Olivera Lakić, giornalista investigativa che si occupava di crimine organizzato e di corruzione per il quotidiano Vijesti, era stata ferita da colpi di pistola al di fuori della sua abitazione a Podgorica, l’8 maggio 2018, nello stesso luogo dove sei anni prima era stata aggredita e picchiata.
Secondo gli inquirenti, le ragioni dell’attentato – inizialmente classificato come tentato omicidio e poi derubricato a lesioni gravi – erano da ricercare nell’attività giornalistica della Lakić che per Vijesti pubblica inchieste su bande criminali locali e sui loro legami con la criminalità regionale. Ma benché numerosi sospetti siano stati arrestati all’indomani dell’attacco, più di tre anni e mezzo dopo non c’è ancora nessun imputato ufficiale, e la giornalista resta sotto protezione.
Qualcosa tuttavia si sta muovendo, e il 17 dicembre scorso l’Alta Corte del Montenegro ha condannato a 30 giorni di reclusione Branislav Karadžić e il poliziotto Darko Lalović, sospettati di aver pedinato la giornalista poco prima dell’attentato e di aver fornito informazioni sui suoi spostamenti a una banda di spacciatori. Il poliziotto lavorava nello stesso reparto di polizia incaricato di proteggere la giornalista, per cui se l’accusa fosse dimostrata, l’impatto sulla fiducia pubblica nelle forze dell’ordine sarebbe devastante.
D’altra parte, le indagini sull’attentato proseguono molto lentamente: alcuni sospetti sono stati identificati, ma tutto resta ancora a livello investigativo e non sono state formulate imputazioni. Il caso è coperto dal segreto, per cui nessuna informazione è resa disponibile alla Commissione di monitoraggio delle minacce ai danni di giornalisti. In pratica, non trapela alcuna notizia.
Il consorzio MFRR, che l’anno scorso ha tenuto una missione esplorativaproprio in Montenegro, identifica il caso di Olivera Lakić come emblematico della situazione in Montenegro, dove è a rischio l’indipendenza del sistema giudiziario e dove le promesse del nuovo governo sulla libertà dei media rischiano di affondare in un clima di impunità. Impunito infatti resta l’omicidio di Duško Jovanović, direttore del quotidiano Dan, ucciso nel 2004; e come ha recentemente dichiarato il vicepremier Dritan Abazović, nessun giornalista in Montenegro potrà sentirsi al sicuro finché questo caso resterà irrisolto.
Un passo in avanti è stato compiuto dal parlamento il 29 dicembre scorso con l’approvazione unanime di alcuni emendamenti al codice penale, che prevederebbero tutele maggiori per i giornalisti minacciati. La modifica legislativa è il frutto della collaborazione dei sindacati montenegrini e di organizzazioni della società civile che hanno offerto il loro contributo al ministero della Giustizia. Secondo la nuova normativa, chi sarà condannato per violenza ai danni di giornalisti affronterà pene fino a otto anni di carcere (invece degli attuali cinque), e le pene per omicidio saranno aumentate.
Il consorzio MFRR considera positiva questa riforma, che tuttavia dovrà essere accompagnata da adeguate misure finanziarie che ne permettano l’applicazione.
Da implementare resterebbe anche la nomina di un esperto esterno per il caso dell’omicidio di Duško Jovanović, nomina decisa dalla precedente Commissione per le indagini sugli attacchi ai giornalisti tre anni fa, ma mai realizzata. Secondo gli osservatori internazionali, resta ancora molto da fare per migliorare la situazione della libertà di stampa e le condizioni dei giornalisti indipendenti in Montenegro, tra minacce quotidiane e precarie condizioni lavorative.
Non meno rilevante sarebbe anche la riforma del servizio pubblico, che dovrebbe essere completata cercando di limitare l’invadenza della politica, in modo da aumentare l’indipendenza e la professionalità della radiotelevisione di stato RTCG. La riforma degli aspetti finanziari andrebbe affrontata di concerto con la rappresentanza dei giornalisti e con organizzazioni internazionali.
Tra poche luci e molte ombre, resta inaccettabile la condanna ad un anno di prigione del giornalista investigativo Jovo Martinović, che si è visto respingere il ricorso in appello. Secondo il consorzio MFRR, resta molto da fare in diversi settori, dall’acuta polarizzazione che sarebbe fra le concause della cattiva gestione del servizio pubblico radiotelevisivo, alla lacunosa risposta dello stato ai crimini contro i giornalisti, dalla distribuzione delle inserzioni pubblicitarie pubbliche alla gestione delle interferenze pubbliche e private per il controllo dei media. Eppure, continua il consorzio MFRR nel suo comunicato, che si chiude promettendo di sostenere il lavoro della Commissione e di appoggiare il governo nel realizzare le promesse, nella comunità dei giornalisti permarrebbero tracce di ottimismo.