Non sempre sono stato in sintonia ia con Bersani; anzi, penso che abbia commesso anche molti errori, alcuni dei quali particolarmente gravi, su tutti la famosa vicenda Rodotà che portò poi alla rielezione di Napolitano. Fatto sta che Pierluigi, che oggi compie settant’anni, è una di quelle persone cui non si può non voler bene, cui non si può non augurare il meglio e alla quale non si può non riconoscere una limpidezza, una gentilezza d’animo e un’onesta intellettuale fuori dal comune.
Se ha sbagliato, e sicuramente ha sbagliato, a non abbandonare prima una nave che ormai stava veleggiando verso lidi che non avevano nulla a che spartire con la sinistra, dopo essere stato attratto o comunque partecipe dalla pessima svolta a destra compiuta dai DS ai tempi di D’Alema e Fassino, va anche detto che siamo di fronte a uno dei pochi uomini politici in grado di chiedere scusa per i suoi errori. Non solo: Bersani è stato fra i primi a comprendere il fenomeno grillino, fra i primi a porre l’orecchio a terra al cospetto dei rivolgimenti che stavano scuotendo la società profonda, a cominciare proprio dall’Emilia Romagna, negli anni in cui la Lehman Brothers finiva a gambe all’aria e il mondo si trovava a dover fare i conti con una crisi economica di proporzioni spaventose, fra i primi a non puntare il dito ma a rendere la mano a una nebulosa che all’epoca non aveva alcuna intenzione di sedersi al tavolo a trattare e fra i primi, se non l’unico, a offrire concretamente al Movimento 5 Stelle la possibilità di far partire un governo del cambiamento che tenesse conto del dirompente desiderio di novità espresso da una parte significativa degli italiani. Non a caso, più di una volta Pierluigi ha raccontato del suo incontro con un gruppo di giovani ricercatori, tornati apposta dal CERN di Ginevra, alla vigilia delle Politiche del 2013, per votare 5 Stelle, i quali gli spiegarono di fronte a una birra che non mettevano in dubbio il fatto che fosse una brava persona ma che avvertivano la necessità di una svolta radicale.
Bersani racchiude, dunque, in sé la mitezza dei cattolici e l’entusiasmo dei laici, quell’Emilia profonda che quasi dirada verso la Lombardia, quella saggezza popolare, figlia di una famiglia umile ma solidissima nei valori, che lo rende incredibilmente simpatico anche agli avversari, quell’essere sempre stato fra la gente, quel saper stare al tavolo con i grandi ma anche fra gli ultimi, quel saper coltivare l’arte delle metafore affinché tutti possano comprendere un ragionamento complesso, senza la spocchia tipica di una certa sinistra che di superbia è morta senza neanche rendersene conto.
A Pierluigi si possono imputare degli errori da segretario del PD, ma non di non aver provato a renderlo un partito autenticamente popolare senza mai scadere nel populismo. Gli si può imputare un’eccessiva timidezza su determinati temi, ma non di non aver saputo ascoltare le piazze in tumulto. Si può anche pensare che sarebbe servita maggiore grinta in alcuni momenti cruciali, ma non di non averci messo l’anima e di non essere stato costretto a fare i conti con innumerevoli ostacoli, interni e persino internazionali, e soprattutto non si può non riconoscere che le elezioni del 2013 non costituivano affatto un rigore a porta vuota ma il preludio di uno sconvolgimento che avrebbe presto travolto l’intero scenario politico europeo, tanto che oggi percentuali simili le vediamo in Germania, con la non piccola differenza che da quelle parti possono ancora contare su partiti storici e consolidati.
Quando penso a Bersani, mi viene in mente un rivoluzionario gentile, un galantuomo come ce ne sono pochi e una persona che alla politica ha dato più di quanto non abbia ricevuto in cambio, e non ha avuto poco.
Settant’anni e un’anima rock che si rivela ogni volta che parla di musica, l’altra sua grande passione. Nonostante tutti i colpi ricevuti – tanti, troppi – è ancora qua. E la libertà con cui oggi esprime le sue opinioni dà pienamente un senso alla sua storia, che poi è anche la nostra.
Iscriviti alla Newsletter di Articolo21