Andrea Pennacchi ha raccontato a “Propaganda Live”, su La7, la storia di suo padre che a diciassette anni, nel 1944, fu deportato in un campo di concentramento in Austria perché faceva parte di un gruppo di partigiani. Parole pronunciate con il sorriso sulle labbra, con lo sguardo furbo e malandrino del “Pojana”. Parole tenere e dure, un monologo mirabile, esemplare, che andrebbe fatto vedere e sentire a scuola. Magari a cominciare dalle scuole di Novara, la città dove alcuni non vax e no green pass hanno sfilato, la scorsa settimana, tristemente camuffati come prigionieri dei lager nazisti. Quei lager dove hanno trovato tragica fine ebrei, ma anche zingari, omosessuali, comunisti, socialisti e oppositori politici.
Pennacchi racconta con amara leggerezza quei luoghi dove il secolo breve ha dato la peggior rappresentazione di un’epoca nella quale si moriva così, mentre chi non moriva sopravviveva tra stenti e privazioni. Paradossalmente con il senso di colpa per non essere morto, a differenza di tanti altri compagni di sventura. E senza nessuna voglia di raccontare l’orrore a cui aveva assistito, a cui era scampato. “Quelli che ne avrebbero dovuto parlare hanno taciuto…”. Appunto.
Andrea Pennacchi, oltre ad aver portato il monologo a “Propaganda Live”, sta portando a teatro lo spettacolo “Mio padre, appunti sulla guerra civile”. Uno spettacolo di cui c’è sempre più bisogno, ha spiegato l’attore padovano: “C’è un lieto fine anche se la storia evidentemente è dura. Però è una storia che in questo momento è meglio ricordare. Certe storie servono a ribadire alcuni concetti fondamentali, come ad esempio il non discriminare. Perché quando si innesca questo meccanismo poi c’è il rischio che arrivi qualcuno che propone qualcosa di ancora più aberrante, come il passato dovrebbe insegnarci. È un attimo passare dal rinchiudere le persone a renderle schiave, per non dire di peggio…”.
Dopo i fatti di Novara, dopo le periodiche rievocazioni di Predappio o dei vari anniversari legati all’obbrobrio del nazifascismo, dopo le minacce sul web e non solo sul web, forse è davvero arrivato il momento di alzare la testa e la voce. E fare i conti con un passato che evidentemente a molti non ha insegnato nulla. Ma intanto… grazie “Pojana”. Grazie di cuore.