“La mafia non esiste”, parola di mafioso: “Complici e colpevoli”, il libro di Gratteri e Nicaso sulle infiltrazioni al nord

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“La mafia non esiste. E’ un’invenzione dei giornali del nord”. Così alcuni anni fa un boss calabrese rispose all’inviato di un’importante testata del nord. Come risponderebbe oggi il figlio o il nipote di quel boss al giornalista che lo avesse raggiunto in Valle d’Aosta, (ma lo stesso vale anche in Piemonte, in Liguria, Lombardia, Emilia- Romagna, Veneto o Trentino – Alto Adige)? “La mafia non esiste, nemmeno al nord”. Parola di mafioso.

A contraddire tale affermazione è appena uscito in libreria Complici e colpevoli. (Mondadori, 158 pagine, 18 euro). Ne sono autori Nicola Gratteri e Antonio Nicaso. Il primo è un coraggioso magistrato calabrese che da anni combatte la ‘ndrangheta ora da capo della Procura della Repubblica di Catanzaro; il secondo, storico delle organizzazioni criminali, è uno dei massimi esperti di ndrangheta al mondo. Insieme hanno dato una eloquente risposta all’interrogativo: come il nord d’Italia ha aperto le porte alla ‘ndrangheta, dopo aver superato poco alla volta la “linea della palma” di cui teorizzava Leonardo Sciascia?

Sono sette le regioni del nord d’Italia prese in esame nel libro di Gratteri e Nicaso. Ed in ognuna l’arrivo e il radicamento della mafia venuta dal sud è documentato con rigore: ne risulta un quadro desolante perché nonostante gli sforzi e i successi della magistratura e delle forze dell’ordine nella lotta contro tutte le mafie, appare evidente come il fenomeno ha potuto sorgere e svilupparsi grazie alle connivenze trovate sul posto. In quelle regioni i mafiosi ormai da anni “vogliono farla da padroni – esordiscono gli autori – legittimati da una platea di politici, imprenditori e professionisti che agiscono secondo logiche di convenienza”.

Ogni regione oggi infiltrata dalla ‘ndrangheta ha il suo richiamo. In Valle d’Aosta è stato il casinò di Saint Vincent ad attirare i primi mafiosi, impegnati nel riciclaggio dei soldi sporchi provenienti da estorsioni, sequestri di persona, rapine. Ma questi sono stati solo gli inizi, la metà degli anni Sessanta, quando cominciarono a farsi insistenti le prime voci le prime voci su infiltrazioni della ‘ndrangheta nel capoluogo della valle. E si arriva al 2020 quando un giudice del tribunale di Aosta fa luce sul caso di due ex-presidenti regionali che sarebbero stati eletti col sostegno della ‘ndrangheta.

In Piemonte i primi mafiosi arrivarono mescolati alla grande immigrazione interna dal sud d’Italia, si sono moltiplicati con il boom economico che portò le industrie ad assumere meridionali senza andare troppo nel sottile (anche se poi si rifiutavano di affittargli financo le case di ringhiera). Oggi sono cambiate le strategie: anche in Piemonte la ‘ndrangheta ha bussato alle porte della politica e la sventurata, per dirla col Manzoni, ha risposto.

In Liguria tutto cominciò con il caso Teardo, nel 1983, con l’allora presidente della giunta regionale che venne arrestato con l’accusa di associazione a delinquere di tipo mafioso, un reato che solo da poco era uno degli articoli del codice penale. Poi sono arrivate le famiglie mafiose, in un crescendo che oggi fa della Liguria una delle roccaforti della ‘ndrangheta che “ha progressivamente adottato un prudente ridimensionamento dei comportamenti violenti tipici del suo modus operandi nelle aree d’origine – si legge in una relazione della commissione parlamentare antimafia -al fine di infiltrare in modo silente il territorio. Spara di meno ma è sempre più attenta a mediare, negoziare, dirimere sul territorio, stringere rapporti privilegiati con il mondo imprenditoriale, politico-istituzionale e delle professioni”.

L’Emilia-Romagna è un’altra di quelle regioni che per decenni hanno pensato di essere immuni dalla presenza di mafie. “Abbiamo opposto una dura resistenza al nazismo e al fascismo – dicevano con sicumera certi politici locali – non ci faremo piegare da quattro storti che vengono dalla Calabria”. Non è andata così: oltre al capoluogo anche la provincia è stata infestata dalla ‘ndrangheta. Basti pensare che perfino a Brescello, il paese di Don Camillo e Peppone, si insediò una famiglia mafiosa, i Grande Arachi, e si deve ad un’inchiesta svolta da un gruppo di studenti se finalmente le autorità sono intervenute, sciogliendo il consiglio comunale per mafia. Ma prima i coraggiosi giovani dell’associazione Cortocircuito sono stati accusati dal prete del paese di aver infangato il buon nome di Brescello, danneggiandone l’immagine.

Anche la Lombardia, come le regioni fin qui illustrate, ha sempre pensato di avere gli anticorpi per resistere al virus delle mafie quasi che ‘ndrangheta, mafia e camorra fossero un’infezione che penetra nel corpo sociale al pari della malaria, e diremmo oggi del covid 19, infiltra nell’economia legale per riciclare denaro sporco. Oggi non c’è attività imprenditoriale nella capitale morale d’Italia, come si diceva della “Milano da bere”, cui pose fine lo tsunami di mani pulite, che l’ndrangheta non abbia adocchiato investendo la maggior quantità di denaro di cui dispone, ha monopolizzato interi settori dell’edilizia pubblica e privata, in un’escalation che la crisi economica sta amplificando. Il direttore dello Scico (il reparto investigativo) della Guardia di Finanza non ha dubbi: ”In Lombardia la ‘ndrangheta stringe alleanze inter-mafiose e da quando si è spostata al nord ha assunto una dimensione internazionale”. Concludono gli autori: “La Lombardia è diventata il centro nevralgico degli interessi economici della ‘ndrangheta, il palazzo di vetro dei clan calabresi dove confluiscono strategie e interessi, denaro e potere. Chi non ha messo piede in Lombardia conta di meno nella geopolitica della ‘ndrangheta Ma a comprenderlo sono solo e sempre loro: i figli e i nipoti delle vecchie scoppole storte che dall’analogico sono passati al digitale. Oggi fanno parte va pieno titolo della Google Generation del malaffare. E la politica, purtroppo, sta a guardare”.

Analoghe situazioni in Veneto e in Trentino Alto-Adige, due regioni ad alta vocazione turistica e di rispetto dell’ambiente. E dove la popolazione è per tradizione accogliente e fiduciosa del prossimo. Terreno ideale per i prepotenti della ‘ndrangheta, che hanno trovato spesso anche involontaria collaborazione nel disbrigo delle loro pratiche criminose, dal traffico dei rifiuti alla speculazione edilizia.

Ormai è tardi per rimediare – concludono gli autori – perché sarebbero da cambiare mentalità e comportamenti non solo delle mafie salite dal sud ma anche dei politici, imprenditori e commercianti che nel loro nord si comportano esattamente come i nuovi disonesti arrivati dal sud. Un libro illuminante e insieme sconvolgente, rivelatore di un’Italia che solo poche decine di anni fa non ti immaginavi nemmeno.

Complici e colpevoli.

Come il nord ha aperto le porte alla ‘ndrangheta

Nicola Gratteri, Antonio Nicaso

Editore Mondadori

168 pagine

Prezzo: € 18,00 cartaceo

Ebook 9,99

In vendita dal 16 novembre 2021


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