BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Rapporto Reporter senza Frontiere 2021, 488 giornalisti in carcere. Mai così tanti dal 2016 a oggi

0 0

Si muore di meno, si finisce di più in carcere. Questo in estrema sintesi il dato generale che emerge dal rapporto 2021 sulla situazione della libertà di stampa nel mondo di  Reporter senza Frontiere. Sono 488 i giornalisti reclusi a causa del loro lavoro, rileva il dossier pubblicato oggi e illustrato nel corso di una conferenza stampa a Parigi.  Mai così tanti dal 2016 ad oggi.
Decisamente in controtendenza il numero delle vittime nell’ultimo anno: 46 le uccisioni, il dato più basso degli ultimi 20 anni e attestato sotto i 50 dal 2003.
La flessione, spiega il rapporto, è dovuta “principalmente alla relativa stabilizzazione del Medioriente negli ultimi mesi”.
Nel corso del 2021 gli arresti di operatori dell’informazione sono aumentati progressivamente del 20 percento a causa delle tensioni in Myanmar, Hong Kong e Bielorussia.
Nel suo report annuale Rsf rileva anche che i colleghi sequestrati sono 65 e 2 desaparecidos, sottolineando che “mai” da quando l’associazione ha iniziato a compilare il suo rapporto, nel 1995, si è avuto un numero così alto di giornalisti imprigionati,
La Cina si conferma, per il quinto anno consecutivo, al primo posto con 127 detenuti. In particolare viene evidenziata la situazione ad Hong Kong, un tempo modello di libertà di stampa a livello regionale, che con l’entrata in vigore della controversa legge per la sicurezza nazionale ha visto negli ultimi mesi l’arresto di almeno 10 giornalisti.
Al secondo posto nella ‘lista nera’, il Myanmar, con 53 reporter dietro le sbarre. Gli arresti sono aumentati dopo il golpe dello scorso febbraio con cui i militari hanno ripreso il potere.
Terza la Bielorussia, con 32 giornalisti in carcere seguita da Vietnam, 43, Arabia Saudita, 31.
Tra le giornaliste incarcerate la cinese Zhang Zhan, vincitrice del premio Rsf di quest’anno, e la birmana Ma Zuzar, quest’ultima in isolamento nel carcere di Insein per aver raccontato le manifestazioni contro la giunta golpista.
“In Myanmar sono in tutto nove le giornaliste detenute e in Bielorussia 17, due in più dei colleghi maschi” sottolinea Rsf ponendo in evidenza quanto la percentuale delle donne che operano nei media imprigionate sia sempre più alta.
Nel suo rapporto l’organizzazione ha ricordato anche il caso di Julian Assange, il fondatore di Wikileaks che rischia di essere condannato per spionaggio negli Usa a 175 di carcere una volta estradato dal Regno Unito.
Ma, seppur in flessione, il dato che sconcerta di più resta quello dei giornalisti uccisi, quasi uno a settimana. Il Messico il Paese con il numero maggiore di reporter assassinati, (7), a seguire l’Afghanistan, 6, e l’India e Yemen con 4.
Il report riporta che dei 46 giornalisti assassinati, tra i quali 4 donne “18 sono stati uccisi in zone di conflitto, 16 mentre lavoravano e altri 30 sono stati presi di mira in quanto giornalisti. Tra le donne uccise le tre afghane, Shahnaz Rufi, Saadia Sadat e Mursal Vahidi, uccise in un attacco rivendicato dallo Stato Islamico. L’associazione lancia poi l’allarme sull’uccisione dei giornalisti in Paesi che non sono in guerra, anche in Paesi dell’Unione Europea, come il giornalista televisivo greco Giorgios Karaivaz, che indagava sulla corruzione in seno alla polizia, e il giornalista olandese Peter de Vries, ucciso in un agguato la scorsa estate”.
Come abbiamo più volte chiesto come Articolo 21, a fronte del rischio a cui sono esposti quei colleghi che svolgono un ruolo estremamente importante, sia nella copertura di notizie da realtà altrimenti oscurate sia nella tutela dei diritti umani, sarebbe auspicabile che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite istituisse la figura di un rappresentante speciale per la protezione dei giornalisti.
Il lavoro di quanti garantiscono visibilità a chi denuncia le violazioni a danno delle minoranze o delle fasce deboli e fungono da cassa di risonanza per tutte le voci, anche quelle indigeste ai poteri forti, deve essere tutelato.
Anche quando i giornalisti sono consapevoli di rischiare sulla propria pelle e nonostante questo non si tirano indietro.
Ho avuto la fortuna di conoscere colleghi che di fronte a situazioni di grande criticità e questioni off-limits non si sono arresi. Da loro ho imparato che bisogna avere la forza di denunciare le vessazioni e gli abusi che avvengono in ogni luogo perché lasciare che siano perpetrati impunemente e che rimangano nel silenzio è, come diceva Martin Luther King, una minaccia per la giustizia ovunque.
Alcuni di questi non ci sono più. Colleghi incrociati un paio di volte, come Gilles  Jacquier, fotoreporter di France 2 ucciso due anni fa in Siria. O che conoscevo bene come Tim Hetherington, con il quale condividevo la passione per il Darfur, massacrato da un colpo di mortaio a Misurata, in Libia, il 20 aprile del 2011.

chiesto che l’Onu designi un rappresentante speciale per la protezione dei giornalisti. E a fronte del rischio a cui sono esposti quei colleghi che svolgono un ruolo estremamente importante, sia nella copertura di notizie da realtà altrimenti oscurate sia nella tutela dei diritti umani, sarebbe auspicabile che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite prendesse sul serio tale opzione.
Il lavoro di quanti garantiscono visibilità a chi denuncia le violazioni a danno delle minoranze o delle fasce deboli e fungono da cassa di risonanza per tutte le voci, anche quelle indigeste ai poteri forti, affinché possano essere ascoltate, deve essere tutelato.
Anche quando i giornalisti sono consapevoli di rischiare sulla propria pelle e nonostante questo non si tirano indietro.
Ho avuto la fortuna di conoscere colleghi che di fronte a situazioni di grande criticità e questioni off-limits non si sono arresi. Maestri di giornalismo e di coraggio.
Da loro ho imparato che bisogna avere la forza di denunciare le vessazioni e gli abusi che avvengono in ogni luogo perché lasciare che siano perpetrati impunemente e che rimangano nel silenzio è, come diceva Martin Luther King, una minaccia per la giustizia ovunque.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21