BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Guerrini arcitaliano

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A soli vent’anni, nel 1947, aveva fondato insieme a Piero D’Orazio e Achille Perilli, il Gruppo Forma 1 che si proclamava formalista-marxista e praticava l’astrattismo pittorico in netta contrapposizione al realismo socialista sostenuto dal Partito Comunista e dai suoi campioni della scuola figurativa, primo tra tutti Renato Guttuso, l’indiscusso maestro da abbattere.

Stiamo parlando di Mino (Giacomo) Guerrini, al quale Chiara Grizzaffi e Rocco Moccagatta, docenti dello Iulm di Milano, dedicano ora un libro per i tipi di Mimesis, intitolato: MINO GUERRINI STORIE E OPERE DI UN ARCITALIANO, 350 pagine fluviali, capaci di raccontare insieme al personaggio i decenni più affascinanti del nostro dopoguerra.

Di lui Perilli sosteneva senza mezzi termini, che fosse “un gran talento di pittore” e “disegnava con mano sicura”. Aggiungendo però che “lavorava in modo discontinuo, solo quando vi era necessità o per mangiare o per esporre”.

Un giudizio che sembra racchiudere nelle scarne parole la natura stessa del personaggio, perfetto rappresentante dell’intellettuale irrisolto, come viene magistralmente impersonato da Marcello Mastroianni ne La dolce vita, il film scandalo di quegli anni.

Disciolto nel ’52 il Gruppo Forma 1, che pure aveva riscosso largo successo in tutta Europa, Guerrini abbandona la pittura per passare al giornalismo, mestiere che sembra tagliato su misura per lui. Esordisce addirittura nelle pagine del settimanale Il Mondo di Mario Pannunzio, leggendario rotocalco di libertà, cultura e anticonformismo, per transitare poi a L’Espresso nello stesso anno della sua fondazione (ottobre ’55), e quindi a Tempo, diretto da Arturo Tofanelli, di cui aveva sposato la figlia Rossana. Da lì passerà a Successo, spin-off del medesimo editore Palazzi, per approdare infine nell’ultimo periodo di attività a Epoca, grazie all’appoggio di Sergio Zavoli che presto lo recluterà nella sua redazione per la leggendaria inchiesta televisiva La notte della Repubblica.

Mino era anche un cineasta, autore di una quarantina di film tra sceneggiatura e regia, nessuno eccelso, ma quasi tutti ancora presenti nell’immaginario di una intera generazione; quel cinema italiano di serie B, amato con passione da Quentin Tarantino e indagato instancabilmente da Marco Giusti, gran sacerdote dei generi cinematografici.

Guerrini si era destreggiato con disinvoltura tra erotismo spinto e denuncia sociale, tra noir e horror, tra estati al mare e decameroni, hard boiled e viziose ragazze alla pari, musicarelli e nuovi angeli: un titolo geniale, quest’ultimo, che gli era sfuggito di mano perché accaparrato al volo dall’astuto e sornione Ugo Gregoretti.

La trama esistenziale di Guerrini è tumultuosa, ingarbugliata, sorprendente, il libro impiega quasi trecentocinquanta pagine a dipanarla, un filo alla volta, attraverso saggi, contributi, interviste, testimonianze,  e un poderoso florilegio di articoli scritti dal prolifico autore; per il quale Moccagatta non nasconde la sua sfrenata simpatia, così attratto dalla figura irregolare e immaginifica al punto di dedicargli un convegno di studi.

La sezione cinema del volume, assai nutrita, colleziona interventi di attori, registi, produttori, e infine studiosi di rango, uno per tutti Anton Giulio Mancini, che rischiara a luce radente la saga del Colonnello Buttiglione, ispirata all’originale creazione di Mario Marenco, discolo impertinente nella quadra di Arbore e Boncompagni per la trasmissione radiofonica Alto Gradimento.

Ma il ritratto a tutto tondo ce lo regala Chiara Grizzaffi, ricercatrice di grazia, che inquadra il personaggio incastonandolo a misura in quegli anni dorati e ingannevoli della Hollywood sul Tevere, fiorita sul colco di La Dolce Vita; un’epoca marcata a fuoco da Federico Fellini.

Nel libro viene anche ventilato che l’onnivoro regista leggesse con diletto la rubrica Aria di Roma che Mino scriveva settimanalmente sul Mondo, spargendo zolfo senza risparmio sugli scandaletti più ghiotti del sottobosco cinematografico. Niente di più verosimile se, a bocce ferme, nell’81 Guerrini davanti a una telecamera della RAI riferisce infiorettando: “Fellini mi mandò a chiamare per sapere quali camicie indossassi abitualmente, dato che stava girando La dolce vita e Mastroianni doveva portarne di identiche alle mie.” Lasciando così intendere che il protagonista del film fosse modellato anche sulla sua persona.

