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Recuperare la nostra memoria. Appello al più grande poeta siciliano

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Da sempre la Sicilia è apparsa ai suoi abitanti come una colonia e come tale depredata dei suoi beni, per arricchire i dominatori di turno. Solo in un breve periodo medievale esisteva un Regno di Sicilia che godeva del più antico parlamento del mondo e della più antica bandiera, la Trinacria, che sventola ancora oggi. Il culmine dell’influenza nel mondo la Sicilia la ebbe nel ‘200, quando fu sede della reggia di Federico II. In quell’epoca in Sicilia nacque la Lingua italiana che in realtà fu, “in primis”, la Lingua Siciliana. Nacque la “Scuola poetica Siciliana”, anche attingendo da letterati arabi ed ebrei. Purtroppo poche tracce restano di quella prima Lingua Siciliana.

Anche per questo aspetto delle ricchezze siciliane subimmo una depredazione. Difatti, circa un secolo dopo, i copisti toscani riscrissero le poesie della “Scuola Siciliana”, stravolgendo (apposta) i termini ed i vocaboli, aggiornando e snaturando la Lingua Siciliana mutandola in toscano: “un rimaneggiamento dei testi, decolorati alla luce del toscaneggiamento dei copisti, per cui la fisionomia vera restò sconosciuta” (F. Imbornone). Leggendo i versi di Francesco, nella basilica di Assisi, sembra più siciliano lo scrivere del santo, che le poesie “trascritte” di Jacopo da Lentini. Per il semplice motivo che i copisti toscani non poterono grattare gli affreschi Assisani.

Mentre che per i millenni di ruberie passate non possiamo dare rimedio, per il furto delle poesie alla base della cultura Siciliana (e poi italiana) si propone una soluzione interessante: mettere insieme i poeti in Lingua Siciliana di oggi e procedere ad un recupero (filologico o meno) dei testi. Le poesie che nasceranno, in vero siciliano, saranno, certamente ed in ogni caso, migliori delle “toscane”.

Concludiamo con un appello a Mario Grasso, il più grande poeta siciliano (anche in siciliano), affinché possa coordinare questo lavoro di restauro della nostra più eccelsa memoria letteraria.


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