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Siria, la guerra non è finita

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No, la guerra non è finita. Forse è solo che ce ne siamo dimenticati. In Siria quella che sembra una calma apparente è solo il frutto di due anni, almeno, di mancanza di notizie dirette ma non è cambiato poi troppo da quando la pandemia da Covid 19 ha bloccato il mondo intero. Nel Nord del Paese, nella regione del Rojava i curdi continuano a mettere in pratica il loro sogno di una autonomia che di fatto esiste già, nonostante i troppi che proprio non la vogliono. Tra questi c’è di sicuro Erdogan, che dopo aver eretto un muro lunghissimo che divide le città curdo turche da quelle curdo siriane, con i soldi dell’Unione Europea, non dimentichiamolo, continua a bombardare i villaggi e le città del Rojava. Se del dramma di Afrin si sa proprio poco, meno ancora si sa di quanto accade a Serekaniye. Prima gli attacchi con i droni, la Turchia è la prima esportatrice al mondo di questa tecnologia a fini bellici, poi le incursioni con militari, mercenari e miliziani dell’Isis.

Gli uomini in nero sono tutto fuorché scomparsi dallo scenario siriano e anzi, più passa il tempo e più si riorganizzano. Proprio in queste settimane dove abbiamo avuto l’opportunità di visitare questi luoghi e di conoscere le storie dei tanti sfollati, sono stati diversi gli arresti di cosiddette cellule dormienti nella periferia di Hasseke. Chi scrive non solo ha potuto testimoniare direttamente della loro presenza, ma ha anche potuto constatare che, in particolare in quartiere della città, pur se nascosti sono presenti. Le forze di Sdf, le milizie cristiane che li combattono, insieme con i curdi di Ypj e Ypg hanno fermato diversi di loro, per fortuna prima che potessero fare altri danni e uccidere ancora civili innocenti. Come riconoscono in molti qui, Isis non è solo presente fisicamente ma anche nella testa di troppe persone, ancora.

Nonostante questo la vita scorre e si fa di tutto per renderla il più normale possibile, per quanto questo termine possa avere un senso in un contesto del genere. Il Rojava ospita migliaia di cosiddetti sfollati interni in campi che non sono autorizzati dal governo centrale siriano, questo fa sì che nessuna ong possa operare all’interno. Quelli che abbiamo visto noi mancano di tutto ma nonostante questo non ci si arrende. Le tende dove vivono famiglie intere non sono assolutamente adatte per dare rifugio a chi è fuggito. Per questo molti si adoperano a lavorare la sabbia per farne dei mattoni con cui costruire delle abitazioni che siano più accoglienti.

Le famiglie fuggite dalla furia dei militari e dei miliziani che oggi si ritrovano senza nulla, quando potevano stare a casa loro vivevano una vita agiata. Non erano certo poveri, tutt’altro. Quindi abituarsi a un tenore così basso è stato ancora più difficile. Sono 15 mila solo nel campo di Washokani. Qui i curdi sono riusciti a organizzare sia un centro sanitario, con tanto di zona per isolare i positivi al Covid che la scuola per i bambini. Ma di certo questo non basta, anche se con i pochi mezzi disponibili stanno certo facendo miracoli. E nessuno li aiuta. Chiedono a gran voce una mano, anche per potere vaccinare tutte le persone.

Qui nessuno si sogna di avere paura di riceverlo, il vaccino. Anzi, lo chiedono convintamente. «Ne abbiamo reperiti troppo pochi, e li abbiamo immediatamente destinati alle figure più fragili, soprattutto agli anziani», ci spiega una giovane portavoce Ypj. Le combattenti curde, che per un periodo hanno goduto di una buona copertura mediatica combattono ancora oggi, anche se in molti sembra se lo siano dimenticati. «Il regime – quello vero di Assad e non di una ipotetica dittatura sanitaria come dice incautamente qualcuno da noi – vorrebbe impedire che ci arrivino aiuti dall’esterno, ma nonostante questo c’è ancora chi ci supporta. E’ importante che non si spenga l’attenzione su quanto accade qui, anche se non soprattutto a livello internazionale». Insomma c’è bisogno che rimanga accesa la luce su questi territori e sulle popolazione che qui vivono e che hanno ancora bisogno, a maggior ragione oggi, di essere sostenuto. Le guerre è facile cominciarle, chiuderle un po’ meno.


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