“La legge di stabilità diventerà come la vecchia finanziaria di una volta. Una carovana contro la quale partiti, fazioni, gruppi di pressione e lobby lanceranno un ultimo, disperato e ovviamente efficace assalto prima della fine del governo Monti…almeno di questo primo, forse non unico, governo del professore”. Lo diceva un parlamentare, a metà tra la baldanza e lo sconforto, nei pressi di Palazzo Chigi. Ma l’ipotesi non è peregrina, anzi. Col fuggi fuggi a cui assisteremo in queste giornate di fine legislatura i provvedimenti che necessariamente andranno approvati potranno trasformarsi in calderoni salva-tutto o sfascia-tutto, come da tipica prassi politica premontiana. Un esempio è quello dell’emendamento presentato al Senato dai relatori (Pd e Pdl) del ddl Stabilità che propone di utilizzare i fondi destinati alla formazione verso la cassa integrazione in deroga, nel tentativo di colmare le risorse mancanti per garantire gli ammortizzatori sociali per il 2013 (si veda D. Colombo a pag. 10 de Il Sole 24 ore dell’11 dicembre 2012). Un atto ragionieristico che non fa una piega sulla carta e tra i numeri ma che di fatto tira una riga sulle belle, per quanto scarne, prospettive di sviluppo dei singoli lavoratori e dei loro skills tanto richiesti dal mercato del lavoro. L’emendamento, già avversato da Confindustria e Cgil, dimostra però una pericolosità e un limite prospettico che vanno al di là del merito e che, proprio per questo motivo, devono far riflettere più di quanto già si faccia sulle reali condizioni in cui versa e verserà il Paese.
La storia economica ed occupazionale, non tanto quella nostrana quanto europea e internazionale, ha dimostrato ampiamente che la formazione, ovvero investire sulle risorse umane e sulle loro capacità lavorative, nonché sul benessere personale e professionale di cui possono godere, sono la chiave di volta da un lato per una crescita in termini produttivi, dall’altro per un miglioramento complessivo del rapporto domanda/offerta di lavoro. In una congiuntura di crisi economico-finanziaria e occupazionale come quella attuale, investimenti in senso formativo sono come manna dal cielo. Affossare la formazione detraendo fondi, peraltro non sufficienti a colmare i buchi degli ammortizzatori sociali come in questo caso, dimostra una certa miopia e, peggio ancora, l’assenza di un approccio prospettico o comunque subalterno alla logica del primum vivere, che rischia di intaccare non soltanto la formazione in sé ma l’idea stessa sulla quale si fonda il nuovo modo di concepire il mercato del lavoro e i lavoratori.
Si involve, di fatto, questa concezione facendo retrocedere l’individualità professionale ad almeno dieci o quindi anni fa e facendo perdere alle nuove generazioni un punto fermo, o che sembrava tale, per la crescita e l’arricchimento di competenze soprattutto nelle fasi di disoccupazione. Si svuota così il termine, tanto abusato, di ‘risorsa’ che viene accorpato a quello di ‘umana’ bollando, di fatto, ogni singolo individuo a rappresentare non più una reale risorsa per le imprese e in generale per il mercato del lavoro, ma semplicemente uno dei tanti tasselli di un mercato occupazionale sempre più sbilanciato e sempre meno attraente sul fronte dell’offerta. Tasselli sostanzialmente immobili nella loro scala formativa, che potranno salire solo attraverso investimenti personali e con sempre più difficoltà. Quindi, nel breve periodo, si salvano gli ammortizzatori sociali – necessari e fondamentali, ovviamente, pescando qua e là le risorse necessarie – per mettere però in discussione la crescita delle capacità professionali proprio di quanti sono e resteranno senza lavoro, ipotecando così anche le probabilità di soddisfare le richieste del mercato e di trovare una nuova occupazione. Sul piano delle pensioni ci hanno abituati ad una logica di contrapposizione tra vecchie e nuove generazioni, sul mercato del lavoro ci vogliono abituare ad una guerra tra chi rischia di non vedersi confermata la cassa integrazione e chi rischia di non acquisire nuove competenze e capacità per trovare lavoro. A questo punto viene da chiedersi: ma se la coperta è corta per un letto matrimoniale, si pensa che valga davvero la pena venderlo per comprarne uno singolo, illudendosi in questo modo di avere una coperta finalmente più ampia?