Attorno alla stagione dei Paparazzi, quel magma incandescente in cui stava lievitando una leggenda, Mino aveva scritto pagine epiche, con referti di cronaca in presa diretta che in pochi conoscono. Nel servizio “Persone & fatti della Dolce Vita”, apparso su Epoca il 23 giugno del 1983, in occasione dei 25 anni del film, si apprende anche l’esatta datazione della nascita del capolavoro, collocata dal fotografo Andrea Nemiz nella notte tra il 14 e il 15 agosto 1958, quando “Tazio Secchiaroli venne preso a botte in tre diverse occasioni dalle celebrità che stava tentando di fotografare”. Seguono gli episodi strepitosi e imperdibili.

Guerrini era stato un entusiasta sostenitore di Fellini fin dal film La strada, al quale aveva riservato  ampio spazio su Il Mondo; e numerose saranno in seguito le interviste pubblicate con il regista riminese, fino all’appassionante conversazione uscita su Epoca al tempo di E la nave va, e infine al servizio scoop per annunciare  La Voce della Luna ancora in fase di preparazione. Ultimo omaggio a Federico e a un’opera che non fece in tempo a vedere, poiché uscì di scena nel gennaio del 1990 ospite nella comunità di Vincenzo Muccioli a San Patrignano.

È in quel periodo, all’inizio degli anni Ottanta, che ci siamo conosciuti con reciproca, immediata simpatia. In seguito alle efferatezze della Banda della Magliana e al degrado in cui la Capitale stava affondando, Fellini vagheggiava l’idea di tradurre quelle vicende oscure e survoltate in un film poliziesco. Avevamo interrogato per giorni e giorni, nello studio di Corso Italia, un ispettore di polizia che ci aveva segnalato Tonino Guerra: Nicola Longo, ribattezzato “il Serpico di Piazza di Spagna”. Alla fine avevo raccolto le sue imprese in un brogliaccio intitolato appunto Poliziotto, e Federico aveva proposto di coinvolgere Mino Guerrini per la sceneggiatura: “Ha bisogno di guadagnare, sta attraversando un momentaccio, e poi vedrai, ti piacerà”.

Incontrai così il personaggio, decisamente délabrè, alquanto malmesso nell’aspetto avendo perduto da poco anche la collaborazione a Epoca e trovandosi oppresso da difficoltà economiche e angoscianti problemi di famiglia. Gran conversatore e tutt’altro che avvilito, Mino si era rivelato un deposito inesauribile di materiale narrativo, al centro di resoconti estrosi, misteri brucianti, informazioni top secret  e azzardi spericolati. Con alle spalle una vita da dissipatore: pittore, cineasta, giornalista di grido, protagonista di notti insonni, gioco d’azzardo, scommesse furibonde sui cavalli. E inoltre frequentatore di donne meravigliose: in un film aveva girato lo striptease integrale di Marina Morgan, la ricordate?, annunciatrice flamboyant della RAI, di cui si mostra nel libro un fotogramma super eloquente. Dunque un partner ideale per la stesura del copione.

Il progetto di Fellini non ebbe seguito, e anche il rapporto con Mino svanì. Ma penso che Guerrini meglio di tanti altri avrebbe potuto fiancheggiare l’impresa di riproporre per lo schermo quella Roma di intrecci tra malavita e corruzione, tra omertà, delitti, segrete connivenze e inimmaginabili coperture, che presto avremmo imparato a conoscere da vicino con inevitabile smarrimento.

A ripensarci, era proprio il ‘mondo di mezzo’ più congeniale alla penna di Mino, esercitata a descrivere il ventre molle dell’Urbe, putrido e infetto; una società condannata a convivere con la propria zona d’ombra, una piovra che si ramificava in ogni apparato della vita civile. Il suo talento affabulatorio avrebbe rimestato nel torbido, incurante del rischio di finire male, tra informatori doppiogiochisti, servizi deviati e giri loschi. Finalmente si sarebbe identificato nel giornalista borderline che Federico si aspettava da lui; incurante di ogni conseguenza, pur di rispondere alle attese dell’amico prezioso, e mostrarsi ai suoi occhi un formidabile segugio alla Sam Spade di Dashiell Hammett.


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