Ho condiviso con Raffaele Siniscalchi gli anni felici della Rai (1975 – 1981), gli anni nei quali il servizio pubblico assaporò nel suo insieme – per la prima e ultima volta – il gusto dell’indipendenza, spalancò le porte a quello che Habermas chiama “il mondo della vita” e inaugurò una stagione coraggiosa e ricca d’inventiva non solo nei contenuti ma anche nel modo di produrli. Quella stagione di riforma radicale fu il frutto di anni di lotte e mobilitazioni che ebbero come protagonisti dipendenti, dirigenti e giornalisti della Rai, i sindacati confederali, l’Arci e il Movimento Informazione Democratica (MID).
La nostra fraterna amicizia è durata più di quarant’anni ma gli anni trascorsi nel realizzare “Cronaca“, la rubrica di inchieste “realizzate con i protagonisti delle realtà sociali” li abbiamo vissuti in una totale simbiosi a tal punto che mi riesce difficile parlare di Raffaele in terza persona per timore di estraniarlo.
Agli inizi degli anni settanta Raffaele è stato uno dei curatori della prima trasmissione interamente dedicata alla classe operaia: “Turno C”, uno spazio di palinsesto conquistato dai sindacati grazie all’alleanza che si venne a stabilire, a partire dall’autunno caldo, tra i metalmeccanici e i giornalisti della Rai. Alla fine degli anni ottanta ha realizzato in Africa, insieme a Carlo Fido e Ivan Palermo, un’inchiesta poderosa sull’Aids in dodici puntate di un’ora ciascuna che metteva in luce, denunciandoli, i devastanti “effetti collaterali” che la globalizzazione avrebbe prodotto sul pianeta nei decenni successivi. Nella seconda metà degli anni novanta Raffaele ha ideato e curato per diversi anni, con Silvia Calandrelli, la serie televisiva “Il Grillo”, una delle tante versioni della “Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche” che ha portato nelle aule delle scuole italiane (piuttosto che negli asettici studi televisivi) centinaia di filosofi, storici, economisti, scienziati e letterati a confrontarsi con gli studenti su temi di stretta attualità e di alta cultura.
Ma per dare testimonianza del modo di intendere il giornalismo di Raffaele, bisogna ritornare alle cento inchieste della rubrica “Cronaca” nata nel 1974 prima della riforma e bruscamente soppressa da Bernabei alla decima puntata dopo la messa in onda di un’inchiesta, non autorizzata, sulla smilitarizzazione e la sindacalizzazione della Polizia dal titolo “Chi ha paura del sindacato di Polizia?” Raffaele ed io non lavorammo più fino ai primi mesi del ‘76, quando “Cronaca”, grazie alla Riforma, riacquistò finalmente, pieno diritto di cittadinanza, diventando una trasmissione di punta nella Rete2 diretta da Massimo Fichera: manager anticonformista rivoluzionario e finissimo intellettuale. Sostennero a spada tratta il progetto i più autorevoli critici televisivi del tempo: Ivano Cipriani, Felice Laudadio e Giovanni Cesareo, il nostro mentore.
“Cronaca” diventò espressione della straordinaria vivacità della società civile, dei suoi movimenti e delle sue organizzazioni di base: Consigli di fabbrica, Comitati di quartiere, movimenti studenteschi e di emancipazione femminile, detenuti, degenti degli ospedali psichiatrici, disoccupati organizzati, i terremotati dell’Irpinia, gli abitanti di Seveso, gli operai chimici di Castellanza che lottavano contro la monetizzazione della salute.
Questi protagonisti, tradizionalmente “oggetto” dell’inchiesta giornalistica, ne divennero i “soggetti” in quanto furono chiamati a partecipare, insieme all’equipe di “Cronaca”, a tutte le fasi della produzione: dalla ideazione, alla scaletta dei contenuti, dalle riprese, al montaggio. Accanto ai protagonisti delle realtà sociali anche i “tecnici” della Rai furono inglobati nel nuovo modello produttivo. In controtendenza rispetto all’irresistibile taylorizzazione del lavoro, l’operatore, il montatore, il fonico, e il responsabile delle luci – figure professionali già a quel tempo demotivate da un’alienante rotazione quotidiana del posto di lavoro – vennero stabilmente e organicamente aggregati alla redazione giornalistica della rubrica.
