Andare piano non vuol dire arrivare tardi, un giornalista rigoroso lo sa. Enrico Fierro lo sapeva. La profondità vale più della velocità, ecco perché le sue cronache erano diverse e il Sud come lo ha raccontato lui ha pochi precedenti, molte imitazioni, nessuna sovrapposizione. Enrico se ne è andato ieri lasciando attoniti moltissimi colleghi, giornalisti che lo hanno conosciuto, ci hanno lavorato insieme, ci hanno discusso, hanno ascoltato i suoi consigli e hanno cercato di imitarlo e che ora, semplicemente, lo ringraziano. Ha narrato l’epopea spesso disgraziata e qualche volta felice del pezzo d’Italia che sta oltre il limite meridionale di Roma. Ha descritto molte volte la sua Irpinia, il terremoto, la disperazione, la ricostruzione, gli scandali, la corruzione, le opere incompiute: tutto senza mollare mai quella storia anche nei momenti in cui non era più di moda e tutti gli altri scrivevano di altro. E ha raccontato la Calabria meglio dei calabresi (dicono i colleghi del posto) perché ne era rimasto colpito, ci andava in vacanza, aveva amici, “fratelli”, compagni di viaggio e di sventura, come Mimmo Lucano per esempio, di cui ha descritto l’avventura da pioniere dell’accoglienza e poi il declino, le aggressioni, l’ingiustizia della sentenza di condanna. Sì, tutte cose che abbiamo scritte in tanti eppure le sue cronache erano diverse e ogni volta ti dicevi a bassa voce: “Avrei voluto scriverlo io un pezzo così”. Enrico aveva 69 anni, troppo pochi per andare via da questo Sud che ha ancora tante cose da dire e molte altre per cui farsi ascoltare.
Ad aprile scorso aveva rilasciato un’intervista ad Articolo 21 sul caso dell’inchiesta “Xenia” e sull’operazione politica che celava. La riportiamo di seguito come una “lezione” (tra le tante) di un grande cronista qual è stato Enrico Fierro.
Enrico Fierro e il caso Locri: “E’ stata un brutta operazione politica”
L’odiato Mimmo Lucano e gli odiatissimi giornalisti sono stati l’ossessione compulsiva che ha portato, con buona probabilità alle intercettazioni dell’inchiesta Xenia sul modello di integrazione di Riace e sul clamore che fece negli anni 2016-2017, quando, invece, certa vulgata nazional popolare indicava negli immigrati il più importante rischio per l’ordine pubblico e la sicurezza. Il giorno seguente lo scoop sulla seconda “colata” di intercettazioni quantomeno inutili a carico di 33 giornalisti, l’autore, Enrico Fierro, racconta l’accaduto col tono pacato del cronista che non si spaventa e non si illude e che ha seguito questa storia dall’inizio, nei dettagli, alla maniera di un certo giornalismo vecchio stile, ossia leggendo migliaia di documenti e ascoltando, paziente, ogni udienza per raccogliere ogni briciolo interessante di questa vicenda. Che ha inizio con l’indagine su Mimmo Lucano per poi dipanarsi attorno all’attenzione mediatica per quel sindaco, il quale ha voluto solo dare corpo ad un’idea di accoglienza e integrazione.
“Premetto subito che qui non si tratta di assicurare una disparità di trattamento ai giornalisti né di escluderli dalle intercettazioni nell’ambito di qualsivoglia indagine. Tuttavia ciò che è accaduto è che sono stati ascoltati dialoghi tra giornalisti e Lucano nei quali si parlava di rapporti personali, addirittura di familiari e sono stati trascritti, dunque resi pubblici, numeri di telefono, indirizzi, commenti sulla politica. Io ho fatto con Lucano delle considerazioni politiche, cosa c’entrano con l’inchiesta’”.
Cosa c’entrano?
“Nulla assolutamente. Lo posso dire con certezza e senza pregiudizio. Io mi sono letto le trascrizioni delle udienze e posso affermare che non una sola di quelle intercettazioni trascritte ha apportato alcunché all’accertamento delle contestate responsabilità penali in questa inchiesta né è stata utile eventualmente per altre”
Dunque qual era l’obiettivo? Cosa volevano da Mimmo Lucano?
“Io penso che ciò che è accaduto vada ben al di là di una violazione pur grave della libertà di informare e dell’esercizio della professione. Siamo davanti ad un’operazione politica. Questo è. Sono state utilizzate quelle intercettazioni per un’operazione politica”.
Il processo scaturito dalle indagini sta per arrivare a conclusione. Cosa è stato veramente?
“Io l’ho seguito passo passo e, ripeto, le intercettazioni ai giornalisti non hanno apportato un solo granello di utilità. Poi bisogna dire che questo processo non lo si è potuto seguire in aula. Io ho dovuto aspettare una settimana per leggere le trascrizioni d’aula di ogni udienza e capire. Ma questa è un’altra storia”.
Una storia che riguarda sempre più processi in Italia. Ora abbiamo l’alibi del covid ma in realtà, come ha dimostrato la battaglia per l’accesso al dibattimento di ” Rinascita Scott”, c’è una generale tentazione a sottrarre ai giornalisti la possibilità di seguire anche fasi che la procedura indica espressamente come tappe pubbliche. Per tornare alla vicenda Locri però è utile soffermarsi su un ulteriore passaggio sottolineato da Enrico Fierro. Questo: “E’ difficile credere che chi intercetta e poi trascrive non si renda conto che sta buttando nel calderone elementi ultronei e che, al contempo, sta facendo una violazione grave dei diritti più elementari della giustizia. nel caso dell’indagine della Procura di Locri sono stati resi noti i numeri telefono di persone che, forse, dico forse, non volevano renderli noti. E poi c’è il rispetto per la professione giornalistica. Con quelle intercettazioni è stato conosciuto il contenuto di articoli prima che gli stessi fossero pubblicati. Una roba assurda!”
A chi interessava o interessa in Italia costruire un archivio delle vite private dei giornalisti?
“Non lo so e spero che non si tratti di una schedatura. So invece che 33 giornalisti estranei all’inchiesta si sono trovati con le loro vite dentro al brogliaccio di questa inchiesta. I numeri di telefono di queste persone sono stati resi noti senza il loro consenso e senza alcun nesso con l’inchiesta. Vedo inoltre un evidente attacco ala segretezza delle fonti. anche qui: possibile che chi fa questo non si renda conto della gravità?”