Il sentimento di doppia appartenenza sta diventando un dilemma per molte famiglie ucraine che, pur amando il loro paese, hanno legami di parentela, amicizia e culturali con la nazione che li ha invasi
“Tutti pensano che la Rus’ sia nata a Kiev. Invece è nata qui, a Yuzhnoukrainsk”. Dalla roccia del Pivdennyi Bug, Nazar mi indica una mulattiera acciottolata quasi interamente coperta dalla neve: “È lungo quel sentiero che, secondo la Saga degli Ynglingar di Snorri Sturluson, gli dèi norreni si recavano ad Asgard, la città dove dimoravano”. Nazar è uno studente di filosofia all’Università Taras Shevchenko di Kiev, ma dopo lo scoppio della guerra è stato arruolato nell’esercito ucraino. E così oggi è sulla Pivdennyi Bug con un fucile automatico, imbacuccato in una mimetica pronto a opporsi all’offensiva russa. Innamorato dell’Islanda, pensava di trasferirsi dopo la laurea e per questo aveva iniziato a studiare la lingua. E come un vero islandese, Nazar continua a ripetere: “Thetta reddast”, “tutto si aggiusterà”. Come molti suoi compatrioti è convinto che l’Ucraina resterà libera e riuscirà a respingere l’invasore.
“Poco lontano”, mi dice, “c’è una piccola lapide ricorda i 54.600 ebrei uccisi dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Mio nonno ha combattuto nell’Armata Rossa e ha sconfitto Hitler. Io combatto per sconfiggere Putin”.
Mentre rientriamo in città incontriamo diversi sfollati che arrivano da Mykolaiv che mostrano a Nazar i cellulari zeppi di fotografie di colonne russe. Alcuni di loro hanno inviato foto e video su un canale Telegram appositamente creato dalle Forze armate ucraine dove vengono raccolti i dati di movimenti e armamenti delle truppe nemiche.
Nella vicina centrale nucleare Evgeni ricorda invece i suoi anni nell’università cinese di Tsinghua, a Pechino, dove ha ottenuto un dottorato in fisica nucleare. “Ero il solo ucraino, ma non mi sono mai sentito solo: avevo amici russi, che continuo a sentire ancora oggi. Parlavamo russo, mangiavamo in ristoranti russi, sentivamo musica russa e ucraina. La mia stessa moglie è russofona e i miei figli parlano sia russo che ucraino. Nessuno di noi riesce a metabolizzare quello che sta accadendo; nessuno in famiglia riesce a scegliere chiaramente da che parte stare. Ci sentiamo ucraini e al tempo stesso russi”.
Questo sentimento di doppia appartenenza sta diventando un dilemma per molte famiglie ucraine che, pur amando il loro Paese, hanno legami di parentela, amicizia e culturali con la nazione che li ha invasi. La scelta tra una o l’altra cultura che viene loro richiesta dalle circostanze, è colma di sofferenza. “Non si può chiedere ad una persona che appartiene a due mondi culturali diversi di scegliere in quale mondo stare: significa lacerare il suo stesso essere, la sua essenza” mi spiega Evgeni.
Fedora, una pensionata che ho incontrato nel bunker antinucleare, ha il figlio e la nuora che lavorano da anni in Russia. I tre nipoti frequentano scuole russe, non sono mai stati discriminati per la loro nazionalità e Fedora stessa ricorda con piacere le numerose visite che ha compiuto a Nizhny Novgorod. Sono circa tre milioni gli ucraini che oggi vivono nella Federazione russa e molte famiglie qui in Ucraina hanno qualche parente nel Paese di Putin.
Dovunque si vada, in qualunque campo si operi, il legame tra Ucraina e Russia è evidente. Anche nell’industria nucleare. La centrale di South Ukraine, di cui Yuzhnoukrainsk è la città satellite, è forse l’esempio più lampante. Il reattore numero 3, oggi temporaneamente disconnesso dalla rete per permettere il ricambio di combustibile, nel 2005 è stato il primo reattore al mondo di fabbricazione russa ad essere alimentato con combustibile nucleare assemblato da una compagnia straniera (la Westinghouse). Ci sono voluti anni di ricerche per riuscire ad adattare il disegno delle barre alle caratteristiche dei reattori VVER, che usano generatori di vapore orizzontali anziché verticali, come accade in quelli PWR.
Oggi sei dei quindici reattori nucleari ucraini lavorano con combustibile assemblato a Vasteras, in Svezia. Una mossa che non ha fatto piacere sia a quella parte di politici ucraini propensi a continuare a rifornirsi da Mosca, sia a Mosca stessa, la quale rischia di perdere anche clienti occidentali, come la Finlandia, che ha una centrale (quella di Loviisa) con due reattori VVER e un’altra (Hanhikivi) in costruzione con il 34% di partecipazione della Rosatom, l’agenzia nucleare russa (i lavori sono attualmente stati sospesi a causa delle sanzioni imposte dall’Unione Europea).
Per evitare che la sicurezza dei siti nucleari ucraini sia messa in pericolo, volontariamente o involontariamente, dalla guerra in corso, il ministro dell’Energia ucraino, German Galishchenko, ha chiesto che all’interno degli impianti nucleari ucraini siano ospitati ispettori dell’OSCE e dell’IAEA e tutti i contingenti militari siano allontanati per un raggio di trenta chilometri.
Foto: Almos Bechtold – Unsplash