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Da Kiew le parole di Claudio Locatelli freelance italiano

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La morte di Brent Renaud il giornalista freelance americano ha lasciato tutti sgomenti. In Ucraina si continua a combattere, e i giornalisti sono diventati uno dei primi obiettivi di questa guerra.
A tal proposito in esclusiva per Articolo21 abbiamo ho sentito e rivolto alcune domande al collega Claudio Locatelli freelance che in questo momento si trova a Kiew e segue lo svolgersi della guerra sin dall’inizio.
La prima domanda che rivolgo è ‘Cosa significa essere un freelance in guerra?’
“Partirei da Brent – dice Locatelli – era indipendente aveva lavorato in passato col NYT ma era autonomo e realizzava il suo impegno giornalistico. Lui è un esempio di come i giornalisti indipendenti mettono a disposizione la loro vita per cercare di riportare e di documentare quello che avviene.
I freelance non hanno assicurazioni, costano molto meno, non hanno le garanzie tipiche di una redazione, sono quelli che rischiano di più perchè tentano di arrivare dove gli altri non arrivano; sono quelli che più si ‘immergono’ nel conflitto seppur con le dovute precauzioni. Diciamo anche che nel contesto italiano sono quelli più fruttati.
È quasi impossibile essere indipendenti e arrivare degnamente a fine mese se non perchè in questo lavoro ci si crede e si pensa sia una missione in qualche modo.
Personalmente non l’ho mai visto come un lavoro ma come un impegno, il giornalismo è uno strumento per intervenire sul mondo in cui viviamo”.
Chiedo ancora ‘ma esiste la paura in questi momenti?’
“La paura è qualcosa che non possiamo permetterci, non è solo un discorso teorico ma è molto pratico. Non saremmo in grado di riportare, di indicare e di analizzare la situazione e non saremmo nemmeno in grado se avessimo paura di scegliere cosa fare davanti a un frangente a rischio.
È chiaro che percepiamo le difficoltà e prestare attenzione e guardare a tutto ciò che è attorno a noi con un grado apprensione ma la paura non può esserci. Non così non in questo modo.
Pensando al collega freelance ucciso la prima sensazione che ho avvertito è stata quella di rabbia. Rabbia perchè in queste settimane di conflitto molti colleghi noi compresi siamo stati attaccati sui social da profili falsi o da troll mandati da chi vuole disturbare l’informazione e da chi vuole fare disinformazione e propaganda. Attaccati e accusati in quanto avremmo raccontato una guerra non vera. Noi tutti invece cerchiamo sempre di raccontare la verità, senza filtra, cercando di far percepire il più possibile a chi ci segue, proprio quello che noi vediamo.
Alcune notizie erano false e abbiamo personalemnete verificato alcuni fatti che erano state date per certe, sia da parte ucraina che russa.
Un giornalista – dice Locatelli – non può essere neutrale.
C’è un aggressore e c’è un aggredito e ciò va raccontato. Ma il punto di vista deve essere imparziale. Non si può raccontare una menzogna per sostenere la verità.
La rabbia di cui parlo – prosegue – è anche perchè molte persone pensano ancora si stia trattando d un gioco, abbindolate dalla propaganga.
La morte di Brend nella sua tragedia mostra che non è affatto un gioco. La nostra vita, quella di tutti diventa utile e anche quando la perdiamo permette di comprendere la realtà di quello che sta accadendo. Sono sicuro che anche il collega scomparso avrebbe detto le stesse cose.
Fa davvero tanta rabbia pensare che si debba arrivare alle cronache attraverso la morte di un giornalista per far capire che non si tratta di un gioco. L’atrocità di aver colpito un operatore dell’informazione intento a fare il suo lavoro, a documentare dal centro della realtà.
Qualcuno ha anche detto ‘beh del resto era il suo lavoro era un rischio che correva’
Ma quanti davvero hanno messo a disposizione la loro vita per fare qualcosa a servizio degli altri mettendo se stessi al secondo posto? Pochi.
Onore e affetto dunque a questo collega perchè se sappiamo qualcosa in piùdi questa guerra è anche grazie a persone come Brend.
Chi usa i social in Europa, in particolare le nuove generazioni e non hanno mai vissuto una guerra, e quello che sanno delle guerre è quello che hanno visto nei film. Non sanno che in una guerra anche pochi metri di differenza tra una strada e l’altra possono fare la differenza.
Qua ci troviamo davanti a quella che viene chiamata la dissonanza cognitiva. Non riescono a far combaciare che una persona può camminare su una strada normalmente pur essendo all’interno della guerra stessa.
Alcuni sui social, hanno visto delle immagini di civili senza elemetto o protezioni sul corpo quindi automaticamente, mentre noi riprendiamo e siamo con le nostre protezioni il nostro racconto diventa non vero. Secondo loro noi stiamo ingannando l’opinione pubblica. Ecco questa è una dissonanza cognitiva”.
Cosa prevedi nel prossimo futuro?
“Prima sfatiamo dei miti. Kiew non è circondata – dice Locatelli – ma i carrarmati russi sono a 25 km nel lato nord ovest. Noi abbiamo controllato tutti i lati. A Sud ci sono bombardamenti mirati. Con perdite spesso anche di civili”.
Mentre Locatelli sta parlando al telefono con la sottoscritta, si sente l’allarme delle sirene antiaeree, il suono diventa più forte Claudio apre la finestra per farmi sentire ancora più ‘nitido’ il suono di quella che, come la definisce lui è la ‘quotidianeità’ del popolo ucraino.
“C’è gente che va a far la spesa altri nemmeno corrono più. Gira pochissima gente perchè gli altri sono già tutti nascosti nei rifugi.
Questi giorni conclude Locatelli sono determinanti, anche se i russi rallentano. Ma questo fa parte della loro strategia. Secondo la propaganda il piano russo sta fallendo. Non è così. Questo è ancora un Blitzkrieg una ‘guerra lampo’.
Ricordiamo che Hitler ci mise un mese per conquistare la Polonia e quella venne definita una guerra lampo. Iniziò il 1 settembre con la resa di Varsavia il 29 settembre e dell’intera nazione il 1 ottobre.
Qua siamo solo alla terza settimana, e i russi sono perfettamente in grado di fare una guerra lampo chiudendo Kiew. La prossima mossa sarà la caduta di Mariupol’ e Mycolaiv. Lì i russi non puntano a conquistare la città ma a tenere occupati gli ucraini in modo da poter avanzare verso Nord raggiungendo la centrale nucleare sud.
Probabilmente è il fronte est di Kiew quello che verrà chiuso, forse facendo saltare uno dei due ponti della città.
L’assedio è imminente, se le carte in tavola non cambieranno, e se non si riuscirà ad arrivare ad un negoziato. La strategia russa è così, colpiscono, spingono e poi cercheranno di tornare a un negoziato.
L’obiettivo di Putin non è conquistare Kiew ma di portare il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky a una contrattazione a favore di Mosca ovviamente.
Spingereranno ancora, e ancora per poi dopo tre giorni portare Zelesky al tavolo delle trattative. Vedremo quello che accadrà.”


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