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Chi ha paura di Giulio Regeni?

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Perché non ci si mobilita per Giulio Regeni? Perché si minaccia la rivoluzione per quello stupido green pass e nessuno parla più del giovane ricercatore italiano barbaramente ucciso in Egitto? Mentre è ancora in piedi la vicenda drammatica di Patrick Zaki – lo studente egiziano che studiava all’università di Bologna e che è ugualmente finito in carcere al Cairo sotto l’accusa, mai dimostrata di spionaggio, e in attesa di processo marcisce in carcere senza speranza – sull’italiano comincia a stendersi il velo dell’oblio mediatico.

Regeni ultimo atto: al tribunale di Roma, la recente apertura (con subitaneo rinvio che equivale ad un annullamento) del processo agli agenti segreti egiziani accusati di aver rapito, torturato e ucciso il nostro giovane ricercatore sospettato di spionaggio, è l’ennesimo atto di una tragedia che rischia di andare in scena ancora a lungo prima che il sipario possa finalmente calare su un finale di decorosa umanità. Continuando nella metafora teatrale, c’è da dire che fra gli attori della tragedia solo due sono sempre in scena: due genitori affranti dal dolore ma determinati a continuare la loro lotta per la giustizia. Tutti gli altri sono rimasti dietro le quinte: i due governi, il nostro e quello del Cairo, i responsabili materiali del delitto (gli aguzzini egiziani) e il responsabile morale, un’insegnante inglese. E’ ormai accertato  che Giulio Regeni andò al Cairo su esortazione della sua professoressa dell’università di Cambridge che gli aveva commissionato una ricerca sul mondo sindacale egiziano. Il nostro studente partì da Londra con vaghe indicazioni come muoversi e, non sapendo di andare incontro ad una morte orribile, s’impegnò con la solerzia che aveva fatto di lui uno studente modello nella ricerca delle informazioni richieste dalla sua docente. A questo punto, con l’accusa di spionaggio fu arrestato, torturato e ucciso.

Quando il magistrato italiano che ha istruito il processo in contumacia agli accusati del delitto ritenne di dover ascoltare l’insegnante inglese di Regeni per chiarire quale fossero stati i motivi e soprattutto l’impostazione della ricerca commissionata al giovane ricercatore, si vide opporre un fermo rifiuto sia dall’interessata che dagli ambienti dell’università di Cambridge. La ragione era lampante: gli inglesi non hanno voluto essere coinvolti in alcun modo nella tragica vicenda. Non hanno voluto parlare con i nostri magistrati, e tanto meno si sono presentati in aula. Lo stesso hanno fatto gli esecutori materiali del delitto: il nostro tribunale ne conosce nomi e cognomi, li ha convocati a termini di legge, li ha aspettati invano e poi, dovendo ammettere di non v’è la certezza che gli 007 egiziani abbiano ricevuto l’invito a comparire perché il loro governo li ha tenuti ben nascosti, ha dovuto rinviare sine die la prima, e forse ultima, udienza di un processo che probabilmente non si farà mai.

Ma altri assenti illustri hanno contribuito all’avvilente situazione di oggi: quella dei rappresentanti del governo italiano, che del resto i genitori di Giulio Regeni hanno chiamato in causa chiedendo un maggiore impegno, non solo diplomatico, per indurre l’Egitto a denunciare gli assassini e a farli processare. Dopo un iniziale richiamo del nostro ambasciatore dal Cairo, sul caso Regeni il governo italiano non ha dato finora segni di efficace partecipazione, aldilà della formale solidarietà espressa ai genitori della giovane incolpevole vittima. Tant’ è vero che i coniugi Regeni non sapendo più a che santo votarsi hanno ricordato al presidente del consiglio pro tempore che “l’Italia ripudia la guerra…(articolo 11 della Costituzione). e che di conseguenza non deve vendere armi ai Paesi che ne fanno richiesta e uso, come l’Egitto col quale l’Italia ha in corso accordi per la fornitura di navi da guerra. E hanno fatto causa all’Italia. I giornali ne hanno parlato poco, forse perché è un particolare imbarazzante, del resto l’Italia è una grande produttrice ed esportatrice di armi.

Tutto inutile?  Al momento si, tutti contumaci: il presidente egiziano che copre i suoi agenti segreti, l’università inglese che solidarizza con la sua docente (curiosamente di origine araba) e non le chiede conto del tipo di ricerche che aveva commissionato allo sfortunato studente italiano, il nostro ministero degli esteri che non brilla per iniziative. Un cinico proverbio recita: chi  muore giace, chi vive si dà pace. Ma i genitori di Giulio Regeni non si daranno mai pace. Come pure i genitori di  Patrick Zaki che vedono allungarsi sulla sorte del figlio già studente in Italia l’ombra nera del destino egiziano finora toccato a Giulio Regeni.


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