Questo 25 novembre 2021 ci ricorda ancora una volta che una donna su tre subisce nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica, psichica, sessuale.
L’ultimo report della Direzione centrale anticrimine della polizia racconta che ogni giorno 89 donne nel nostro Paese sono vittime di reati di genere e che sono già 109 i femminicidi (con un aumento dell’8% rispetto allo scorso anno, la grande maggioranza compiuta dal marito convivente o ex). Sono in aumento forme di violenza estrema che coinvolgono anche i figli. Oltre il 60% degli stupri è commesso in famiglia: dunque a casa.
La violenza contro le donne viene da lontano dai miti alla storia antica fino ai giorni nostri.
Qualche esempio del secolo scorso partendo dal perché fu scelta questa data. E poi da scritti di Paola Drigo e di Tina Merlin (raccontate recentemente nella rubrica “Dalla parte di lei”).
Siamo nel 1960 è il 25 novembre. C’è una “rivoluzione” in atto nella Repubblica Dominicana contro la dittatura (1930-1961) di Rafael Trusjillo.
Patria, Minerva e Maria Teresa sono tre sorelle attiviste politiche che vengono uccise dopo violenze e torture, stupri. La quarta sorella Adele sopravvive miracolosamente.
Nel 1994 Julia Alvarez pubblica “il tempo delle farfalle” e racconta la loro storia.
Il 17 dicembre 1999 le Nazioni Unite proclamano il 25 novembre giornata internazionale contro la violenza sulle donne: quell’assassinio come emblema della violenza contro le donne e le tre sorelle Mirabal come simbolo della forza delle donne di tutto il mondo.
“… La matrice della violenza contro le donne può essere rintracciata ancor oggi nella disuguaglianza dei rapporti tra uomini e donne…” si legge nella Dichiarazione adottata dall’Assemblea Generale Onu.
Siamo agli inizi del Novecento, racconta Paola Drigo, ma quasi nulla ce lo dice, lo scenario è senza tempo: sono le donne, che d’estate scendono dalla loro montagna …
“La cucina era così piccola che le bastò senza muoversi, tendere il braccio, la mano, per afferrare la scure… Ella l’afferrò e l’alzò quanto più alto poté.
La lama lampeggiò nell’ombra. Mirò al collo, e vibrò il colpo.
Non un grido: solo un fiotto di sangue.”
Così finisce il racconto di stupri e violenze ripetuti per generazioni e compiuti dallo zio sulle nipoti e prima sulla loro madre. Mariute, la protagonista del romanzo, così decide che basta, non potrà farlo più e salva la sorella Rosute
(da Maria Zef di Paola Drigo 1936)
Siamo nel bellunese nel 1953. Tina Merlin affronta anche il tema dei femminicidi e della violenza sulle donne. Lo fa con durezza nei confronti del “mostro” e con uno sguardo tenero, è la pietas, nei confronti della vittima.
“Tra breve il processo al mostro di Busto”, la storia di Silvia che è la storia di quasi tutte le ragazze bellunesi che hanno bisogno di lavorare … che devono … emigrare in qualche grossa città d’Italia. … A casa esse mandano sempre a dire che stanno bene affinché la mamma non sia troppo in pensiero; che già è una pena aver dovuto abbandonare al mondo la sua creatura.
…Un giorno la mamma di Silvia aspettò invano la sua lettera … l’aspettò per mesi e dopo si scoprì che Silvia era morta, di fame o di sfinimento, segregata in una cantina dove il vecchio (il mostro) l’aveva nascosta per i suoi insani scopi …”.
Era il 22 gennaio 1953.
Sappiamo che il nostro paese è luogo di traffico di esseri umani, e che oltre l’80% riguarda donne che giungono in Italia/Europa in cerca di una vita migliore spesso investendo tutti i risparmi della famiglia e che, invece, sono “costrette” a prostituirsi dopo aver subito violenze di ogni tipo: è la tratta, la nuova schiavitù.
Sappiamo che prostituzione e tratta non riguardano donne e uomini in egual misura e che la violenza colpisce di più (oltre il 35%) chi si prostituisce. In Italia la prostituzione riguarda per l’82% donne, (più della metà viene dalla tratta), 15% transgender, 3% uomini; il 37% sono minorenni. Un fenomeno ampio sommerso criminale clandestino che frutta decine di milioni di euro al mese in Europa. (fonte Tampep).
Sappiamo che molte cose sono cambiate nel nostro Paese proprio grazie alle donne: nella società, nelle istituzioni, nella legislazione.
Inizia nei primi anni 60 una legislazione importante. La forza delle donne si esprime in grandi e carsici movimenti femminili e femministi mutati negli anni: hanno esercitato un peso politico importante per la conquista di leggi per i diritti delle donne (lavoro salute istruzione procreazione libera e consapevole, famiglia paritaria…) e anche la loro libertà storicamente limitata, da una cultura patriarcale, iniziando a “…rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini ….impediscono l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica economica e sociale del Paese” (secondo comma dell’art.3 della Costituzione). E’ un percorso lungo se pensiamo ad esempio che solo nel 1971 la pillola anticoncezionale diventa legale anche in Italia, che “il delitto d’onore” è abrogato nel 1981 e che la violenza sessuale è rimasta “un reato contro la moralità pubblica e il buon costume” (codice fascista Rocco) fino al 1996 quando la nuova legislazione la colloca nei reati gravi contro la persona. Ma la violenza contro le donne ancora c’è anche se altre leggi sono state approvate (dal codice rosso al Revenge porn, al delitto di stalking ..) ed è attiva una rete di centri di aiuto alle donne che ne hanno bisogno: vanno sostenuti con regolari e maggiori risorse finanziarie insieme a case protette di accoglienza per le donne violate minacciate insieme ai loro figli.
