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La fiera delle illusioni: la favola nera di Guillermo del Toro

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In una terra di mezzo tra realtà e illusione, il pluripremiato regista messicano Guillermo Del Toro, a quattro anni da “La forma dell’Acqua”, torna in sala con “La fiera delle illusioni” trasposizione cinematografica di un romanzo del ’46, una favola morale ambientata nell’America della Grande Depressione che indaga gli abissi della mente umana, costringendo lo spettatore a riflettere sulle proprie debolezze in un circo che diventa allegoria della vita. 

A quattro anni dal Leone d’Oro per “La forma dell’Acqua” e diversi Oscar come miglior film e miglior regista, il cineasta messicano torna in sala dal 27 gennaio con Walt Disney Pictures con un incredibile e affascinante affresco sulla debolezza umana.

“La fiera delle illusioni” trae ispirazione dal romanzo “Nightmare Alley” di William Lindsay Gresham del 1946, un ritratto crudo e dostoieschiano della condizione umana. Un romanzo macabro e avvincente, delirante, tormentato, in cui l’autore trasmette la pervasiva sensazione che l’essere umano viva intrappolato in una condizione (destino) da cui non può fuggire: un incubo, appunto!

Pubblicato in Italia da Sellerio – fu oggetto in quegli anni di una trasposizione cinematografica che aveva visto Tyron Power nei panni del protagonista.

Il film, come il romanzo, racconta la parabola di Stanton Carlisle – interpretato da un Bradley Cooper mai tanto convincente – che, dopo aver bruciato il proprio passato, anche simbolicamente: dando alle fiamme la propria casa, insieme all’odiato, morente, padre, si incammina verso un’altra, possibile, vita, deciso a riscattare la propria miserrima condizione a qualsiasi costo. Fatale sarà, nel suo vagabondare, l’incontro con un circo di provincia itinerante – nell’America della Grande Depressione – che vende illusioni a pochi spiccioli ad altre persone in fuga dalla propria condizione, dove egli troverà un lavoro come garzone.

Straordinari i primi fotogrammi in cui il ras del circo, il cinico e immorale Clem, un Willem Dafoe in grande spolvero, intrattiene i visitatori con uno spettacolo voyeristico: l’uomo bestia, che vive in una gabbia e che si nutre squartando con i denti le galline vive che gli vengono lanciate in pasto, e che colleziona feti malformi in formalina (un museo itinerante dell’orrore). Ma in tanto squallore c’è anche chi, nonostante tutto riesce a rimanere puro, come Molly – Rooney Mara – cui Stan ruberà il cuore.

Per Stan tuttavia, ambizioso ed egoista, il baraccone itinerante rappresenta solo un luogo di passaggio, un inferno sudicio e guasto dal quale distaccarsi ben presto per raggiungere la fama e ricchezza che l’attendono. E’ così che il film vira verso ambientazioni più raffinate: i numeri da circo lasciano spazio al mentalismo e la miseria della fiera di paese al lusso dei locali art-decò popolati dall’alta società newyorkese in cerca di facili illusioni, prigioniera anch’essa della diffusa indifferenza cinica e malvagia del proprio presente. Qui Sten troverà un ‘alleata’ nell’algida e cinica Dottoressa Lilith Ritter, una Cate Blanchett in grande stile, che sembrerà assecondare e favorire la sua attività da imbonitore.

Tuttavia, l’incapacità di Stan di fermarsi, anche quando tutto avrebbe suggerito di farlo, la sua inarrestabile brama di denaro e di successo, faranno virare ben presto la ruota delle meraviglie verso un finale tragico, prevedibile, in cui il protagonista si troverà solo, disarmato, impotente, indifeso, di fronte alle proprie illusioni, intrappolato nel proprio destino.

Un’opera complessa, dunque, non un semplice noir, con un messaggio più metafisico che morale, che ci racconta di una società malata e degradante …un messaggio umano, in definitiva.

Ottimo il cast: oltre ai citati Bradley Cooper, Cate Blanchett e Willem Defoe, ricordiamo Toni Collette, Richard Jenkins, Rooney Mara, Ron Perlman e David Strathairn, così come la fotografia affidata a Dan Laustsen.


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