Per sottolineare la collegialità del Nucleo-Ideativo-Produttivo (NIP), le trasmissioni non erano firmate, né dai giornalisti, né dai tecnici. Rigorosamente senza sigla né musica, all’inizio del programma, appariva su sfondo nero la scritta: CRONACA e sotto: “Il Gruppo di ideazione e produzione Cronaca insieme con Il Consiglio di Fabbrica dell’Alfa Romeo”, oppure “I contrabbandieri di sigarette a Napoli, i degenti dell’Ospedale Psichiatrico di Arezzo, ecc.: PRESENTANO; e appariva il titolo dell’inchiesta.
Non era una negazione dello stile ma piuttosto uno “stile della negazione” volto a sottolineare la fuoriuscita dal cliché dell’inchiesta d’autore, la rinuncia alla voce fuori campo del giornalista o dello speaker. “Cronaca”, infatti, lavorava sul campo e riprendeva fatti e situazioni nel momento stesso in cui avvenivano per mettere in luce il carattere contraddittorio e dialettico delle dinamiche sociali.
Quella televisione che raccontava la realtà, con le sue vittime e i suoi protagonisti, che dava la voce a chi non l’aveva mai avuta, era l’esatto contrario di quanto accade da un quarto di secolo a oggi dove si pretende che sia la realtà sociale a entrare nello spazio angusto e virtuale degli studi televisivi: circhi mediatici con tanto di domatore in cui la complessità del reale viene ridotta a trite passerelle di opinioni rinfocolate, di tanto in tanto, da schegge di realtà o da altre improvvisate percezioni della realtà (il sondaggio della settimana!). Questa progressiva scomparsa delle realtà sociali in favore della doxa è l’inverarsi, del celebre aforisma di Nietzsche: non esistono fatti ma solo interpretazioni.
Terminato il ciclo virtuoso della riforma, alla metà degli anni ottanta è iniziata un’opera di smantellamento del genere inchiesta in tutte le sue varianti. Il destino di “Cronaca” è stato ancora più infausto perché si è fatto di tutto per cancellarne la memoria: non solo dei contenuti ma soprattutto del modello ideativo-produttivo. Ben presto divenimmo il bersaglio di un micidiale fuoco incrociato: molti colleghi giornalisti ci contestavano il fatto di cedere quote di autonomia professionale ai nostri intervistati; gli autori tradizionali, per quanto progressisti, non potevano accettare il ridimensionamento della loro figura in nome di un “autore collettivo”; i dirigenti e i direttori erano spaventati di dover magari proporre dei tagli negoziandoli con un Consiglio di Fabbrica piuttosto che con il singolo redattore. Per non parlare di quei massmediologi paludati che hanno visto in Cronaca un esperimento talmente scandaloso e fuori misura al punto di cancellarlo e rimuoverlo dai loro “trattati” e dizionari sulla storia della televisione.
Fatto sta che nel clima di normalizzazione instaurato con il “preambolo” e la fine del governo di unità nazionale, nel 1982, per sbarazzarsi di questa incontrollabile rubrica d’inchiesta sociale, i partiti di governo, passarono alle maniere dure provando ad indagarci addirittura come mandanti morali di un omicidio al termine di un’inchiesta realizzata all’interno del carcere di Rebibbia insieme con un gruppo di detenuti che, grazie a una moviola portatile, potettero prendere parte al montaggio. Il giorno della messa in onda, la trasmissione annunciata fu censurata e sequestrata dalla magistratura.
Anche per non darla vinta al conformismo di ieri e di oggi, forse è giunta l’ora di ricostruire questa storia della Rai che è anche un pezzo di storia del nostro paese. Raffaele Siniscalchi ne sarebbe felice!
Il Gruppo d’Ideazione e Produzione “Cronaca” comprendeva giornalisti, programmisti, registi, direttori della fotografia, operatori, montatori, elettricisti e assistenti: tutti dipendenti Rai.
Hanno lavorato a” Cronaca”: Raffaella Agostini, Giovanni Cesareo, Gianni Cini – Piero Dorfles – Claudio Elena – Claudio Gambini – Nico Garrone – Stefano Guglielmotti – Alessandro Macci – Antonio Marcon – Paolo Mercadini – Mirella Mencio – Pietro Morbidelli – Renato Parascandolo – Francesca Pardini – Nanni Riccobono – Lidia Serenari – Marco Maria Sigiani – Francesco Siliato, Raffaele Siniscalchi – Piero Tartagni – Leandro Testa