Se del doman non v’è certezza, in questa pièce teatrale l’incertezza cala ebbra anche sulla serata di ieri, sulla nottata appena trascorsa: la scena, curatissima, si apre su un salotto elegante, piastrelle in bianco e nero e una sgargiante macchia di colore sulla destra, una poltroncina gialla; sul fondo, ma centrale, un letto a baldacchino con le tende tirate, intorno al quale si affaccendano due servitori, uno giovane e irruento, l’altro esperto e molto più in là con gli anni. Appare presto chiaro che il padrone di casa, il borghese Zancopè, ha passato la classica notte di bagordi con degli ex compagni di liceo, tanto da non ricordare nemmeno come mai uno di loro, tal Mistenghi, si trovi ora nel suo letto… Una volta risvegliatosi, nemmeno lui sarà d’aiuto per ricostruire i contenuti della serata precedente, ma si ritrovano entrambi con le mani sporche di carbone e sempre più inquieti per il fatto di non serbare alcun ricordo delle ore precedenti. Da qui gli eventi precipitano in un veloce intreccio di eventi, battute, coincidenze e malintesi ben congegnati, tanto da far credere ai due uomini di essersi addirittura macchiati di un abominevole delitto. Così il pubblico da un lato assiste al crescendo di complicità tra i due uomini, nel tentativo di tenere nascosto alla moglie di Zancopè, Norina, nonché alla società benpensante tutta, l’accaduto e di cancellare goffamente eventuali prove del delitto e testimoni scomodi, a qualsiasi costo; ma dall’altro riceve anche i commenti sottotraccia dei protagonisti, che finiscono velocemente per diffidare l’uno dell’altro fino a concepire l’idea di sbarazzarsi dello scomodo compagno di scorribande. Gli interrogativi sulle ragioni della caduta morale non sembrano turbare i due presunti assassini come la paura di perdere il proprio prestigio o la propria credibilità: l’importante sono le apparenze, ça va sans dire, non la sostanza; non v’è ombra di pentimento o di scrupolo nell’intrigo, ma solo la preoccupazione di mantenere prestigio e rispettabilità esteriore.
La comicità che percorre tutta l’opera non è mai sopra le righe, nemmeno quando sfiora il teatro dell’assurdo; il merito è anzitutto dell’interpretazione di Massimo Dapporto e di Antonello Fassari – attori di lunga percorrenza che tuttavia non avevano mai collaborato prima – che non spingono mai all’eccesso la caratterizzazione del personaggio, anche su indicazione registica, per lasciare al testo la sua vis comica, senza aggiungervi accenti da macchietta. Nemmeno il personaggio interpretato da Antonio Cornacchione, il cugino Potardo, il cui figlio doveva essere battezzato proprio in quel giorno di scoperte sconcertanti, risulta essere, pur nella sua maggior eccentricità, troppo calcato, neppure quando svela ai due uomini di sapere benissimo cosa avessero combinato il giorno prima… Nessuna grevità nel testo di Labiche e quando in scena irrompe il canto è una piacevolissima sorpresa, che porta lo spettatore dalle elucubrazioni intellettuali sulla società e sulla bassa vocazione morale degli uomini al tono scanzonato del cabaret, del musical, del vaudeville di cui Labiche era maestro, alla vivacità della musica dal vivo, con tre strumentisti sotto il palcoscenico. Ed è così che Mistenghi e Zancopè, mentre si sfregano le mani per farle tornare pulite (in uno splendido lavabo d’inizio secolo scorso trasportato mirabilmente in scena), si mettono a cantare e s’invitano a vicenda a ricordare che in fondo la coscienza, pur essendo più difficile a mondare, non si vede da fuori… I due uomini non esiterebbero ad uccidere per mantenere la propria posizione e anzi, credono anche di averlo fatto, e invece Zancopè non aveva davvero spezzato il collo al servitore più giovane, Giustino, che pareva sapere troppo, bensì all’amata gatta della moglie, mostrando ben poca attenzione e rispetto nei confronti di quel collo proletario, che addirittura ha potuto scambiare con quello di un animale!
E il servitore più vecchio, Amedeo? Lui è un’invenzione di Shammah, che ha voluto coinvolgere Andrea Soffiantini nello spettacolo e proprio sulla sua recitazione poetica ha costruito il personaggio in livrea di Amedeo, assente nel testo originale di Labiche.
Si respira tra gli spettatori un’aria ben più lieta di quella che aleggiava al Teatro Parenti poco più di un anno fa, quando una Andrée Ruth Shammah titubante cercava di instillare la fiducia nel pubblico intervenuto alla presentazione della stagione teatrale stroncata sul nascere a causa della terza ondata, che ci costrinse di nuovo a una serrata di tutti i luoghi culturali. Questa volta, alla prima nazionale del 9 dicembre, c’era il pienone delle grandi occasioni; il parterre era infatti al completo, non al 30% che era stato imposto 15 mesi fa. E il pubblico respirava anche per via del ritmo serrato della pièce teatrale, della cura del lessico (anche nei poco comuni vezzeggiativi con cui Zancopè si rivolge ipocritamente alla moglie), della bellezza vivace della scenografia, dell’interpretazione ben dosata e insieme maliziosa, dei passaggi cantati. Un po’ come la KabarettMusik berlinese degli anni ’20 portava l’ironia dopo la batosta della sconfitta nella Grande Guerra, oggi suona straordinariamente consolante e necessario ritrovare a teatro un’allegria vitale, una risposta leggera a tempi davvero molto pesanti, financo la scenografia non banalmente sobria e semmai ricca di particolari ideata da Margherita Palli, un’egregia maestria attorale quasi antica, ma forse anche per questo divertente e rassicurante.
Bentornati a teatro, ci siete mancati – scrive Dapporto nel programma di sala. Anche a noi era mancato tanto il teatro, anche questo, che non vuole essere esasperatamente impegnato né eccessivamente disincarnato o disincantato, ma che non perde nulla in magia, anzi, tutt’altro.
Il delitto di via dell’Orsina (fino al 23 dicembre al Teatro Franco Parenti di Milano)
di EUGÈNE-MARIN LABICHE (traduzione Andrée Ruth Shammah e Giorgio Melazzi)
adattamento e regia ANDRÉE RUTH SHAMMAH
Zancopè – MASSIMO DAPPORTO
Mistenghi – ANTONELLO FASSARI
Norina – SUSANNA MARCOMENI
Potardo – ANTONIO CORNACCHIONE
Amedeo – ANDREA SOFFIANTINI
Giustino – CHRISTIAN PRADELLA
Uomo Sagoma – LUCA CESA-BIANCHI
Musiche: Alessandro Nidi
Scene: Margherita Palli
Costumi: Nicoletta Ceccolini