Sappiamo di vivere tempi difficili, una terribile pandemia ha colpito il mondo intero e, con la paura, ci fa interrogare sul futuro che verrà: che non potrà non dovrà ritornare tutto come prima.
Sappiamo che le grandi crisi sono anche una potente opportunità di cambiamento. Prima della pandemia il mondo si stava già interrogando sulle sfide che aveva di fronte (la sfida demografica, quella ecologica e dei cambiamenti climatici, quella della cultura, della scuola, ricerca e innovazione, quella della pace, della crescita di una cultura di pace). Non si può negare che siamo ad un passaggio epocale in cui noi, le donne, possiamo osare audacia e proporre costruire un cambiamento radicale che sovverta l’ordine alla base di modelli culturali e di organizzazione politica, sociale ed economica, causa delle disuguaglianze che si sono addirittura accentuate, anche di più per le donne che diventano soggetti deboli a causa di queste disuguaglianze.
Le donne, invece, sono soggetti forti: investire su di loro costituisce un vantaggio per lo sviluppo quantitativo e qualitativo del paese e per combattere la violenza che trova alimento ancora in una cultura patriarcale che ha perso ma ancora resiste.
Le donne pensano al lavoro come quello necessario per vivere; che non è solo denaro per il cibo, abiti casa… ma è anche realizzazione, cura, crescita, progetto, invenzione. Le donne vogliono studiare lavorare senza rinunciare alla maternità: è una rivoluzione, significa che la paternità non è più garantita dal destino femminile e che gli uomini devono confrontarsi con la scelta delle donne. La riproduzione non è una questione femminile ma di tutti.
Sappiamo che c’è in questa posizione delle donne (che emerge dai moltissimi studi e da molti anni) il desiderio e l’ambizione di ricongiungere la sfera della produzione (abitata prevalentemente da uomini) con quella della riproduzione (abitata quasi esclusivamente da donne) che la storia e le culture a dominanza maschile hanno separato. Cambiano, devono cambiare i paradigmi dello sviluppo.
Meno della metà delle donne lavora in Italia che ha il tasso di occupazione femminile più basso in Europa dopo la Grecia; il più basso tasso di natalità e il conseguente maggiore invecchiamento della popolazione.
Il vecchio adagio familista: se le donne stanno a casa fanno più figli è smentito clamorosamente.
Il Global Gender Gap Report del World Economic Forum 2020 colloca l’Italia al 77° posto su 153 paesi; se ci riferiamo all’Europa Occidentale, siamo al 17° posto su 20 paesi, davanti solo a Grecia, Malta e Cipro. A guidare la classifica è l’Islanda seguita da Norvegia Finlandia e Svezia. Al quinto posto Nicaragua, Nuova Zelanda, Irlanda, Spagna, Rwanda e Germania.
L’aspetto più critico è la bassa partecipazione economica delle donne che colloca l’Italia al 125° posto! Le ragioni sono note fin da prima della pandemia: la bassa occupazione femminile (un gap di quasi 20 punti rispetto agli uomini) e il cosiddetto gender pay gap. Ma le donne studiano più degli uomini, concludono prima gli studi e con voti migliori!
Donne e uomini hanno un tasso di attività quasi identico se si tratta di single; quando in coppia per le donne scende di oltre dieci punti; per crollare poi alla nascita del primo figlio … E se le donne non lavorano o perdono il lavoro non sono autonome e dunque non sono libere e più difficilmente denunciano le violenze subite dal partner.
Per sconfiggere la violenza contro le donne è dunque necessario un grande impegno di tutti perché non basta la tutela che è necessaria quando la donna è minacciata e violata, non bastano le leggi e la punizione dei violenti.
E’ necessario prevenire ogni forma di violenza
Promuovendo la forza e i talenti femminili in ogni campo: un imperativo categorico per tutti i soggetti istituzionali, politici e sociali, culturali ed economici … agendo anche sui nuovi servizi da attivare per agevolare questo percorso: è il tempo di farlo se si vogliono vincere le sfide che abbiamo davanti
Promuovendo un lavoro culturale esteso di educazione civica e “sentimentale” che archivi l’idea proprietaria, di dominio, di potere che sta alla base della violenza sulle donne. Che rilanci una idea di relazioni anche sessuali tra le persone basate sul rispetto reciproco, sui sentimenti e sull’amore. Fondamentale, oltre alle famiglie e alla scuola, è il mondo dell’informazione che deve impedire che nelle notizie nel raccontare storie si con-fonda la vittima con il violento, come accadeva nei processi per stupro di antica memoria e che ancora accade.
Promuovendo la formazione/specializzazione degli operatori di varie discipline: forze dell’ordine, magistrati e avvocati, medici e insegnanti …; e così anche per gli operatori dell’informazione e della comunicazione.
Tutto questo insieme al superamento delle disuguaglianze come dichiarato dalla Convenzione di Instambul (che considera la violenza contro le donne violazione dei diritti umani) in vigore dal 1 agosto 2014 con le sue quattro P:
Prevenzione Protezione Procedimenti Penali Politiche Integrate.
La Convenzione è stata firmata da 45 Paesi finora. Il 20 marzo 2021 la Turchia ha revocato la propria partecipazione.