non amava quasi nulla del potere, al punto che Monteiro Rossi, il ragazzo che viene assassinato in Pereira, è forse il personaggio che ha descritto meglio. Si rivedeva in quel giovane, nella sua esuberanza, nel suo amore per la vita, nella sua follia e anche nel suo trasporto emotivo, lo stesso con cui aveva rianimato l’anziano giornalista ormai in disarmo e destinato, senza quell’incontro, a inaridirsi definitivamente. E nella vicinanza inattesa fra quella vita in sboccio, colma di meraviglia e condannata per questo a morte da un regime feroce, e quell’agonia esistenziale all’insegna del rimpianto, in quell’incontro destinato a cambiare entrambi per sempre era racchiuso un messaggio destinato ad andare oltre il tempo, a superare la barriera dei decenni e a giungere fino a noi. Pereira è, infatti, l’emblema dell’Occidente senza più speranza, quest’Occidente privo di spirito critico, guerrafondaio e miserabile, incapace di fare i conti con se stesso e di accettare alcuna critica, pronto persino a mettere in carcere un giornalista coraggioso come Julian Assange e a puntare il dito contro chiunque osi criticare i suoi presunti e inesistenti “valori”. Monteiro Rossi, al contrario, era la voce della coscienza, l’irriverenza che entra in scena e si fa battaglia politica, la scossa di cui avremmo bisogno e che Tabucchi ha auspicato fino all’ultimo giorno di vita. Del resto, per un amante di Pessoa e della grande letteratura lusitana il disimpegno era inconcepibile. Nella scrittura sfavillante di Tabucchi c’era uno spirito europeo, un desiderio fondere culture, di unire, di aggregare. Non conosceva la rinuncia, non si tirava indietro. Difendeva i suoi principî e si scagliava contro tutti i ciarlatani. Anche per questo il suo viaggio su questa Terra, purtroppo relativamente breve, è stato intenso e straordinario. Non concepiva, difatti, che potesse esistere un giorno senza passione civile, non accettava il disincanto, lui che aveva conosciuto molteplici delusioni e vissuto il restringersi degli spazi democratici con il dolore tipico di chi non riconosce più il mondo ma non per questo rinuncia a comprenderne le evoluzioni.

Possedeva la curiosità degli esploratori e la gentilezza dei lottatori autentici. Ha apprezzato la sincerità più di ogni altra virtù e non ha mai rinunciato a dare una mano ai giovani scrittori affinché potessero emergere e far sentire la propria voce.

Ci ha detto addio dieci anni fa, a soli sessantotto anni, lasciando in noi innumerevoli rimpianti per tutte le parole che avremmo voluto ancora leggere. Ascoltiamo le note del fado in attesa che qualcosa accada.


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