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Quando si soffre per dei cordiali nemici

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Fonti di Cologno Monzese smentiscono. Tuttavia, il caso è scoppiato e, al di là della scarsa attenzione generale (è un segno di qualcosa?), è di notevole rilievo. Stiamo parlando del ridimensionamento, se non proprio della chiusura, delle due storiche testate di Mediaset, Tg4 e Studio Aperto.

La voce correva da tempo, almeno da quando furono previsti numerosi trasferimenti a Milano di giornalisti dell’agenzia NewsMediaset (cui afferiscono 195 persone sul totale aziendale di 270), prefigurando il ridimensionamento in corso ora. L’intera meta-testata confluisce in TgCom, struttura residua insieme allo storico Tg5.

Se è vero, a quanto si capisce, che sigle e loghi rimarranno, al di là dell’accidente la sostanza – però- cambia molto.

Intanto, le testate in questione saranno di fatto terminali di un pool unico, alleggerito di 45 professionisti. Insomma, una quota assai significativa su di un complesso non certamente così vasto come la potenza di una delle due facce del vecchio duopolio farebbe supporre. Senza tornare ad abituali (giuste) polemiche, c’è da sottolineare come emerga chiaramente il ruolo assegnato a testate considerate dalla proprietà megafoni più che luoghi autonomi e indipendenti. Senza nulla togliere alla capacità di chi vi lavora.

A fari spenti, con una certa prudenza delle varie parti, si sta consumando una rivoluzione vera e propria dell’ammaccato impero berlusconiano. Pur ammaccato per la perdita di pezzi pregiati nello sport o nell’offerta tematica a pagamento, eppure la casa madre ha decantato le virtù positive del bilancio economico. Come mai, allora, si attua un taglio tanto forte?

Tra l’altro, come è stato giustamente rilevato dalla voce sindacale, il già opinabile rapporto 2 a 1 tra uscite agevolate e nuove assunzioni qui diventa 3 a 1. E i quindici eventualmente entranti che trattamento avranno?

Insomma, continueremo a vedere le testate, ma dobbiamo sapere che è una messa in scena.

Studio aperto nacque come tentativo di dialogare con un pubblico giovane, scarsamente interessato alla politica-politica. Quest’ultima, al contrario, si prendeva la rivincita nell’epopea della retequattro di Emilio Fede, un vero e proprio inno al patron di Arcore senza se e senza ma. Un telegiornale condotto come un cabaret (con rispetto parlando per una spesso squisita forma di arte), un volantino audiovisivo erano la cifra di una stagione. Anzi, la rappresentavano alla perfezione. Sentivi l’editoriale di Fede e capivi dove stava l’Italia dell’età del Cavaliere. Come le prime battute di un motivetto gettonato.

Via via, con una parabola contigua alla decrescita elettorale di Forza Italia, l’informazione di Mediaset si è spenta. Il Tg5 si difende con fatica. Studio Aperto non trova ormai i giovani che da tempo sono passati alla fruizione dei social, il Tg4 ha provato a sopravvivere mediante cospicue iniezioni leghiste e con qualche comparsa proveniente dalla sinistra.

Di fronte ad un problema obiettivo, che va dalla crisi della televisione generalista alla faglia apertasi nel classico nesso tra politica e informazione, si poteva reagire con un ripensamento e un rilancio. Si è preferito, invece, in puro stile padronale, buttare il peso della crisi su chi lavora nelle testate.

Per questo c’è da rammaricarsi e sembra persino ovvio esprimere vicinanza e solidarietà.

La querelle con il Tg4 è stato il cuore di una lunghissima fase del conflitto nel sistema. La rete era eccedente rispetto alla normativa antitrust e doveva liberare le frequenze terrestri spostando le trasmissioni sul satellite. Non accadde, perché ostruzionismi e compromessi colpevoli non vollero. Alla luce degli eventi e a fronte dello spezzettamento delle audience con l’avvento delle offerte digitali, chissà se gli strateghi d’antan staranno ripensando alle barricate dell’epoca, mentre proprio retequattro avrebbe potuto sperimentare nuovi modelli diffusivi.

Osserviamo con amarezza il portato di una crisi lungamente annunciata. Perché un mondo mai davvero regolato ha attraversato sì il periodo delle vacche grasse con gaudio, ma fa i conti con le sue stesse macchinazioni.


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