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La vendita de L’Espresso è una ferita

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La vendita de L’Espresso è una ferita, di Vincenzo Vita. La vicenda de L’Espresso è inquietante. La vendita annunciata da parte della proprietà di Gedi ad un gruppo (Bfc media), che non ha particolari esperienze nell’editoria se non di informazione finanziaria, è un brutto segno. Il direttore Marco Damilano si è già dimesso e il comitato di redazione ha annunciato uno stato di agitazione. La casa madre, di proprietà di Exor capitanata da John Elkann, aveva da tempo anticipato simile orientamento. Tuttavia, non sembrava possibile. Una decisione scellerata quella della cessione, come denunciato dal direttore dimissionario in una efficace lettera in cui ha motivato la scelta di chiudere l’esperienza. E in un testo davvero appassionato si ripercorrono le tappe di un periodico fondamentale nella storia dei media italiani. Nato nel 1955, L’Espresso ha dato voce alle parti progressiste e moderne dell’Italia. Denunce del malaffare, appoggio esplicito di molte campagne per la tutela dei diritti, inchieste modello sono un patrimonio enorme. Che ora, indipendentemente dalla volontà del nuovo patron Iervolino, rischia di disperdersi. È una storia amara, che ci racconta come sia veloce ormai la parabola discendente dell’editoria. Quando vengono meno certezze e strategie dei principali protagonisti (Gedi aveva già dismesso diverse testate locali), l’allarme suona forte. Di fronte ai rischi della transizione digitale, il vecchio mondo si ritrova privo di un vero baricentro. Si difende arretrando. Di qui, la necessità di non sottovalutare ciò che accade. L’Espresso è una componente importante della democrazia italiana, del pluralismo e del rispetto del diritto di cronaca. Bene ha fatto la federazione nazionale della stampa a prendere posizione. Serve, però, una reazione forte, non solo della categoria. Stiamo parlando di una testata-caposcuola , che ha innovato il lavoro giornalistico e contribuito a rendere migliore l’Italia. Più laica, più attenta ai nuovi desideri della cultura di massa. Così ora un brivido ci corre nella schiena.


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