Una «operazione militare speciale». Putin ha definito con una frase asettica, quasi manageriale, l’invasione dell’Ucraina. Non ha parlato di guerra se pure l’ha adombrata (anche con armi nucleari) in caso d’intervento militare dell’Occidente. Anche il gas, il petrolio e il grano sono armi da guerra: i prezzi sono schizzati alle stelle.
I carri armati e i fanti russi hanno sfondato le frontiere ucraine alle 4 di notte di giovedì 24 febbraio. L’esercito russo è dilagato. La resistenza ucraina è valorosa, ha retto l’urto. Aerei, elicotteri e missili hanno bombardato le città. A Kharkiv si è combattuto nelle strade, poi i russi sono stati respinti. Kiev è finita sotto una pioggia di bombe. Sono stati colpiti anche alcuni palazzi. Nel mirino sono subito finiti la capitale e il presidente Volodymyr Zelens’kyj. L’obiettivo l’ha indicato Vladimir Putin con toni da propaganda: «Non si tratta di una occupazione, ma di «smilitarizzare» e (addirittura) di «de-nazificare». In sintesi: il presidente russo vuole abbattere il governo filo Nato e filo Unione Europea di Zelens’kyj, democraticamente eletto dagli ucraini. Ha perfino invitato l’esercito ucraino alla ribellione contro Zelens’kyj.
Come seconda mossa potrebbe arrivare un nuovo governo gradito dal Cremlino. Zelens’kyj ha rincuorato i compatrioti, li ha sollecitati a combattere, ha di nuovo chiesto l’aiuto dei paesi occidentali. Ha scandito: «Sono io l’obiettivo numero uno del nemico».
Domenica 27 febbraio è stata una giornata chiave: ha generato speranze di pace e paura di una possibile guerra atomica. Putin ha considerato «ostili» le sanzioni occidentali, ha perfino messo in allerta le forze militari russe di deterrenza nucleare. Ha minacciato «conseguenze come non se ne sono mai viste nella storia». Nelle stesse ore Zelens’kyj ha detto sì ai negoziati di pace da lui più volte proposti e sempre saltati in precedenza.
Lunedì 28 febbraio le trattative si sono svolte a Gomel in Bielorussia, al confine con l’Ucraina, in un clima difficilissimo. Kiev chiede l’immediato cessate il fuoco e il ritiro delle truppe russe. Putin è intervenuto da lontano nel negoziato parlando al telefono con il presidente francese Macron: un accordo sarà possibile solo su «uno status neutrale» dell’Ucraina e sul «riconoscimento della sovranità russa» sulla Crimea (annessa nel 2014). Le trattative proseguiranno.
Putin vuole fare in fretta. Non teme una reazione militare degli Stati Uniti smentita dallo stesso Joe Biden («Un conflitto in cui soldati russi e americani si sparano si chiama guerra mondiale»). Ma teme le conseguenze delle sanzioni economiche decise dal presidente americano, dall’Europa, Regno Unito, Svizzera, Canada e Giappone. Lo “zar” teme un appannamento della sua popolarità nella popolazione. I segnali ci sono. In molte città della Federazione Russa sono scoppiate le proteste contro l’invasione dell’Ucraina prontamente represse dalla polizia con l’arresto di tanti manifestanti.
La povertà e lo sbriciolamento dello stato sociale, un tempo fiore all’occhiello dell’Unione Sovietica, fanno aumentare lo scontento popolare e il dissenso. Il rublo va a picco, la corsa a ritirare il contante ai bancomat è forsennata. Gli oligarchi rischiano di perdere miliardi di dollari per le sanzioni. Mikahil Fridman è stato il primo imprenditore miliardario a criticare l’invasione. Ha definito «una tragedia» la guerra e ha chiesto la fine del «bagno di sangue». Perfino tra i più stretti collaboratori di Putin sarebbero forti i dubbi sull’invasione dell’Ucraina. Il ministro degli Esteri Sergey Lavrov è un deciso sostenitore delle trattative.
Il presidente russo ha paura del contagio democratico. Ha attaccato spesso la richiesta ucraina di adesione alla Nato perché metterebbe in discussione la sua sicurezza con l’arrivo di armi nucleari sulla porta di casa della superpotenza euroasiatica. Ha parlato poco invece della richiesta di Kiev di adesione alla Ue, alla quale adesso ha aperto la porta Ursula von der Leyen. Anche questa novità la vedrebbe come una temibile minaccia politica. Putin teme che il virus della democrazia possa contagiare la Russia, provocando la sua caduta. Del resto una cosa del genere successe a Kiev una decina di anni fa: una serie di proteste di piazza, un fiume di manifestazioni popolari causarono la caduta del governo filo russo e l’avvento di una piena democrazia.
L’Orso russo fatica a schiacciare la piccola Ucraina. Putin, in una intervista a Oliver Stone, disse qualche anno fa: «Occorre essere flessibili e approfittare delle debolezze degli avversari». Adesso la sua “flessibilità” deve fare i conti sia con i nemici esterni (visibili) sia con quelli interni (visibili e invisibili).