BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Mattarella scialuppa di salvataggio nel naufragio della politica 

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Ha raggiunto il quorum (505 voti) previsti per l’ottava votazione tenutasi nel pomeriggio di sabato 29 gennaio (sesto giorno di seduta congiunta di Senato e Camera) alle 20.19, 36 minuti dall’inizio dello spoglio; il dato plebiscitario (759       voti) alle  20.41. Così Sergio Mattarella è stato confermato Presidente della Repubblica.

Alla fine per le sorti del Paese, la sua economia, la sua tenuta sociale è la soluzione migliore, ma contemporaneamente è la Caporetto della politica. Non sono bastati né il precedente con Napolitano, né l’anno  di coabitazione intorno a Draghi perché i partiti della maggioranza Spectre di governo individuassero una figura in grado di raccogliere non tanto la luminosa eredità valoriale lasciata in dono da Mattarella, quanto una ipotesi di lavoro costruita soprattutto intorno al totale rispetto della Carta Costituzionale, dell’antirazzismo e dell’antifascismo. Nella sola capacità rimasta di guardare al proprio ombelico, i partiti hanno saputo solo privilegiare logiche di appartenenza. Del resto, sempre più chiusi nelle loro stanze o nei salotti televisivi e sempre meno aperti all’esterno, dimostrano di non essere più capaci di intercettare quel mondo di straordinarie energie positive che l’Italia è ancora in grado di esprimere.

Se si ripensa a quel che è accaduto in queste settimane vengono i brividi. Innanzi tutto la riproposizione da parte del centrodestra di una figura screditata e pericolosa come quella di Berlusconi, con la conseguente disperata caccia al voto dei suoi sodali – Sgarbi in testa – per raggiungere gli impossibili 505 sì  sulla sua candidatura. Proposta che si sarebbe dovuta giudicare indecorosa, non ‘divisiva’, come poi è stata definita. Infine, fatti i conti, la patetica rinuncia per ‘spirito di servizio’.

Poi il nome di Draghi, con il rischio che il passaggio da un palazzo all’altro di Supermario avrebbe mandato a carte quarantotto la faticosissima alleanza che regge il governo proprio nella fase più delicata del PNRR, con il tentativo di inventarsi una figura in grado di esercitare lo stesso controllo, chiamiamolo pure ‘moral suasion’, di cui è capace l’attuale Presidente del Consiglio sulle pressioni esercitate dai gruppi dei tanti vari colori che formano la sua maggioranza. Ipotesi Draghi a conferma della rinuncia della politica a favore di un tecnico.

E quale, unico personaggio politico alternativo al ‘tecnico’ viene messo in pista, con la nomea di ‘super partes’? Uno che, al contrario, dovrebbe essere definito ‘intra partes’, visto che nel suo percorso politico ha cambiato almeno sette volte casacca. Un uomo per tutte le parti in commedia, al quale si sarebbe dovuto chiedere preventivamente un atto di coerenza, non su quale delle varie appartenenze, ma sui valori nei quali si riconosce, viste le sue precedenti sconcertanti prese di posizione contraddittorie anche rispetto alla sua stessa vita privata (intervento al ‘family day’ del 2016).

Quindi la cosiddetta ‘opzione donna’, proposta in uno scenario da dilettanti allo sbaraglio, da un Matteo Salvini che freneticamente voleva assumere il ruolo di ‘king/ queen maker’ senza indovinarne una. Sì, perché dopo il fallimento dell’operazione Berlusconi, manda allo sbaraglio (cosciente la vittima?) la seconda carica dello Stato che in un pomeriggio per lei politicamente devastante mette insieme circa settanta voti in meno della coalizione di centrodestra che, sulla carta, avrebbe dovuta sostenerla. Un risultato che, in situazioni diverse, avrebbe anche determinato una richiesta di dimissioni. Forse la stessa Alberti Casellati si era illusa di poter pescare nel bacino elettorale del 2018 nato dall’accordo che aveva portato Roberto Fico alla presidenza della Camera.

Ma neppure quella batosta ha fermato il prode Salvini che dopo aver fatto sbattere la triade Moratti-Nordio-Pera, senza neppure la prova del voto, ha voluto immolare ‘una donna’ sull’altare della sua presunzione, ottenendo anche il sostegno di Conte, ma non quello di Letta. Con Renzi che ha subito sparato a zero sulla Belloni (per poi aggiungere, oggi, un altro carico da 90 paragonando l’eventuale sua elezione con quella di Putin ed Erdogan, entrambi provenienti dai servizi segreti), mentre per la Cartabia e la Severino le luci si sono spente senza mai accendersi.

Infine la intelligente contromossa di Enrico Letta, forse, di Di Maio, che proclamando a nome del centrosinistra la scelta della scheda bianca ha di fatto aperto le porte perché una valanga di voti non richiesti si riversasse su Mattarella: 336 al sesto e 387 al settimo scrutino. A quel punto Salvini, così come Berlusconi, non hanno potuto far altro che prendere atto di quella che Letta ha definito ‘la saggezza’ del Parlamento, abbandonare Giorgia Meloni al suo destino solitario e andare da Mattarella a pregare che restasse.

Il forte, continuo e deciso riferimento ai valori della Democrazia Repubblicana sanciti dalla Costituzione a cui Mattarella ha fatto sempre riferimento nel suo primo settennato, dovrebbero tradursi ora in iniziative concrete, nella società, nelle comunità, verso gli immigrati, contro le violenze sulle donne, contro i morti sul lavoro, contro la criminalità organizzata, a favore dell’istruzione  e della conoscenza. Solo così avrà un senso averlo riproposto al Quirinale. Quale partito avrà finalmente il coraggio e l’onestà di abbandonare i soliti, odiosi giochi di palazzo per riprendere i contatti con il mondo reale per seguire gli appelli di questo generoso e determinato Presidente della Repubblica e tornare finalmente a fare politica? O ci si ridurrà ancora una volta solo ad aggiustamenti funzionali come una nuova legge elettorale o addirittura (convinta proposta Renzi) il presidenzialismo con l’elezione diretta, ‘popolare’, del Capo dello Stato?


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